Formula Uno sponsor della crudele gara per cani da slitta Iditarod, la protesta degli animalisti

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Formula Uno sponsor della crudele gara per cani da slitta Iditarod, la protesta degli animalisti ultima modifica: 2022-10-19T06:52:41+02:00 da Marco Grilli
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L’Oipa ha chiesto alla Formula Uno di bloccare la sponsorizzazione alla crudele gara per cani da slitta in Alaska

Gli animalisti chiedono lo stop alle sponsorizzazioni della gara per cani da slitta Iditarod Race.

Ogni anno, nel mese di marzo, si svolge in Alaska una corsa per cani da slitta in condizioni proibitive, che mette seriamente a repentaglio la salute dei nostri amici a quattro zampe. Molti sponsor hanno deciso di non sostenere più questa competizione ai limiti dell’impossibile, ma non Liberty Media, l’azienda di mass media statunitense nota per esser proprietaria della Formula Uno. Una decisione che ha scatenato l’indignazione dell’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa),  pronta nell’intervenire con un’istanza diretta a Stefano Domenicali, presidente e amministratore delegato del Formula One group.

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L’istanza dell’Oipa 

«Sponsorizzare l’Iditarod Race significa promuovere la crudeltà e l’abuso sugli animali. Per questo negli ultimi anni numerose aziende, alla luce delle evidenze e per preservare la propria reputazione, hanno annullato le loro sponsorizzazioni, tagliando i ponti con questa feroce competizione. Tra queste, ExxonMobil, uno dei più grandi sostenitori, seguita da Alaska Airlines, Chrysler, Coca-Cola, Jack Daniel’s, Wells Fargo, Millennium Hotels and Resorts e decine di altre aziende», spiega Valentina Bagnato, responsabile Relazioni internazionali dell’Oipa International. Questo documento, datato 9 settembre 2022, fa seguito ad altre due richieste inviate allo stesso Domenicali nel novembre 2021 e nell’aprile 2022 da parte della People for the ethical treatment of animals (Peta), rimaste inevase.

Il presidente dell’Oipa International Massimo Pradella, firmatario dell’istanza, non ha usato mezzi termini nella chiosa del documento, invitando il Formula One group a rivedere il piano di sponsorizzazione e a difendere la propria reputazione  per “portare un messaggio di positività e rispetto verso tutti gli esseri viventi, senza dimenticare che sempre più persone oggi sono molto sensibili e attente alle tematiche animaliste“.

In occasione del noto Gran Premio di Monza, tenutosi lo scorso 11 settembre, i volontari di Oipa e Peta UK non hanno mancato di far sentire la propria voce, recandosi all’autodromo con cartelli e materiale informativo per sensibilizzare il grande pubblico sui risvolti negativi di questa tradizionale corsa tra le nevi, sostenuta dalla prestigiosa Formula Uno, dove i cani più che primi attori paiono vittime sacrificali.

I maltrattamenti sui cani da slitta impiegati nella corsa

Abusi e crudeltà sui protagonisti di questa intrepida corsa paiono ormai accertati da ricerche e indagini indipendenti. Nella gara del 2022 sono più di 250 i cani che non son riusciti a giungere al traguardo perché feriti, malati, stremati e sottoposti a uno stress psicologico e fisico indicibile. Stando ai soli dati ufficiali forniti, forse inferiori a  quelli reali, 150 esemplari hanno perso la vita nel corso delle gare disputate negli anni. Una cifra che non tiene conto di quelli che non ce l’hanno fatta durante l’addestramento e la preparazione o nei periodi di bassa stagione, come rilevato dall’Oipa.

Capire meglio la portata di questi abusi significa proprio allargare l’indagine alle condizioni dell’allevamento di questi cani da competizione. Per portare a termine una gara così lunga e irta di ostacoli in condizioni meteo spesso proibitive, servono animali altamente performanti dal fisico d’acciaio. I veri protagonisti della corsa sono quindi costantemente tenuti all’esterno senza adeguato riparo in condizioni atmosferiche molto difficili, legati alla catena, privati delle loro esigenze di socializzazione e sottoposti a condizioni di fortissimo stress fisico e psicologico.

