Si sente parlare spessissimo di “emergenza ungulati”. Caprioli e cinghiali, ormai diffusi praticamente in tutta Italia, non sono esclusivamente noti come ottima selvaggina; hanno soprattutto fama di invasività, flagelli di raccolti e cause di pericolosissimi incidenti stradali. Ed è tutto vero. Analizzando il problema all’origine, pare che in ogni caso ancora una volta ci sia lo zampino dell’uomo.
Prendendo ad esempio il cinghiale, una massiccia introduzione a scopo venatorio a partire dal dopoguerra ha portato, da una presenza in aree circoscritte, all’attuale “infestazione” in quasi tutte le regioni, dove gli esemplari in cerca di cibo non disdegnano neppure una capatina nei centri abitati. Ci sarebbe un predatore in natura: il lupo, che sta ripopolando gli stessi habitat, ma non con la stessa velocità.
Il sistema utilizzato ora per arginare il problema è la caccia di contenimento. In altre parole, animali diventati, loro malgrado, flagelli di un territorio per assecondare la smania di caccia dell’uomo, devono essere eliminati con lo stesso metodo in nome della sicurezza.
L’uomo ha creato il problema, l’uomo dovrà risolverlo… ma sempre uccidendo. A questo metodo di contenimento diretto che gli animali devono affrontare, se ne aggiunge uno indiretto: gli incendi dolosi.
Notizia recente sono i roghi che hanno colpito il Piemonte lo scorso ottobre, provocando danni ingenti alla flora ma anche a una parte della fauna boschiva.
Sembrerebbe che ai poveri ungulati eredi di un passato di negligenza umana non resti che una cosa da fare: scegliere di che morte morire.