La notizia di certo ha toccato più o meno tutti fra le tante del suo genere di questo 2016. Michael Cimino, regista da sempre molto schivo, pluripremiato e in seguito affossato dall’industria hollywoodiana, si è spento a 77 anni nella sua casa di Beverly Hills lo scorso due luglio. La scomparsa del cineasta è stata annunciata da Thierry Frémaux, direttore del Festival di Cannes e confermata poi dalla famiglia.
Una personalità da sempre avvolta nel mistero quella di Michael Cimino. Dagli anni ’80 in poi era letteralmente scomparso dalla circolazione, fino al 2002 quando decise di farsi intervistare dal giornalista Steve Garbarino per Vanity Fair in un articolo sottotitolato “The Final Cut” in cui Cimino si racconta la sua storia, dal successo immediato con Il cacciatore (1979 che gli valse ben cinque premi Oscar), alla caduta altrettanto repentina con I cancelli del Cielo (1980).
Fra le sue ultime apparizioni pubbliche ricordiamo la sua partecipazione, in veste di presidente della giuria della Sezione Documentari Internazionali al 14mo Festival CinemAmbiente, nella quale era affiancato dal regista Mimmo Calopresti, dalla curatrice del Festival International du film d’Environnement Myriam Gast Loup, dalla vj Paola Maugeri e dal geologo e conduttore Mario Tozzi. In quell’occasione il Michael Cimino che incontrò il pubblico del Festival non era affatto il grande regista americano che voleva dare lezioni di cinema anzi, si era ironicamente definito un impostore della settima arte, creando un’atmosfera dove hanno fatto da padroni la simpatia e la convivialità col pubblico.
Con un cappello da cowboy e un paio di vistosi occhiali da sole se lo ricorderanno chi ha avuto la possibilità di assistere alla proiezione di Verso il Sole, il suo ultimo film del 1996, al Cinema Massimo venerdì 3 maggio in presenza del direttore del Festival Gaetano Capizzi e del direttore del Museo del Cinema Alberto Barbera. Alla domanda del perché la scelta di presentare proprio questo film alla manifestazione rispose che “Il ricco dottore o l’avvocato (…) conosce la Natura solo quando c’è la possibilità che uno tsunami gli distrugga la proprietà. Non sa altro a riguardo.”
Verso il Sole parte come un classico thriller on the road: un rapimento con ostaggio e polizia alle calcagna. L’inseguimento del giovane detenuto malato di cancro Blue che ha rapito il suo medico curante, il dott. Reynolds, è solo un pretesto. È dapprima una fuga dalla pulita Los Angeles al lato più cupo bifolco e provinciale dell’America “civilizzata”, fino ad arrivare nel Grand Canyon, la Monument Valley e, infine il cuore più autentico di una nazione dilaniata da sempre e che Cimino ha raccontato con disincanto e crudezza da trent’anni.
Quello che racconta il film è il viaggio interiore che Reynolds subisce dentro di sé. Prima di esso costui era un medico rampante a LA, con macchina sportiva, una grande e bella e casa, una bella moglie, una bimba, la promessa di diventare il primario del reparto di oncologia. Una vita perfetta, insomma. Lui è il dottore a cui si riferiva Cimino mentre l’uragano ha il volto di Blue, infarcito di cultura consumistica volta all’autodistruzione (si ingozza di pancetta e uova, cita Tupac) ma che non ha dimenticato chi è, uno dei tanti fili messi lì dagli Antichi Spiriti del suo popolo, i Navajo, colui che ha il legame più puro e forte con la Natura. Sarà lui che, di fronte al Grand Canyon, salverà il dottore dal morso di un serpente a sonagli elettrizzando la gamba morsa per bruciare la proteina del veleno. Ancora una volta lo scontro fra la civiltà e la wilderness ma qui virato in favore di quest’ultima. Reynolds resta fino all’ultimo scettico sulle intenzioni del suo carceriere, mentre Blue è fermamente sorretto nel suo proposito, lui che fa suo un mantra che recita continuamente: “La Natura è sopra di me, la Natura è sotto di me, la Natura è tutta intorno a me...”.
Lui ha una fede incrollabile verso la Natura una fede che Noi abbiamo perso ma che Cimino, in tutto il suo cinema ha mostrato in netta superiorità rispetto all’uomo. I campi lunghi e lunghissimi di in cui si perde l’orizzonte che fanno sfondo alle vicende de Una calibro 20 per lo Specialista (1974), I cancelli del Cielo, o Ore disperate (1990) sono un chiaro messaggio di come le vicende umane, sono minuscole, piccolissime rispetto alla vastità del mondo che le circonda, di quella Natura che si dissocia, che fa sparire tutto in un polverone. I suoi personaggi si perdono nel paesaggio, spesso tornando a essere parte di esso, cercando salvezza e purificazione dal male fisico e dalle colpe nell’acqua. Aveva capito per primo l’importanza della Natura nel cinema di Cimino Mike Vronsky/Robert De Niro ne Il cacciatore durante una battuta di caccia, quando deciderà d’abbassare il fucile di fronte alla preda.
Scopo principe del viaggio di Verso il sole è, insomma, quello di spogliarsi dall’ipocrisia che avvolge l’Uomo all’interno della città, non permettendogli di rompere quella pellicola che lo fa entrare a contatto con la Natura. Probabilmente è questo il messaggio ultimo del cinema di Cimino, che per anni ha lottato per la genuinità del suo lavoro: ricercare la genuinità dentro se stessi per poter rientrare a contatto con qualcosa che si crede faccia solamente da sfondo ma nella quale si può ritornare, lasciarsi cullare e sentirsi nuovamente liberi.
Trailer di “Verso il Sole” (1996)