Un paese di resistenza, la guerra al modello Riace al Clorofilla Film Festival

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Un paese di resistenza, la guerra al modello Riace al Clorofilla Film Festival ultima modifica: 2024-08-04T07:15:21+02:00 da Marco Grilli
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Un paese di resistenza, il documentario sul modello Riace e l’incredibile vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano, approda al Clorofilla Film Festival

Un modello di solidarietà, accoglienza e rivitalizzazione di un borgo calabrese prossimo allo spopolamento – apprezzato e oggetto di interesse in tutto il mondo – divenuto bersaglio d’odio e finito improvvisamente nella bufera giudiziaria: a raccontarlo è il documentario “Un paese di resistenza” [97′, Bo Film, Italia-Francia-Belgio, 2024] scritto e diretto da Shu Aiello e Catherine Catella, che verrà proiettato a Festambiente al Clorofilla Film Festival, di cui eHabitat è media partner.

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Per 20 anni Riace è stata simbolo di miracolosa accoglienza per centinaia di donne e uomini in fuga dalle guerre e dalla miseria. Negli anni la cittadina calabrese è ritornata alla vita: la scuola ha riaperto, le terre sono state ricoltivate, i cuori si sono scaldati. Poi, d’un tratto, un anno fa, il mostro si è introdotto nella cittadina ed ha messo fine a questa utopia; ha divorato i cuori dei riacesi e li ha costretti ad un silenzio nefasto. Chi, nel piccolo paese calabrese, avrà il coraggio di affrontare questo mostro?”, la presentazione di questo film documentario emozionante e volutamente schierato, che affronta la lunga vicenda politica e giudiziaria dell’ispiratore del modello Riace, il di nuovo sindaco ed oggi anche europarlamentare Mimmo Lucano.

Un Paese di Resistenza
Mimmo Lucano in una scena di Un paese di resistenza

Il modello Riace

Favorite: con il denso significato di questa semplice parola tanto diffusa tra la gente calabrese – simbolo di accoglienza ed ospitalità e citata da un parroco del Trentino poi arcivescovo mentre ricorda il suo primo viaggio in questa terra – si apre il documentario che pone l’attenzione sul piccolo borgo di Riace (Rc).

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Pochi anni dopo quel viaggio di monsignor Giancarlo Maria Bregantini, su quelle rive sbarcarono i primi profughi curdi, accolti nella casa del pellegrino data poi in gestione a Domenico Lucano, per tutti Mimmo, futuro sindaco del paesino calabrese. Il personaggio narrante racconta quello che diventerà il modello Riace, un villaggio globale fatto di colori, suoni e tradizioni diverse, che ha riportato la vita laddove erano rimaste solo poche case abbandonate.

Mimmo Lucano, amato dalla sua gente, fu eletto sindaco per ben tre volte nel paese divenuto simbolo dell’accoglienza. Il fulmine a ciel sereno arrivò però nell’ottobre 2018, quando “questa piccola luce del Sud si spense brutalmente”. Su richiesta della procura di Locri, Mimmo Lucano fu posto agli arresti domiciliari poiché accusato di aver favorito l’immigrazione clandestina.

Un paese di resistenza

La notizia suscitò subito stupore e sconcerto, le registe danno così voce ai moti spontanei di solidarietà nel piccolo borgo calabrese in cui accorsero persone da ogni parte d’Italia, pronte a scandire motti quali “Riace non si arresta, Lucano libero”, “siamo tutti clandestini”, fino ad intonare il canto simbolo della Resistenza, “Bella Ciao”.

Immagini ad alto impatto di unione e di rivolta, di solidarietà e di rabbia, perché come ricorda un semplice cittadino “Riace rappresenta un’anomalia che si vuole ricondurre dentro i gangli della normalità”. “Io non ho fatto niente di straordinario, ho fatto incontrare persone senza casa con case senza persone”, le parole di Lucano citate dallo stesso intervistato per far capire cosa si intenda per quella anomalia che si vuole arrestare.

Con l’avvio dell’inchiesta Lucano fu posto agli arresti domiciliari, i fondi per l’accoglienza furono bloccati e l’associazione “Città futura” fu sospesa, con i suoi dipendenti rimasti disoccupati. All’improvviso Riace divenne buia, vuota e spettrale: senza più assistenza 200 persone lasciarono le loro case per trasferirsi nei centri di accoglienza. Il documentario lascia dunque spazio alla  propaganda leghista sulla fine della pacchia e sulla necessità di destinare meno tempo e risorse agli immigrati “clandestini”, un contraltare che rappresenta una costante in questo film di denuncia che non esita ad individuare quella che considera la parte giusta, contro ogni populismo e sovranismo.

