Afrin nel mondo sommerso di Angelos Rallis racconta l’impatto del cambiamento climatico sugli abitanti del Brahmaputra
Il confine che separa la fiction dal documentario sta diventando sempre più labile nel cinema contemporaneo e Afrin nel mondo sommerso di Angelos Rallis è uno degli esempi più fulgidi di questa forma ibrida capace di sfuggire a ogni tipo di catalogazione.
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Siamo sulle sponde del Brahmaputra, fiume che nasce nell’Himalaya Orientale ed è interessato da inondazioni che costringono gli abitanti alla fuga. Eventi estremi, prima soltanto episodici, sono diventati sistematici a causa del riscaldamento globale impattando in maniera devastante sulla vita di tutti coloro che abitano le isole di fango che si trovano nel letto del grande fiume. Fra questi vi è la dodicenne Afrin che ha perso la madre ed è stata abbandonata dal padre. La vediamo lottare contro le intemperie, mettere in salvo una capra su tronchi galleggianti, farsi luce con candele quando l’acqua la sommerge fino al collo. Sopraffatta dalle continue inondazioni, Afrin decide di lasciare il “mondo sommerso” per raggiungere Dacca, la sovraffollata capitale del Bangladesh.
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Il regista Angelos Rallis ha lavorato ad Afrin nel mondo sommerso per cinque anni, pedinando instancabilmente la sua protagonista sull’isola di fango del Brahmaputra e lungo le strade di Dacca. Il risultato delle centinaia di ore di girato sono 92 minuti di un film di grande impatto visivo ed emotivo. I tramonti sul Brahmaputra, i lampi che annunciano l’arrivo delle inondazioni, il lento scivolare di una barca fra le mangrovie contrapposti al traffico, al frastuono e alle montagne di rifiuti della megalopoli bengalese, si rispecchiano nello sguardo disilluso ma combattivo di una bambina costretta a lasciarsi precocemente l’infanzia alle spalle.
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Prima di diventare regista, Rallis ha lavorato a lungo come fotografo realizzando reportage in giro per il mondo. Questa matrice è fortemente presente in Afrin nel mondo sommerso, un film che dosa la potenza delle immagini e quella della storia in maniera estremamente equilibrata senza mai scadere nel didascalico o nel pietistico.
La scorsa primavera, nel corso del tour di presentazione del film in Italia, Rallis ha raccontato come la storia sia stata trasformata dall’evoluzione della sua protagonista. Quello che nella prima mezz’ora sembra essere un documentario sulle alluvioni causate dal surriscaldamento globale si trasforma progressivamente in un racconto sul rapporto fra aree rurali e città, sulle dinamiche delle migrazioni climatiche e della sovrappopolazione delle aree urbane e sulla difficoltà di crescere senza punti di riferimento nel mondo adulto.
La città si rivela respingente tanto quanto il Brahmaputra percorso dalle piene. Come nel Candide volterriano, sembra non esistere alcun rifugio alla sofferenza, ma nella famiglia creata con un gruppo di raccoglitori di rifiuti di Dacca e nel rapporto con un anziano del suo luogo d’origine, Afrin riesce a trovare la forza per compiere passi decisivi verso l’età adulta.
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Con grande eleganza stilistica, Rallis realizza un poema per immagini sul cambiamento climatico che è anche un coming of age. Nel prossimo decennio il 17% delle popolazione del Bangladesh (circa 30 milioni di persone) dovrà essere ricollocato a causa della crisi climatica. Lo sguardo precocemente adulto di Afrin è, dunque, il paradigma di una storia universale e il vivido racconto di Rallis è cinema all’ennesima potenza, destinato a durare nel tempo.
Afrin verrà proiettato a Festambiente, all’interno del Clorofilla Film Festival di Legambiente di cui eHabitat è media partner.