Ingranaggi di una macchina incessante, sempre immersi nel sangue e nel dolore, i lavoratori nei macelli sono colpiti da disturbi psicologici che possono intervenire nell’andamento della società odierna.
“Mangi carne ma non saresti in grado di uccidere con le tue stesse mani l’animale di cui ti stai cibando”.
È questa una delle grandi constatazioni che vegetariani e vegani lanciano contro gli onnivori, con la speranza di far loro aprire gli occhi. Partiamo da questo assioma: quasi nessuno prova piacere a uccidere animali. L’idea di porre fine alla vita di molti esseri senzienti è aberrante, disgustosa per alcuni, lontana e distante per altri. Eppure c’è chi lo fa per lavoro.
Nella nostra coscienza che tipo di persone sono i lavoratori nei macelli?
L’identikit comune è quello di un uomo sadico, un killer crudele che si diverte nel vedere la sofferenza dipinta nello sguardo e nelle urla delle sue “prede”.
Nella realtà, però, la verità è ben lontana.
Ritratti dei lavoratori nei macelli: chi sono?
Una macchina attiva, rapida, senza soste, dove nessun ingranaggio deve mancare. Questa è l’industria della carne, un’industria che sopravvive grazie alla costante richiesta di carne e derivati, un’industria a cui non possono mancare i suoi dipendenti.
Tuttavia, il lavoro del macellaio non è il primo impiego a essere ricercato nemmeno in quelle zone dove la crisi e la disoccupazione imperano da anni. È un lavoro legato al disprezzo, con una chiara valenza sociale che lo vede attribuito agli strati più fragili della popolazione.
Allora dove trovare forza lavoro?
Grazie a una denuncia della Flai Cgil sappiamo che la maggior parte dei lavoratori all’interno dei macellai presenti nella zona dell’Emilia Romagna – una delle regioni con il maggior numero di aziende zootecniche – sono stranieri, quasi sempre romeni, marocchini, cinesi, e persone che, a causa dei loro trascorsi con la legge, hanno grandi ostacoli nel trovare lavori (ex detenuti, tossicodipendenti).
Diventare operai in un mattatoio rappresenta una possibilità per liberarsi da una condizione di emarginazione, oppure è l’ultima chance per sopravvivere.
Questo bisogno è appetitoso per chi fa del profitto l’unica divinità da venerare. Gli operai nei macelli sono così obbligati a condizioni terribili in cambio di misere buste paga: lavorano oltre le otto ore, non hanno contratti, non hanno garanzie, e sono senza nessuna forma di tutela e sicurezza.
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Tutto questo è possibile a causa di società appaltatrici, spesso false cooperative, che necessitano di pochi requisiti per l’assunzione, come:
- accettare di svolgere un lavoro duro a livello fisico e psicologico;
- dimostrare l’assenza di sensibilità rispetto al tema della violenza animale e del sistema di allevamento intensivo.
Vittime del loro stesso trauma
“L’enorme quantità di esseri viventi che uccidi e di sangue che vedi, dopo un po’ arriva alla tua psiche, soprattutto se non puoi semplicemente spegnere tutte le emozioni e trasformarti in uno zombie robotico della morte. Ti senti parte di una grande macchina della distruzione”
[Virigil Butler, ex operaio di un mattatoio di polli in Arkansas].
Lontano dagli sguardi dei consumatori, il mattatoio è un luogo che esiste. È buio, carico dei rumori, con mura graffiate dalle urla degli animali e dal ferroso odore di sangue. Al suo interno, i lavoratori costringono esseri senzienti a procedere verso la morte con azioni violente e abusanti (accettate dalla società).
Il mattatoio è un ambiente dove la salute psicologica è minacciata.
I lavoratori spesso soffrono del Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTDS). Questo si manifesta con irritabilità, rabbia improvvisa o confusione emotiva, depressione e ansia, insonnia, e infine sintomi fisici (dolori al torace, capogiri, problemi intestinali, emicranie).
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Sono però gli operai dei macelli stessi a innescare e continuare la situazione traumatica. Per questo, nell’ambito psichico si usa il termine PITS, Stress Traumatico Indotto dalla Perpetrazione. I sintomi più comuni sono: ansia, panico, depressione, dissociazione o amnesia, disturbi del sonno.
La psichiatra Chi-Chi Obuaya afferma che questo tipo di disturbo rischia di sfociare in problematiche mentali simili a quelle di cui soffrono i bambini soldato costretti a commettere atti orribili di violenza.
I lavoratori nei macelli sono figure ambigue: oscillano tra la condizione di vittima e quella di perpetratori. Una doppia natura che porta alla disgregazione identitaria.
Sistemi di difesa
“Dicono che l’odore del sangue ti renda aggressivo, ed è così. Con il tempo non ti importa più del dolore delle persone, una volta ero molto attento ai problemi della gente, ero disposto ad ascoltare. Ma dopo un po’ diventi insensibile”.
[Testimonianza di un operai del macello, tratta dal libro Slaughterhouse di Gail Eisnitz].
Per sfuggire alla sofferenza di cui si è causa, i lavoratori provano diversi modi per adattarsi. I primi strumenti a cui si aggrappano sono le sostanze stupefacenti o bevande alcoliche. L’inibizione del pensiero, degli eventi traumatici, permette una forma di sopravvivenza e salvaguardia psicologica.
Nelle ore di lavoro si cerca il distacco emotivo, una dissociazione non solo con l’esterno ma anche con il proprio sé. Ecco, allora, che nasce la sensazione di superiorità la quale convince l’operatore a credere nella colpa dell’animale (proprio come succede in uno stupro, quando la vittima viene derisa). È forse ragionando su questo che si trova una spiegazione alle violenze gratuite aggiuntive sugli animali: percosse, insulti, violenze.
Il distacco dell’identità porta a una scissione: da una parte il sé lavorativo, una macchina priva di emozioni e raziocino che svolge il proprio ruolo; dall’altra un sé personale di difficile gestione che si mostra a casa, in famiglia, tra gli amici, nella società.
Il legame tra lavoratori nei macelli e futuri criminali
Se il male genera male, non c’è da stupirsi che il costante agire con violenza possa uscire fuori dalle mura di un mattatoio e diffondersi nella comunità. Avere ogni giorno le mani sporche di sangue e lo sguardo oltre la sofferenza può portare a una diminuzione della soglia di empatia e di sensibilità al dolore del prossimo, normalizzando la violenza.
Secondo alcuni studi il numero di arresti per violenze sessuali, omicidi, rapine e stupri sono concentrati nelle zone in cui sono presenti i mattatoi.
Molte sono le voci di psicologi, criminologi e studiosi che vogliono richiamare l’attenzione sui gravi danni a cui i lavoratori nei macelli sono esposti ogni giorno. Occorre considerare non solo l’impatto psicologico, ma anche le conseguenze che ne possono derivare. Bisogna mantenere il focus sull’importanza della saluta mentale, rielaborare un nuovo sistema lavorativo all’interno dei mattatoi e dell’intera azienda zootecnica. È necessario creare misure di tutela e prevenzione per evitare i traumi psicologici ai lavoratori, per arginare le possibili conseguenze sociali e per lenire le crudeltà inflitte agli animali.
Fermare la macchina della carne sembra impossibile per ora, ma rallentarla è possibile. Ragionare sulle condizioni degli animali nei mattatoi, su quella dei macellai e degli operatori, non è altro che considerare la società in cui siamo immersi.
“Per quanta giustizia possa esserci in una città, basta la presenza del mattatoio a farne una figlia della maledizione”
[Guido Ceronetti]