Uomini in marcia – Diritti del lavoro e dell’ambiente al Clorofilla Film Festival

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Uomini in marcia – Diritti del lavoro e dell’ambiente al Clorofilla Film Festival ultima modifica: 2024-08-11T00:01:42+02:00 da Emanuel Trotto
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Uomini in marcia di Peter Marcias, al Clorofilla Film Festival, racconta le lotte dei lavoratori sardi, con uno sguardo globale al futuro.

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«Ciò che è cambiato negli ultimi due, tre decenni è che, fino a poco tempo fa pensavamo che, se non avessimo vinto quella volta, avremmo vinto la prossima o quella dopo ancora. O tra vent’anni o cinquant’anni, un giorno vinceremo. Ora non abbiamo questo lusso, non abbiamo il lusso del tempo.» Con queste parole il regista Ken Loach introduce Uomini in marciadi Peter Marcias. Il film è stato presentato in anteprima mondiale alla 18ma edizione della Festa del Cinema di Roma. Viene poi proiettato, in una anteprima pubblica a Carbonia il 2 maggio in occasione della Festa del Lavoro. La distribuzione al cinema avviene a partire dal 1° giugno da Notorius Pictures e sarà proiettato l’11 agosto fra gli appuntamenti finali del Clorofilla Film Festival 2024 che vede eHabitat nelle vesti di media partner.

Uomini in marcia di Peter Marcias poster
Uomini in marcia di Peter Marcias, il poster.

Siamo in Sardegna. Quello compiuto da Marcias è un viaggio fatto di suole consumate, di striscioni, di proclami e di dichiarazioni dei propri diritti da parte dei lavoratori. Un viaggio che, prima di tutto, è un percorso nel tempo e nella memoria. Il film si apre con un effetto da vecchia pellicola consumata, per poi arrivare all’oggi. Un uomo che, dalla sua macchina, guarda il mare e una grande strada deserta che lo costeggia. Sentiamo in voice over le parole dei lavoratori, dei manifestanti. Il passato è il tempo delle azioni, il tempo in cui si è combattuto e si è conquistato anche il più piccolo dei vantaggi. Il presente è pulito, silenzioso, tutto dato per scontato.

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Quella lunga strada deserta non viene più calcata. Era il cuore pulsante della presunta civiltà industriale colui che ha calcato quella strada. Una volta c’era l’orgoglio e l’autodeterminazione di guadagnarsi letteralmente il proprio futuro e benessere. Soprattutto dopo le privazioni date dai padroni prima, dal fascismo e dalla guerra poi. Le nuove generazioni, figlie e nipoti di quei lavoratori, si vergognano di quel passato, lo lasciano da parte. La Sardegna di oggi non si sente in debito nei suoi confronti. Sono stati conquistati dei diritti. I diritti a loro volta sono leggi. Quelle leggi sono diventate nozioni giuridiche. Ma che possono essere interpretate in maniera puramente astratta, dimenticandosi il contesto.

Gianni Loy
Gianni Loy, ex professore di Diritto del Lavoro dell’Università di Cagliari e voce narrante del film.

Si potrebbe dire che, con il tempo, si è persa la percezione della realtà. Cercare di sradicare questa convinzione è stata la missione di Gianni Loy, ex professore di Diritto del Lavoro dell’Università di Cagliari e oggi garante dei diritti dei detenuti della città. Quell’uomo che guardava il mare e la strada è lui, che accompagna in questo viaggio, commentando e raccordando il contenuto delle immagini di repertorio fornite dalla Cineteca Sarda. Si parte dall’eccidio di Monteponi nel 1922 fino alla Grande Marcia dello sviluppo avvenuta fra il 1992 e il 1993: un grande evento partito da Teulada nel Sulcis-Inglesiente che ha unito le principali organizzazioni sindacali allo scopo non solo di difendere il posto di lavoro di 20mila lavoratori. Creando anche la consapevolezza in quello che si stava facendo. Una consapevolezza di portata nazionale e non solo.

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Peter Marcias amplia lo sguardo, in un’ottica non solo isolana e campanilista. I problemi che hanno affrontato e affrontano i lavoratori sardi sono i medesimi che possono affrontare i lavoratori anche altrove. Da qui la necessità dell’intervento di Ken Loach il quale, con il suo cinema, ha sempre raccontato le condizioni di vita delle classi meno abbienti. Dall’immigrazione allo sfruttamento dei lavoratori oggi (Sorry We Missed You, 2019); oppure l’intervento di un altro regista attento al sociale nella sua opera, il recentemente scomparso Laurent Canet (1961 – 2024). Questi ha visto in Sardegna uno scenario simile a La Ciotat dove era ambientato il suo L’atelier (2017). Lo stesso rifiuto del passato e, contemporaneamente, la stessa necessità di girare di nuovo quella pagina e riguardarla.

minatori del sulcis - Uomini in marcia
I minatori del Sulcis in marcia un momento del film.

Le rotelle abbandonate e arrugginite diventano pizze per i proiettori. Uomini in marcia si muove in due direzioni ben distinte: l’oggettività del dato storico e il valore soggettivo della testimonianza che le immagini danno. Queste sono intenzionalmente in contrasto con quanto viene detto in alcuni passaggi. Quello che conta è il valore della memoria, di cui esse stesse sono portatrici.

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C’è l’evoluzione della legislazione lavorativa e c’è l’evoluzione del lavoro. E con esso la consapevolezza di nuove problematiche e necessità.  Con il passaggio dal manuale all’automatismo, dal carbone al petrolchimico al nucleare, si ripercorrono i danni ambientali che una cattiva gestione degli impianti lavorativi comporta. Il lavoro diventa così ricattatorio, costringendo tutti a negare la tossicità dei materiali per poterlo conservare. Ciò porta alla nascita di bambini deformati a causa delle sostanze tossiche assimilate dalle loro madri. In questo contesto viene inserito l’intervento della ambientalista e fondatrice di Legambiente Laura Conti (1921 – 1993) che sottolinea: «Combattere la nocività interna della fabbrica è quello che la fabbrica butta nel territorio circostante. Le due cose non possono essere separate, si tratta di una lotta unica».

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Perciò non si parla solamente di lavoro. Uomini in marcia vuole lanciare anche uno sguardo verso il futuro incerto dato dall’emergenza climatica. Racconta il passato che mostra come cambiare in maniera integrata: cambiare il modo di produrre, il modo di vivere, i nostri rapporti sociali e le leggi. Devono riflettere su un processo che non è più opzionale come lo si poteva ritenere (erroneamente) in passato, ma necessario. Queste sono diventate oramai le priorità per vivere in maniera dignitosa. E anche per questo genere di cambiamenti, il grande nemico, è proprio il tempo. L’arma migliore che si poteva avere in passato adesso è una miccia da spegnere il più velocemente possibile.

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Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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