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Venti di intolleranza incapaci di arrestare il fiume della solidarietà: con la revoca dei domiciliari a Lucano tramutata in divieto di dimora a Riace, sindaci, artisti, persone dello spettacolo, intellettuali e gente comune alzano la loro voce in difesa di Mimmo. “Un paese di resistenza” comunica tramite i vuoti ed il silenzio di un borgo, le accese contestazioni nelle piazze dei pro-Lucano, le parole di odio e intolleranza dei suoi detrattori, l’esperienza degli immigrati, l’incredulità ed il coraggio di un sindaco modello divenuto il mostro da sbattere in prima pagina, che rivendica il valore dell’esperienza da lui promossa, citando l’asilo multietnico, il frantoio sociale, la fattoria didattica, i laboratori artigianali ed altro ancora.

Nella terra priva di opportunità e speranze, un microcosmo vitale fondato non sulla distrazione di fondi e sull’arricchimento personale, ma sulla solidarietà e sul bene comune. Dopo l’inchiesta, però,  la rassegnazione e la paura hanno preso il sopravvento. Il ritorno di Lucano a Riace in occasione delle elezioni comunali è una festa venata di tristezza. La vittoria della lista pro-Lega guidata da Antonio Trifoli testimonia il ripudio totale del modello di accoglienza già fortunatamente sperimentato. Rimbombano nuovamente le parole del leader della Lega Salvini che risuonano come minaccia. Il “prima gli italiani” diventa il nuovo motto.

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È un veleno che si diffonde in silenzio, congela i cuori, soffoca i rumori, irrigidisce i corpi nella sfiducia. Ci si spia a vicenda, si sospetta, si distoglie lo sguardo. Non si sa di cosa abbiamo paura, ma abbiamo paura”, il significativo recitato del narratore, che restituisce efficacemente il clima del periodo. Gli atti di vandalismo ai danni di un negozio di migranti, di un affresco simbolo dell’accoglienza e della fontana dei delfini, destinata a distribuire gratuitamente l’acqua alla popolazione, rappresentano i segni più incisivi del ritorno dell’intolleranza.

Il processo 

Il documentario insiste sul carattere politico del processo, a partire dall’orgoglio di Lucano per il suo lavoro e dalla sua non accettazione della denigrazione proprio del messaggio politico da lui rappresentato. I dubbi nascono da alcuni episodi, quali l’elezione in quel periodo a capo gabinetto del Ministero degli Interni del prefetto di Reggio Calabria, il nemico numero uno di Lucano e del modello Riace. Il disprezzo che emerge dalla pellicola è quello invece per l’insensatezza del vuoto slogan dell’ “aiutiamoli a casa loro”, propagandato dalla destra.

In seguito alla caduta del governo giallo-verde (Lega-Movimento Cinque Stelle), il Tar e il Consiglio di Stato dichiararono l’illegittimità della sospensione dei fondi per l’ospitalità a Riace, contestando la conclusione dell’inchiesta. Lucano torna in paese ma la procura di Locri prosegue la sua battaglia. Lo sbigottimento dell’ex-sindaco è il leit-motiv del film. La vicinanza e l’affetto verso Mimmo non si fermano. Riace cerca faticosamente di rinascere tramite i cittadini che provano a portare avanti il suo messaggio.

Dopo tre lunghi anni di inchiesta si arriva al processo di primo grado. La procura chiede sette anni di reclusione avendo trasformato il reato amministrativo in reato penale. Il film trasmette il pathos di questo calvario giudiziario e l’incertezza sul futuro tramite le espressioni e le parole dell’ex sindaco, tra orgoglio, coraggio e smarrimento. Con sentenza di primo grado Lucano è condannato a ben 13 anni e due mesi di reclusione, una pena considerata assurda e spropositata.

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A Riace si chiude il cerchio con il ritorno in paese dell’arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini, portato in visita al villaggio globale dall’ex sindaco che gli racconta gli ultimi sviluppi. Bregantini cita l’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti, il cui messaggio è quello di “accogliere, proteggere, promuovere, integrare”. “Questa è l’esperienza di Riace, questa è la testimonianza. Ecco perché io dico al processo: il Papa ha scritto questa enciclica nel 2019 ma Mimmo l’ha scritta su queste case, l’ha fatta testo 15 anni prima del Papa”, le parole di monsignor Bregantini.

Dopo aver chiamato in causa la difesa di Lucano per sottolineare tutte le incredibili  anomalie del processo ed il linguaggio particolarmente duro utilizzato nelle motivazioni della sentenza, scorrono  le immagini di un corteo con alla testa Mimmo, “emblema del sogno d’Europa che abbiamo dimenticato”. Nell’ottobre 2023 la Corte d’Appello di Locri ha fatto cadere la maggior parte delle accuse contro Lucano, mantenendo un solo capo d’imputazione di carattere amministrativo.

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Questa storia insegna che “anche con venti contrari si può rimanere in piedi”. Mimì Capatosta  è stato eletto per la quarta volta sindaco di Riace e, da europarlamentare, si è ripromesso di portare in Europa l’utopia concreta del borgo calabrese. Hai ragione Mimì, “con Riace vince l’Italia che resiste”.

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Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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