Negli Urali meridionali c’è un’ampia regione fortemente radioattiva, ma per 30 anni non se ne è saputo nulla. Il documentario Metamorphosen ne narra la storia.
Metamorphosen è il documentario che narra di un segreto molto ben custodito, ecco l’argomento di questo pezzo di Storia. Negli Urali meridionali esiste una regione fortemente radioattiva, ampia circa 20.000 chilometri quadrati: l’aria e l’acqua sono contaminate da materiali nucleari, fuoriusciti incidentalmente nel 1957 dalla vicina fabbrica di Mayak (costruita sul luogo nel 1948 con il fine di produrre armi atomiche), e riversatisi inesorabilmente nei fiumi della zona.
La regione è ora considerata come la più contaminata del mondo a livello di uranio, ma nessuno ha saputo del disastro per più di trent’anni. “La radiazione è invisibile, non ha odore” afferma uno dei protagonisti di “Metamorphosen”, un documentario del regista tedesco Sebastian Mez, che ha deciso di portare la vicenda sullo schermo.
“Nel 2011, dopo il disastro nucleare di Fukushima, in Giappone, i media di tutto il mondo stimarono le conseguenze delle radiazioni rilasciate sulle persone e sull’ambiente. Esperti e scienziati fecero paragoni con il disastro di Chernonbyl del 1986. Fui sorpreso che nessuno parlasse di Mayak” afferma il regista. “Mi sono reso conto che, ancora oggi, uno dei peggiori disastri nucleari della storia è sconosciuto al grande pubblico. Ho pensato che questa storia dovesse essere raccontata e ho quindi deciso di farne un film”.
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Riuscire a trasformare subdole, impercettibili radiazioni in qualcosa di visibile attraverso gli occhi, le facce e le voci delle persone che vivono nell’area è la vera sfida del film, girato in bianco e nero. “Invece di avere un personaggio investigatore, con il suo atteggiamento scandalizzato, con molti fatti e informazioni, volevo l’attenzione su quel che per me era davvero necessario: la gente. Ho cercato di realizzare le immagini più adatte alle loro storie, delle loro esperienze e che, combinate con il suono, provocassero la sensazione di “qualcosa” che non è visibile o udibile. Volevo che il pubblico percepisse il pericolo nelle immagini, senza dover mostrare un rilevatore di radiazioni per tutto il tempo”.
Effettivamente gli uomini, le donne e soprattutto i bambini del film sembrano condurre una vita normale: i ragazzini giocano, ridono, cantano e ballano come ogni altro ragazzino nel mondo. Ma il contrasto con i lunghi silenzi, i paesaggi immobili e persino la protratta insistenza sui dettagli delle abitazioni rivelano che qualcosa non va.
La ricostruzione di un testimone oculare dell’incidente in cui il reattore Ludmilla fu sul punto di esplodere, i racconti sulle malattie di persone e animali esposti alle crescenti radiazioni…tutto non fa che confermare ciò che le immagini suggeriscono. Oltretutto, l’impianto rimane in funzione e continua a contaminare l’area circostante. “Viviamo qui come cavie da laboratorio, vogliono vedere quanto sopravviviamo” afferma con sorprendente compostezza una coppia che abita vicino al fiume.
E proprio qui si colloca l’importanza di diffondere la vicenda con la straordinaria potenza del cinema. “Metamorphosen” è stato selezionato per molteplici festival di cinema ambientale in tutto il mondo, ricevendo peraltro una serie di riconoscimenti all’interno del circuito del Green Film Network: il Prémio Juventude a CineEco Seia 2013, il Best International Feature Film Award a Planet in Focus 2013, il Grande Premio Cora Coralina a melhor Obra a FICA 2014, il GreenDox Award al Dokufest Prizren 2014, lo Special Jury Prize al Green Film Festival Seoul 2015, il Best International Feature Award a Ecozine Film Festival 2015.
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Sacrosanti tributi a un documentario che ha il merito di colmare un’enorme lacuna in ambito ambientale e di creare poco a poco una coscienza collettiva là dove regna il silenzio di una terra dimenticata dal mondo.