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Distruzione prodotti tessili, un problema per l’ambiente

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Distruzione prodotti tessili, un problema per l’ambiente ultima modifica: 2024-03-21T06:30:57+01:00 da Marco Grilli
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La distruzione dei prodotti tessili restituiti o invenduti evidenzia l’inefficienza dei sistemi lineari di produzione e consumo, il briefing dell’Agenzia europea per l’ambiente

Il consumismo fatica a conciliarsi con la tutela dell’ambiente. Gli studi disponibili dimostrano che il 4-9% dei prodotti tessili immessi nel mercato europeo finiscono per esser distrutti prima di un loro utilizzo, poiché rimasti invenduti o restituiti.

Si tratta di un totale compreso tra le 264mila e le 590mila tonnellate all’anno di tessili, che generano emissioni di gas serra fino a 5,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. “La distruzione dei prodotti tessili restituiti e invenduti nell’economia circolare europea” è il titolo del briefing appena redatto dall’Agenzia europea dell’ambiente (EEA), che offre una panoramica delle conoscenze su questa materia, sottolineando i suoi impatti negativi evitabili sull’ambiente e sul clima e la necessità della transizione verso un’economia tessile circolare nell’Unione europea (Ue).

Il briefing è supportato da una relazione tecnica del Centro tematico europeo sull’economia circolare e l’uso delle risorse (ETC CE) dell’EEA.

I prodotti tessili restituiti

Per quanto riguarda i capi d’abbigliamento venduti online in Europa, uno su cinque viene restituito (20% del totale), per un tasso di reso che è tre volte superiore a quello dei negozi fisici. “Stimiamo che il 22-43%, ovvero in media un terzo di tutti gli indumenti restituiti acquistati online, finisca per essere distrutto, specifica il briefing.

Nel 2022 il settore tessile e dell’abbigliamento dell’Ue è tornato ai livelli pre-pandemici con un fatturato di 167 miliardi di euro (+14% rispetto al 2021), mentre le famiglie hanno speso circa 282 miliardi di euro in abbigliamento (media di 630 euro procapite) e 68 miliardi di euro in calzature, con una crescita del 15% rispetto all’anno precedente.

Notevole è pure l’aumento della vendita online, cresciuta di oltre il 50% nel decennio 2010-2020, con abbigliamento sportivo, scarpe e/o accessori a farla da padrone. Nel 2022 il 68% degli acquirenti in rete ha acquistato questo genere di prodotti, mentre l’aumento maggiore degli acquisti è stato registrato nella fascia di persone tra i 45 ed i 74 anni di età.

Le calzature hanno addirittura un tasso medio di restituzione nell’Ue che si attesta al 30%, più in generale “i tassi di reso per i prodotti di moda e lifestyle sono significativamente più alti di quelli osservati per altre categorie di prodotti. L’impossibilità di ispezionare da vicino o toccare con mano i prodotti prima dell’acquisto, combinata con significative variazioni di taglia tra i marchi, rendono l’abbigliamento e le calzature particolarmente soggetti a tassi di reso elevati. Il 70% dei resi è causato da una scarsa vestibilità o da uno stile non apprezzato dall’acquirente”, si legge nel briefing.

A restituire di più sono i giovani nella fascia tra i 18 e i 24 anni, mentre i prodotti con maggiore probabilità di essere rispediti al mittente sono quelli dal prezzo più elevato. Arriviamo dunque alle problematiche: i processi di restituzione si rivelano lunghi e complessi ed i costi di gestione dei resi sono davvero notevoli, includendo quelli riguardanti la logistica, lo smistamento, le sostituzioni, i rimborsi, l’assistenza clienti e la svalutazione dei beni per ribassi, liquidazione o distruzione.

Secondo uno studio condotto dall’Institute of Positive Fashion del British Fashion Council, l’elaborazione di ogni reso online costa a un rivenditore circa dal 55% al ​​75% del prezzo al dettaglio di un prodotto. Ciò è dovuto principalmente all’elevato numero di fasi ad alta intensità di lavoro”, rivela il briefing.

Ma che fine fanno i prodotti restituiti? Nel migliore dei casi vengono riassortiti e venduti a prezzo pieno; in alternativa finiscono per essere dati in beneficenza, liquidati, venduti a intermediari (i cosiddetti jobbers) o, nella peggiore delle ipotesi, distrutti. “Tuttavia, alcuni prodotti che vengono riassortiti o destinati ai mercati secondari possono comunque finire per essere distrutti, specifica l’EEA.

Per evitare i resi, le aziende possono ricorrere a varie azioni (descrizioni accurate dei prodotti, consigli sulle taglie, tecnologie di adattamento digitale ecc.), oppure adottare strategie di gatekeeping, ad esempio non concedendo un periodo troppo lungo per la restituzione gratuita, sensibilizzando sui costi economici, ambientali e climatici associati a tale processo e rinunciando a fornire resi gratuiti sugli acquisti online.

