A Mompantero, a Cumiana e a Traversella la popolazione si confronta con le conseguenze degli incendi boschivi dello scorso ottobre
È passato un mese dagli incendi che nella seconda metà di ottobre hanno devastato migliaia di ettari di area boschiva del Piemonte. La Valsusa ha subito i maggiori danni in termini assoluti, ma anche Cumiana, Cantalupa e Traversella hanno perso centinaia di ettari di area boschiva.
Guidati da Luca Giunti, guardiaparco del Parco Orsiera Rocciavrè, sabato scorso noi di eHabitat siamo saliti sulle pendici del Pampalù, all’altezza delle Batterie Paradiso, poco sopra i 1200 metri. Ciò a cui ci siamo trovati di fronte è stato un teatro di cenere, una foresta di tronchi carbonizzati affondati in una terra sabbiosa. In una settimana il fuoco e il vento hanno spazzato il lavoro fatto dalla natura nel corso di anni.
A un certo punto, camminando lungo il sentiero, abbiamo visto del fumo alzarsi da un mucchio di cenere che né la pioggia caduta nei primi giorni di novembre, né l’umidità delle notti novembrine sono riuscite a spegnere. Dai 450 metri della valle le fiamme si sono arrampicate fin oltre quota 2600 metri. Soltanto la tempestività della sindaca Piera Favro, dei Vigili del Fuoco e dei volontari AIB nel chiudere gli accessi alle borgate in quota e nell’evacuare le abitazioni a rischio hanno evitato che per molti la risalita verso l’alta cresta della montagna si trasformasse in una trappola di fuoco e fumo.
Nel territorio compreso fra Chianocco e Mompantero sono bruciati circa 3000 ettari di foresta, mentre fra Celle e Caprie ne sono andati in fiamme altri 2000.
“Questa pineta è stata piantata cinquant’anni fa con lo scopo primario di consolidare la tenuta del versante che ha una forte pendenza e, quindi, limitare il rischio di dissesto idrogeologico. È un elemento di cui dovrà tenere conto chiunque deciderà di intervenire su questo territorio” ha spiegato Giunti che ha poi sottolineato come nella “competizione” vegetale il passaggio del fuoco possa avere degli inattesi risvolti positivi per gli esemplari più resistenti: “Pur nella tragedia, il fuoco fornisce ad alcune di queste conifere una maggiore capacità di apertura delle pigne. Per gli alberi che non sono completamente morti e per quelli che hanno lasciato alcune pigne al suolo potrebbero esserci addirittura dei fenomeni positivi in termini di propagazione. Questa è stata una devastazione e una tragedia, ma se la guardiamo con un occhio naturalistico da questa tragedia ripartono tante vite e alcune di queste vite trarranno addirittura vantaggio da quanto è avvenuto”.
Giunti è convinto che l’incendio della Valsusa possa diventare l’occasione per diffondere conoscenza e fare educazione ambientale. Per prevenire gli incendi bisogna lavorare soprattutto sull’educazione: “L’autocombustione in Italia non esiste. La cicca di sigaretta o la marmitta bollente a bordo strada che fanno innescare l’incendio sono probabilità statisticamente non significative. Da noi gli incendi partono per ragioni colpose e per ragioni dolose. Punto. Il 95% degli incendi italiani sono colposi e dolosi”.
Gli incendi avvenivano anche in passato ma si estinguevano dopo 20 metri perché il bosco veniva vissuto ed era tenuto pulito. La siccità, il combustibile secco presente nel sottobosco e il vento sono stati un mix esplosivo per lo sviluppo del rogo da parte della criminalità: “Per quanto riguarda gli incendi dolosi bisogna fare un ulteriore distinguo. I piromani sono persone malate che in molti casi rimangono latenti, tanto che alcuni si iscrivono nei corpi volontari come AIB per poter assistere agli incendi dal vivo. Un’altra cosa sono gli incendiari che innescano i fuochi per interesse o per malignità. La legge italiana prevede che i territori interessati dagli incendi non cambino la loro destinazione d’uso per vent’anni. Quindi l’ipotesi che vi siano interessi economici è da scartare”.
Oltre all’impossibilità di cambiare la destinazione d’uso del bosco, la legge italiana prevede che nei territori coperti dagli incendi la caccia venga bloccata per dieci anni, in modo da facilitare il ripopolamento della fauna.
“Escludendo le ipotesi di una speculazione edilizia, quella di una ‘guerra di pascolo’ e quella di un incendio colposo – continua Giunti – sembra probabile l’origine dolosa degli incendi dello scorso ottobre”. A un mese dai roghi e fatte le valutazioni sul campo sembra che alla base del disastro ambientale dello scorso ottobre ci sia la mano umana.
