L’overfishing è ormai una tragica realtà e la pesca sostenibile sembra essere l’unica soluzione. Siamo tutti d’accordo? Cosa possono fare i consumatori?
Vivere in maniera sostenibile è davvero un percorso a ostacoli. E se farlo, avanzando nella giungla di prodotti Ogm, conservanti, pesticidi e allevamenti industriali rende difficile scegliere frutta, verdura e proteine che non danneggino la nostra salute e l’ambiente che ci circonda, avventurarsi nel complesso mondo del mare diventa un vero e proprio grattacapo senza soluzione.
È, infatti, ormai cosa nota che abbiamo pescato più pesci di quanto le potenzialità riproduttive delle popolazioni ittiche siano in grado di produrre, anche a causa di metodi di pesca e tecnologie sempre più sofisticate. La soluzione sembra essere una sola: il rischio di overfishing, ben spiegato nel documentario The End of The Line, ricordato non solo dal Rapporto biennale della FAO sullo stato della pesca e dell’acquacoltura nel mondo, ma anche dall’Unione Europea lo scorso 15 maggio con il Fish Dependence Day, deve assolutamente lasciar spazio a una pesca sostenibile, affiancata a uno sviluppo altrettanto sostenibile dell’acquacoltura moderna, uniche grandi speranze per il futuro dell’umanità.
Per far fronte a questa necessità, tra le temporanee soluzioni promosse dall’Unione europea, si distinguono i fermi biologici della pesca: a questo proposito, è notizia di qualche settimana fa l’attuazione del fermo nelle acque dell’Adriatico, per circa 43 giorni. Il calendario è scattato il 26 luglio per l’alto Adriatico, nel tratto da Trieste a Rimini, fino al 6 settembre, e il 16 agosto per il centro e sud Adriatico, da Pesaro a Bari, fino al 27 settembre. Il 19 settembre si fermeranno invece i pescherecci a partire da Brindisi, Ionio e Tirreno (fino al 18 ottobre), mentre Sardegna e Sicilia decideranno autonomamente. Nonostante il fermo sia stato indetto per proteggere le specie ittiche durante la fase di riproduzione, la misura sembra non essere stata apprezzata dai pescatori e da Coldiretti Impresapesca.
The End of the Line, le previsioni di un esperto sul futuro della pesca
“Il provvedimento – dichiara Coldiretti – cade in un momento difficile per le marinerie, le quali negli ultimi 30 anni hanno perso il 35% delle imbarcazioni e 18.000 posti di lavoro, mentre si è progressivamente ridotto il grado di auto approvvigionamento del pescato”.
Pur affermando la necessità di una pesca sostenibile e di una gestione più attenta delle risorse, il prof Fernando Boero dell’Università del Salento scrive sul sito di Impresapesca: “Le buone intenzioni ci sono, ma gli effetti sperati, dopo 31 anni di prove, no. Il risultato del fermo sarà un aumento dell’importazione di pesce dall’estero e un aumento dei prezzi, mentre i nostri pescatori saranno penalizzati”. I dati, in effetti, sembrano parlare chiaro: nei primi tre mesi del 2015 sono stati importati in Italia oltre 233 milioni di chili di pesci, crostacei, molluschi e invertebrati acquatici. Quali potrebbero essere quindi le soluzioni?
“Il fermo – spiega il prof. Boero – dovrebbe avvenire in periodi e in luoghi che siano idonei alla ricostituzione degli stock: non tutte le specie di pesci si riproducono nello stesso periodo e negli stessi luoghi e non tutte hanno identici periodi larvali e di sviluppo post-larvale. Il fermo di pesca, un provvedimento sacrosanto, dovrebbe essere modulato specie per specie, area per area, attrezzo per attrezzo, con un forte coinvolgimento del mondo scientifico e dei pescatori. Dobbiamo continuare a pescare, ma con maggiore criterio rispetto di prima”.
Da qui la proposta di Coldiretti Impresapesca di differenziare il blocco delle attività nell’Adriatico a seconda delle specie, mentre le imprese ittiche potrebbero scegliere ciascuna quando fermarsi in un periodo compreso tra il 1° luglio e il 30 ottobre. Anche noi però possiamo fare la nostra parte! La seconda carta vincente per salvare il pianeta, dopo una gestione sostenibile delle risorse, è infatti un consumatore consapevole che pone la giusta attenzione ad una delle cose più semplici in assoluto, la sua lista della spesa.
Le regole, scaricabili con le guide Mangiamoli Giusti o La lisca della spesa, non sembrano essere difficili: individuare un pescivendolo affidabile, scegliere pesci di stagione e nostrani, cercare la giusta taglia e, molto semplicemente, spendere meno. Come? Cambiando abitudini di acquisto e scegliendo le specie neglette, ma non per questo meno buone. Il consumo delle specie neglette, infatti, allevia la pressione di pesca su quelle specie (tonno, salmone,…) che stanno pagando a carissimo prezzo la loro notorietà! E se comprate il pesce congelato, scegliete il Made in Italy e non dimenticate di leggere le etichette, dove deve essere riportata l’area di pesca (Gsa): Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta).
C’è ancora un altro modo per essere protagonisti: Greenpeace si batte da tempo per sostenere la pesca artigianale e una migliore gestione delle risorse ittiche quindi firmate anche voi #InNomeDelMare, per fermare chi, in nome del profitto, minaccia la sopravvivenza dell’ecosistema marino!