Al di là dei casi di cani maltrattati perché non considerati validi per la corsa, sono molto gravi anche le conseguenze di più lungo periodo sulla salute. «I cani impiegati nella competizione soffrono spesso di gravi danni polmonari, stiramenti muscolari, fratture da stress, sviluppano polmoniti e artriti e si ammalano di virus intestinali e ulcere gastriche. Tre studi indipendenti hanno dimostrato che l’81% dei cani che sopravvive all’Iditarod riporterà comunque danni polmonari, il 61% mostrerà una maggiore frequenza allo sviluppo di ulcere e gastriti erosive e molti altri avranno disfunzioni delle vie aeree simili all’asma da sci nell’essere umano, che persistono per mesi. Per non parlare della causa principale di morte di questi cani: la polmonite da aspirazione, ovvero i cani muoiono soffocati dal proprio vomito per lo sforzo e chi di loro sopravvivrà porterà comunque con sé danni fisici permanenti o duraturi», denuncia Valentina Bagnato.

L’Oipa rileva anche alcune contraddizioni nello svolgimento della gara: se è vero che alcuni dei conduttori (musher) son stati condannati dalla Commissione della corsa per maltrattamenti, la stessa Commissione non ha esitato a multare alcuni di loro per aver messo al riparo dei cani durante una bufera.

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Iditarod Race, storia e caratteristiche

Da Anchorage a Nome, 1.600-1700 chilometri in una decina di giorni  tra venti gelidi, bufere di neve e luoghi inospitali, il “Superbowl dell’Alaska”, come l’hanno definito in molti, è la più grande corsa con cani da slitta che prende il nome di Iditaroad, inaugurata nel 1973 per volontà di Dorothy G. Page e Joe Redington.

Il percorso odierno segue i sentieri già tracciati dai nativi dell’Alaska, che raggiunsero la massima popolarità tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento con lo sviluppo dell’attività mineraria. La slitta trainata dagli Husky siberiani è stata sempre un mezzo popolare in queste zone sia per il trasporto che per lo sport (mushing), prima di esser soppiantata dal 1960 dalle più efficienti motoslitte. Questa competizione nacque proprio per rinverdire tali tradizioni e anche per ricordare un episodio verificatosi nel 1925, la cosiddetta “grande corsa della misericordia”. In quell’anno Nome fu colpita da un’epidemia di difterite che colpì soprattutto i bambini nativi, la città fu posta in quarantena e poté sconfiggere tale male solo grazie all’antitossina portata da Anchorage con l’avventuroso viaggio compiuto dalla slitta trainata dal cane Balto, celebrato al cinema e venerato come un eroe con la statua eretta al Central Park di New York.

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Sulla scorta di tali tradizioni, oggi l’Iditarod è una gara altamente competitiva, dove si sfidano singoli musher alla guida di slitte trainate da 12-16 cani, lungo due differenti percorsi (a nord negli anni pari, a sud negli anni dispari) che si snodano tra la catena montuosa dell’Alaska range, la regione dell’Interior e un tratto sul fiume Yukon, fino al traguardo di Nome nell’Alaska occidentale, dopo aver superato il mare di Bering.

Una gara estrema, tra tormente di neve, temperature polari e fortissimi venti glaciali, dove son previste solo tre soste obbligatorie e vince chi porta almeno cinque cani al traguardo. I musher devono tenere un diario di viaggio sullo stato di salute degli animali e affrontano alcuni check point obbligatori con veterinari, dove però pare prevalga la volontà più di sedare che di curare gli animali, per renderli più resistenti agli sforzi.

La prima competizione del 1973 fu vinta da Dick Wilmarth in più di 20 giorni, il record attuale è stato stabilito nel 2021 da Dallas Seavey in sette giorni, 14 ore, otto minuti e 57 secondi: un semplice dato che aiuta capire quanto sia diventata sempre più estrema e performante questa gara, a scapito di chi traina le slitte in ogni condizione. “The last great race” recita il motto di Iditarod, ma val davvero la pena tutto questo sfruttamento per la smania di vittoria dei musher?

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Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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