Velocità, risate, improbabili tentativi di acrobazie e qualche, inevitabile caduta. Le piste di pattinaggio su ghiaccio rievocano nelle menti ricordi di fredde giornate all’aria aperta, trascorse il più delle volte con amici o famiglia mentre altri, pantofolai o esperti sciatori, preferivano rintanarsi in un bar a bere cioccolata calda o lanciarsi giù per i pendii innevati. Anche questa apparentemente innocua attività ha, tuttavia, un suo rovescio della medaglia, che si riassume in una semplice verità: le piste di pattinaggio consumano una quantità enorme di energia.
In Svezia, ad esempio, secondo alcuni studi il consumo medio di una pista ammonta a circa 1000 MWh all’anno. Il sistema di refrigerazione tradizionale, di solito con una capacità di raffreddamento intorno 300-350 kW, è l’elemento che determina il maggiore impatto, con circa il 43% dell’energia totale. Se trasponiamo la situazione alle nostre latitudini e alle nostre temperature ci renderemo conto che l’impronta energetica e idrica delle seppur piccole superfici ghiacciate che si moltiplicano nelle città in questo periodo è notevole.
A fronte di queste problematiche e degli alti costi gestionali che ne conseguono, si sono sviluppati, negli ultimi anni, progetti che mirano a sostituire il ghiaccio tradizionale con il cosiddetto “ghiaccio ecologico”, artificiale o sintetico. Si tratta di strati di polimeri plastici che, trattati in modo da avere la stessa consistenza del ghiaccio senza necessità di raffreddamento, possono essere utilizzati tutto l’anno con consumi pari a zero. Sono composti da materiale- tutte le case produttrici, in Italia come all’estero, tengono a specificarlo sui loro siti- riciclabile al 100% e non tossico.
Al contrario, nel 2014 la comunità di Gimo, situata a circa 120 km a nord di Stoccolma, ha dotato la sua pista di pattinaggio sportivo con un’innovazione del sistema di raffreddamento: la cosiddetta tecnologia della CO2 transcritica che, in poche parole, utilizza l’anidride carbonica per recuperare calore e limitare, dunque, i consumi di energia. Una valutazione realizzata da esperti di analisi energetica ha rilevato che, anche se l’inverno svedese dell’anno esaminato è stato particolarmente caldo, il totale recuperato di calore è stato pari a 466.000 kWh. “La pista di ghiaccio, con il suo sistema di refrigerazione e riscaldamento combinato, ha recuperato il 71% del calore disponibile e coperto il 100% della domanda – nessun calore supplementare è stato usato” ha dichiarato l’analista di Energi & Kylanalys Jörgen Rogstam.
Non hanno invece problemi di raffreddamento a Edmonton, nella provincia canadese dell’Alberta: la sua temperatura atmosferica resta sotto la soglia del gelo per cinque mesi all’anno e, in gennaio, la temperatura media si aggira intorno ai -12°. Una situazione per molti versi difficile e poco appetibile, che permette però un radicale cambio di prospettiva. E’ qui che è nato il progetto di Freezeway, ideato dal giovane studente dell’Università della Columbia britannica Matt Gibbs, che lo aveva descritto dettagliatamente nella sua tesi di architettura: si tratta di una sorta di autostrada dedicata ai cittadini pattinatori, che consente loro di utilizzare “le lame” per gli spostamenti quotidiani.
Utile e dilettevole, quindi, per un’iniziativa che prevede un percorso di 11 chilometri realizzato su corridoi urbani già esistenti, fra cui una ferrovia abbandonata. E, nelle stagioni in cui il clima non mantiene la rigidità necessaria al mantenimento del ghiaccio, la strada è destinata a diventare una pista ciclabile, nell’ottica di creare, a detta dei progettisti: “una comunità e una cultura che attende la stagione invernale pregustandola con trepidazione”.
E se l’attesa non è un ostacolo ma un valore aggiunto, si può dire che, tra impianti di raffreddamento e ghiaccio sintetico, la vera regola d’oro della sostenibilità in tutti i campi (dall’alimentazione, all’approvvigionamento energetico fino alle scelte ludiche) resta questa: sapersi porre dei limiti e saper adattare i propri desideri ai ritmi di territori e stagioni, riducendo al massimo le forzature per evitare di pesare sull’ambiente.