La contaminazione da PFAS nelle acque potabili italiane è stata mappata da Greenpeace nell’ambito dell’indagine Acque senza veleni
Greenpeace Italia ha realizzato la prima mappa della contaminazione da PFAS (composti poli e perfluoroalchilici) nelle acque potabili italiane.
I risultati dei campionamenti, effettuati nei mesi di settembre e ottobre del 2024 in ben 235 città di tutte le Regioni e le Province autonome, sono stati presentati il 22 gennaio a Roma e si sono rilevati tutt’altro che incoraggianti. I PFAS sono infatti presenti nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati dall’organizzazione ambientalista nell’ambito dell’indagine indipendente Acque senza veleni.
“Le molecole più diffuse sono risultate, nell’ordine, il cancerogeno PFOA (nel 47% dei campioni), seguito dal composto a catena ultracorta TFA (in 104 campioni, il 40% del totale, presente in maggiori quantità in tutti quei campioni in cui è stato rilevato) e dal possibile cancerogeno PFOS (in 58 campioni, il 22% del totale)”, comunica Greenpeace.
I PFAS
I PFAS, composti a catena relativamente lunga di atomi di carbonio saturati con atomi di fluoro, hanno trovato un largo impiego industriale a partire dagli anni Cinquanta ma si configurano come sostanze molto inquinanti, ad accumulo, mobili e particolarmente nocive per la salute umana e per l’ambiente.
PFAS nelle acque potabili in Piemonte, il report di Greenpeace
Come precisato dall’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), “sono note come ‘sostanze chimiche permanenti’, in quanto sono estremamente persistenti nel nostro ambiente e organismo. Possono avere effetti negativi sulla salute come danni al fegato, malattie della tiroide, obesità, problemi di fertilità e cancro”.
L’indagine
Acque senza veleni è un’importante indagine sorta dall’esigenza di sopperire alla scarsità se non all’assenza di controlli da parte delle istituzioni, al fine di fornire risposte alla crescente preoccupazione della popolazione su questo tema così spinoso e delicato, che sconta pure la mancanza di dati pubblici. “L’obiettivo della nostra indagine è fare luce su una delle forme di inquinamento più pericolose che abbia mai colpito il nostro Paese e spingere le istituzioni a mettere in atto misure concrete per proteggere la popolazione contro i PFAS”, chiarisce Greenpeace Italia.
Grazie ai 260 campioni raccolti, l’organizzazione ambientalista non ha solo realizzato la prima mappa nazionale della contaminazione da PFAS nelle acque potabili italiane, ma ha anche monitorato più del doppio delle sostanze che la nuova direttiva europea impone di quantificare (58 rispetto a 24), analizzando inoltre la presenza di molecole ultracorte (ad esempio il TFA, l’acido trifluoroacetico) su cui non sono disponibili dati pubblici nel nostro Paese, nonostante le preoccupazioni della comunità scientifica internazionale per i loro effetti sulla salute umana.
I campioni, raccolti prevalentemente presso fontane pubbliche, sono stati analizzati da un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei PFAS. Per ogni Provincia i campionamenti hanno riguardato tutti i Comuni capoluogo ed almeno un altro Comune, mentre in alcune grandi città sono stati eseguiti due campionamenti.
I risultati
Il 79% dei campioni di acqua potabile analizzati (206 su 260) è risultato contaminato e solo in 54 campioni (21%) non è stata riscontrata la presenza di alcun PFAS.
Al netto del numero differente di campioni analizzati per ogni Regione, la contaminazione su scala regionale può essere ricavata dal numero di campioni contaminati rispetto al totale. Le situazioni più critiche si registrano in Liguria (8/8), Trentino Alto Adige (4/4), Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31). Abruzzo, Sicilia e Puglia risultano invece le Regioni meno contaminate.
“L’analisi dei 260 campioni dimostra una diffusa presenza di questi composti pericolosi, con almeno tre campioni positivi per ogni Regione, eccezion fatta per la Valle d’Aosta in cui sono stati prelevati solo due campioni. Livelli elevati si registrano in Lombardia (ad esempio in quasi tutti i campioni prelevati a Milano) e in numerosi comuni del Piemonte (Torino, Novara, alcuni comuni dell’alessandrino, ma anche Bussoleno in Valle di Susa), del Veneto (anche in comuni fuori dall’area rossa già nota per essere tra le più contaminate d’Europa, come Arzignano, Vicenza, Padova e Rovigo), dell’Emilia-Romagna (Ferrara, Comacchio, Reggio Emilia), della Liguria (Genova, Rapallo, Imperia), della Toscana (Arezzo, Lucca, Prato), della Sardegna (Olbia, Sassari e Cagliari) e Perugia in Umbria”, specifica Greenpeace Italia.
Se invece consideriamo il parametro di legge “somma di PFAS”, ovvero l’addizione di 24 molecole il cui valore non dovrà superare 100 nanogrammi per litro a partire dal gennaio 2026, le città con le concentrazioni più elevate sono risultate Arezzo, Milano (Via Padova) e Perugia.