Sebbene le norme dell’UE garantiscano ai consumatori il diritto di annullare e restituire prodotti o servizi acquistati online entro 14 giorni dall’ordine, stabiliscono anche che il venditore può addebitare il reso e/o non coprire i costi di spedizione del reso, purché questo sia chiaramente indicato al momento dell’acquisto”, chiarisce lo studio dell’EEA.

I prodotti tessili invenduti

Stando alle fonti disponibili, i prodotti tessili che restano invenduti nei negozi sono il 21% del totale. Tale calcolo è però molto complicato perché sono poche le aziende che comunicano questi dati ed i rapporti forniti dalle stesse ditte d’abbigliamento si rivelano spesso poco trasparenti.

Soprattutto l’ormai tanto diffuso fast fashion si caratterizza per la grande varietà di beni prodotti in termini di stili, colori e taglie: un portafoglio diversificato che cerca di venire incontro alle esigenze dei consumatori ma che può provocare un eccesso di scorte, viste le difficoltà di previsione delle vendite. Quest’ultime sono infatti soggette a numerose variabili, dalle condizioni meteorologiche agli spazi disponibili nei negozi, fino alle variazioni geografiche nei consumi.

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La maggior parte della produzione di abbigliamento ad alta intensità di manodopera avviene nel Sud del mondo, soprattutto in Asia, dove prevalgono salari bassi, rendendo più vantaggioso produrre troppo piuttosto che perdere potenziali vendite. Ciò è ulteriormente aggravato dalle economie di scala e di scopo, specifica il briefing. In pratica, “non solo un portafoglio diversificato è in media meno costoso da produrre, ma avere un’elevata diversificazione dei prodotti e produrre grandi quantità è in media meno costoso per prodotto rispetto alla produzione di quantità minori e di meno tipi di prodotti. Questa situazione porta quindi alla sovrapproduzione di tipologie, stili, colori e taglie di prodotti”.

Per ovviare a tali problematiche l’EEA suggerisce di rendere più precise le previsioni di vendita e migliorare la gestione delle scorte. La quota di prodotti tessili invenduti potrebbe inoltre essere ridotta “ottimizzando il processo di ordinazione, stoccaggio, utilizzo e vendita delle materie prime, dei componenti e dei prodotti finiti di un’azienda” .

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La distruzione dei prodotti tessili 

Nel settore della moda la pratica di distruggere capi di abbigliamento restituiti od invenduti vige almeno dagli anni Ottanta. Con l’impatto sull’ambiente e sul clima che possiamo immaginare.

Pur considerando che solo il 3% delle emissioni dannose per l’ambiente derivanti dai tessili proviene dalla distribuzione e dalla vendita al dettaglio, “resi dei clienti portano a una serie di processi, che implicano tutti il ​​consumo di risorse ed energia – ovvero riconfezionamento, trasporto, smistamento, classificazione e altre attività legate ai resi – e l’uso dello spazio, che richiede riscaldamento e luce”.

I capi invenduti, a loro volta, sono associati a impatti ambientali e climatici diretti e indiretti, che includono anche il consumo di energia legato allo stoccaggio ed al trasporto aggiuntivo. Completa il quadro la distruzione sotto forma di incenerimento, tesa a rilasciare non solo CO2 ma anche altri inquinanti atmosferici. Peggior sorte tocca poi ai prodotti invenduti esportati nei Paesi poveri, in Africa od in Asia, che in larga parte si trasformano in rifiuti sepolti in  discariche a cielo aperto od inceneriti con gravi conseguenze in termini di inquinamento.

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Leggi e proposte

L’EEA invita a sostenere modelli e politiche di economia circolare per affrontare il problema della sovrapproduzione e della distruzione dei prodotti tessili. Alle misure soft, che includono le campagne informative ed educative per ridurre i resi dei clienti e le merci invendute, possono poi essere aggiunti strumenti più hardquali leggi e tasse.

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“Gli interventi politici possono potenzialmente mirare ad aumentare il costo di produzione in modo che la sovrapproduzione diventi una responsabilità finanziaria per i marchi, cosa che sarebbe più nel loro interesse evitare, incentivando al contempo la ridistribuzione, sottolinea il briefing.

Intanto, a fine 2023, a livello europeo è stato raggiunto un accordo su una proposta di regolamento che istituisce un quadro per la definizione dei requisiti di progettazione ecocompatibile per i prodotti sostenibili (ESPR). Si tenta di migliorare la circolarità, l’efficienza energetica, l’efficacia delle risorse e altri aspetti di sostenibilità ambientale per particolari categorie di prodotti immessi sul mercato europeo.

Fatto importante, l’articolo 20 della proposta stabilisce un obbligo generale di trasparenza per gli operatori economici che scartano i prodotti di consumo invenduti (compresi capi d’abbigliamento e calzature), aprendo alla possibilità di vietarne la distruzione con la sola esenzione per le piccole e medie imprese. Il divieto sarebbe applicabile due anni dopo l’entrata in vigore del regolamento. La distruzione dei prodotti tessili potrebbe presto arrivare al capolinea.

[Credits foto: Pexels su Pixabay]

Distruzione prodotti tessili, un problema per l’ambiente ultima modifica: 2024-03-21T06:30:57+01:00 da Marco Grilli

Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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