Per quanto riguarda la fauna, Giunti sottolinea alcuni aspetti particolarmente importanti: “Abbiamo fatto censimenti specifici per valutare le perdite nella fauna locale. Al momento sembra che ci siano state delle vittime, ma non così tante come si poteva pensare in un primo momento. Possiamo immaginare che caprioli, cervi, lupi e cinghiali si siano allontanati ben prima che l’incendio gli arrivasse addosso. Anche gli uccelli si sono salvati. Ricordiamo che l’incendio è avvenuto in autunno, in un momento in cui nessun uccello ha il nido con gli implumi che non possono volare via. La fauna aviaria ha potuto fuggire o era già emigrata altrove.
Ci sarà stata una percentuale di animali soffocati, ma il problema non è tanto per gli animali superiori. Qui la tragedia che rasenta l’estinzione è a carico di tutta la componente del sottosuolo: collemboli, insetti, lombrichi, rane, rospi, serpenti, tritoni, cioè tutto il gruppo degli anfibi e tutto il gruppo dei rettili. E, naturalmente, una grandissima parte degli insetti che possono spostarsi ma non alla velocità del fuoco. Attenzione a non concentrarsi solo sui grandi alberi e sui grandi animali: qui l’azione è stata pesante anche sulle piccole componenti vegetali e tantissimo sulle piccole componenti animali”.
Come sottolineavamo in precedenza, la tempestività dell’ordinanza che ha bloccato gli accessi alle strade che si inerpicano verso il Rocciamelone ha evitato che potessero esserci vittime a Mompantero, senza dubbio il comune piemontese maggiormente danneggiato dalle fiamme nello scorso mese d’ottobre.
Scesi dal Pampalù abbiamo incontrato la sindaca di Mompantero, Piera Favro, che ha tracciato un quadro del passaggio del fuoco nel suo comune: “Alla fine di quanto è successo il bilancio non è negativo perché non contiamo nessuna vittima, nessuno si è ferito, c’è stato qualche intossicato, ma tutte le prime abitazioni sono state salvate. Domenica (29 ottobre, ndr) si è scatenato l’inferno a Mompantero: tenendo conto della drammaticità dell’evento e della sua durata possiamo dire che alla fine il bilancio è positivo. Ciò non deve ridimensionare la tragedia di quello che è successo all’interno del nostro territorio, fin sotto le falde del Rocciamelone, e nei comuni confinanti. Tutto il paese – eccezion fatta per una frazione situata lungo il fiume – è stato evacuato e i danni per l’ambiente e per gli ecosistemi sono enormi”.
Secondo Giunti le valli situate ai confini dell’Italia pagano anche una smobilitazione dello Stato. Non si tratta solamente dell’accorpamento della Guardia Forestale nell’Arma dei Carabinieri, ma di un processo di smobilitazione che va dal presidio e controllo delle località montane alle scuole, dagli ospedali agli uffici postali.
Nei prossimi mesi diversi soggetti si metteranno al lavoro nei boschi bruciati nello scorso ottobre: la Regione Piemonte, i singoli comuni, l’Università, il consorzio forestale e i singoli enti parco. Un lavoro che Giunti auspica possa essere comunicato alla persone e possa godere della partecipazione di chi il bosco lo vive quotidianamente o anche solo nel fine settimana.
Scendendo più a sud Guendalina Tondo, residente a Cumiana e promotrice della pagina Appello incendi IN Piemonte, ci racconta di un bosco nel quale la situazione si è normalizzata con le piogge di inizio novembre: “Sulle pendici del Monte Brunello, però, si sente ancora l’odore di bruciato. Nella parte bassa l’incendio è divampato grazie alla biomassa che ha incontrato nel sottobosco, mentre più in alto sono stati i pini e le resine a rendere incontrollabili i roghi per giorni. Ora la situazione è tranquilla, ma da alcuni giorni sta accadendo un fatto inedito: i camosci scendono fino a 700 metri per procurarsi del cibo”.
A Traversella sono arsi 600 ettari di bosco. Nelle scorse settimane è arrivata anche la neve. Il comune non ha ottenuto lo stato di calamità come è accaduto altrove: “Dopo gli incendi di ottobre è necessario creare delle piste tagliafuoco, pulire i bordi e tagliare gli alberi pericolanti – spiega la sindaca Renza Colombatto -. Senza lo stato di calamità le opere di prevenzione non possono essere finanziate e il nostro comune ha già un credito di 100mila euro con la Regione Piemonte per opere finalizzate alla prevenzione del dissesto idrogeologico. Come possiamo fare senza risorse?”.
Video | Davide Mazzocco
Foto | Davide Mazzocco e Paula Dias