PFOA, TFA e PFOS
Il PFAS più diffuso è il cancerogeno PFOA (acido perfluoroottanoico), la cui presenza è stata rilevata in ben 121 Comuni. Si tratta di un composto vietato ormai da alcuni anni a livello globale, ancora però molto diffuso nelle acque potabili italiane. I livelli più elevati di contaminazione sono stati riscontrati nel Comune di Bussoleno (TO) con 28,1 nanogrammi per litro, seguito da Rapallo (Ge), Tortona (Al) e Torino (Corso Sclopis). Nel capoluogo piemontese la situazione è piuttosto critica perché alte contaminazioni sono state rilevate pure in altri due punti di prelievo, rispettivamente Piazza Borromini (15,8 nanogrammi per litro) e Corso Castelfidardo (15,3 nanogrammi per litro).
Dopo il PFOA, il più rilevato nei campioni dell’indagine è stato il TFA, ovvero a molecola del gruppo dei PFAS più diffusa sul pianeta, ancora oggetto di approfondimenti scientifici. Si tratta di una sostanza persistente e indistruttibile, impossibile da rimuovere tramite i più comuni trattamenti di potabilizzazione.
Il comune di Castellazzo Bormida (Al) ha fatto registrare i valori più elevati (539,4 nanogrammi per litro), seguito da Ferrara (375,5 nanogrammi per litro) e Novara (372,6 nanogrammi per litro), mentre la Sardegna (77% dei campioni positivi), il Trentino Alto Adige (75%) ed il Piemonte (69%) sono risultate le Regioni più contaminate dal TFA.
Il PFOS (perfluorottano sulfonato), classificato come possibile cancerogeno e bandito a livello globale nell’ambito della Convenzione di Stoccolma, è stato invece riscontrato nel 22% dei campioni (58 su 260). Milano (Via delle Forze Armate), Bussoleno (To) e Ancona (Piazza Fontana) sono i centri urbani che hanno fatto registrare i valori più elevati.
La normativa sulla contaminazione dal PFAS
Attualmente in Italia nessun regolamento disciplina la presenza dei PFAS nelle acque potabili. Solo dal prossimo anno entrerà in vigore anche nel nostro Paese la direttiva europea 2020/2184, che stabilisce un valore limite pari a 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 PFAS. Per Greenpeace Italia si tratta però di un provvedimento insufficiente per la tutela della salute, poiché i parametri europei risultano già superati dalle più recenti evidenze scientifiche, come rivelato dalla stessa EEA.
Gli Stati Uniti ed alcuni Paesi europei (Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia, regione belga delle Fiandre) si sono quindi già mossi ed hanno adottato limiti più bassi, mentre ancora dall’Italia tutto tace.
L’indagine di Greenpeace ha rivelato che l’acqua potabile erogata in molte aree italiane non sarebbe considerata sicura per la salute umana in altri Paesi: ad esempio il 41% dei campioni analizzati supera i limiti sui PFAS nell’acqua vigenti in Danimarca, il 22% le soglie introdotte negli Stati Uniti.
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“Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno mai affrontato seriamente il problema PFAS e anche il governo attuale non fa eccezione. L’Italia purtroppo non figura tra i Paesi promotori di un divieto per l’uso e la produzione di queste sostanze in Europa. Inoltre, nel recepire la legge europea che pone dei limiti ai PFAS nelle acque potabili, il nostro governo, a differenza di numerosi Paesi europei (Germania, Svezia e Danimarca solo per citarne alcuni), non ha scelto di adottare valori limite più restrittivi in grado di proteggere adeguatamente la salute umana”, denuncia Greenpeace Italia.
“Azzerare questa contaminazione è un imperativo non più rinviabile. Il governo Meloni deve rompere il silenzio su questa crisi: la popolazione ha diritto a bere acqua pulita, libera da veleni e contaminanti”, il commento di Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
Le richieste
Per garantire a tutti i cittadini il diritto all’accesso ad acqua pubblica pulita e non contaminata, Greenpeace Italia chiede al governo di abbassare la soglia di PFAS consentita nelle acque potabili, per allinearla a quella già vigente ad esempio in Danimarca e negli Stati Uniti.
Dovrebbe inoltre essere fissato per le industrie un valore limite allo scarico di queste sostanze in ogni matrice (acqua, aria, suoli), promuovendo anche un piano di riconversione industriale per abbandonare i PFAS in favore delle soluzioni alternative già disponibili.
Già da tempo, inoltre, Greenpeace Italia invoca l’obiettivo massimo ed ha lanciato una petizione – sottoscritta da oltre 136 mila persone – che chiede al governo di mettere al bando l’uso e la produzione di tutti i PFAS, provvedendo alla loro sostituzione con alternative più sicure e già disponibili nella quasi totalità dei settori industriali.
[Credits foto: Greenpeace Italia]
