La contaminazione da PFAS delle acque potabili in Piemonte riguarda anche zone della città metropolitana di Torino con oltre 70 Comuni coinvolti, ecco il report di Greenpeace
Il problema delle acque potabili contaminate da PFAS non riguarda più solo vaste aree del Veneto, della Lombardia e della provincia di Alessandria, in Piemonte. Un nuovo report, appena pubblicato da Greenpeace Italia e basato su dati ufficiali degli enti pubblici piemontesi, ha rilevato che questo tipo di inquinamento interessa anche altre zone della città metropolitana di Torino, con ben 70 Comuni coinvolti, capoluogo compreso.
“Nella regione Piemonte circa 125 mila persone potrebbero aver bevuto acqua contaminata da PFOA, una molecola del gruppo dei PFAS classificata come cancerogena per gli esseri umani”, comunica Greenpeace, che ha pubblicato pure una mappa dettagliata dei Comuni piemontesi in cui gli enti preposti hanno verificato la presenza di PFAS dal 2019 al 2023.
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Da segnalare che i dati sulla presenza di PFAS nelle acque potabili sono stati forniti solo da 10 dei 43 enti pubblici a cui Greenpeace aveva inoltrato la richiesta, a testimonianza di quanto questo tipo di inquinamento sia ancora sconosciuto in Piemonte e quindi fuori controllo.
Lo stabilimento incriminato
A Spinetta Marengo, frazione del Comune di Alessandria, si trova il polo chimico di Solvay Specialty Polymers, lo stabilimento ritenuto la principale fonte di contaminazione del bacino del Po. Lo sosteneva già nel 2007 lo studio Perforce, coordinato dall’Università di Stoccolma, secondo cui Solvay Solexis era la principale fonte di emissione di PFOA nel fiume Po.
Successivamente altri studi scientifici hanno confermato la validità di questa ipotesi. Da decenni quindi lo stabilimento continua a rilasciare ingenti quantità di sostanze pericolose tramite le acque reflue. Purtroppo la contaminazione riguarda non solo il suolo ma anche l’atmosfera. Stando a dati recenti forniti da ARPA Piemonte, l’azienda emette infatti decine di nanogrammi di PFAS in un raggio di 20 chilometri intorno al polo industriale, tramite 70 camini per i quali non sono mai state richieste autorizzazioni alle autorità competenti.
I PFAS e la loro pericolosità
Impossibili da degradare nell’ambiente e per questo definiti inquinanti eterni, i PFAS, ovvero le sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, sono un ampio gruppo di molecole di sintesi utilizzate in moltissimi processi industriali e per la produzione di oggetti di uso comune, quali i cartoni per le pizze, le pentole antiaderenti e la cera per i pavimenti.
Stabili, idrorepellenti e resistenti alle alte temperature, hanno trovato un largo impiego per tali caratteristiche, ma a queste proprietà positive sommano tanti effetti negativi, poiché si tratta di sostanze chimiche persistenti e tossiche a basse concentrazioni, ad accumulo, nocive all’ambiente ed alla salute umana.
I PFAS sono infatti interferenti endocrini e possono provocare danni al fegato, malattie della tiroide, problemi di fertilità, obesità e cancro. Uno dei PFAS, ovvero l’acido perfluorottanoico (PFOA), lo scorso novembre è stato posto nella categoria 1, quindi tra le sostanze sicuramente cancerogene per l’uomo, dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc). Non pochi rischi anche per il PFOS (acido perfluoroottansolfonico), che dalla stessa Iarc è stato classificato come potenzialmente cancerogeno.
“I composti cancerogeni non hanno una soglia tollerabile nelle acque potabili e per il PFOA non abbiamo dati che possano indicarne una” ha dichiarato l’epidemiologo statunitense Kyle Steenland, uno dei massimi esperti mondiali di PFAS.
Nel gennaio 2026 entrerà in vigore la direttiva comunitaria 2184/2020 che obbligherà gli Stati membri ad imporre un limite nell’acqua potabile per la somma di 24 molecole appartenenti al gruppo dei PFAS, fissato a 100 nanogrammi per litro. Nel frattempo in Italia non esiste ancora una legge per regolamentare questi inquinanti eterni.
Nella Regione Veneto, dove si è verificato il caso più eclatante di inquinamento da PFAS originato dall’ex stabilimento Miteni a Trissino (Vi), vigono una semplice raccomandazione (300 nanogrammi per litro) ed una delibera della giunta regionale (DGR 1591/2017), che ha indicato un valore limite per la somma di PFOA e PFOS (40 nanogrammi per litro).
I dati degli enti pubblici e i campionamenti di Greenpeace
Solo il 23,2% degli enti pubblici piemontesi ha risposto alle istanze di accesso agli atti (FOIA) presentate da Greenpeace Italia per valutare la contaminazione regionale da PFAS. Tra il 2019 ed il 2023 sono stati analizzati 671 campioni di acqua potabile: ebbene, nel 51% di questi è stata riscontrata la presenza di PFAS, con le positività maggiori rilevate in provincia di Alessandria.
“In questa area cinque comuni, ubicati lungo il fiume Scrivia, hanno evidenziato la presenza degli inquinanti in tutti i prelievi effettuati in questi anni: Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Molino dei Torti, Guazzora e Tortona. Infatti, nei 24 campioni raccolti in queste località è sempre stato trovato il PFOA, il PFAS noto per essere cancerogeno, in concentrazioni variabili e comprese tra 19 e 190 nanogrammi per litro. Sempre nell’alessandrino le concentrazioni maggiori sono state rilevate a Montecastello nel maggio del 2020, con 470 nanogrammi per litro per la somma di PFAS”, si legge nel report.
Dai dati riguardanti la rete idrica di 291 Comuni della città metropolitana di Torino è emersa la presenza di PFAS in 77 di questi (26,5% del totale). “Nello specifico, per la città metropolitana di Torino il 45% dei campioni è risultato positivo alla presenza di PFAS”, chiarisce Greenpeace.
L’organizzazione ambientalista ha condotto un’ulteriore indagine indipendente tramite 15 campionamenti di acque potabili effettuati in otto province piemontesi, per lo più presso punti sensibili quali le fontane pubbliche dei parchi giochi. I risultati delle analisi eseguite da un laboratorio indipendente accreditato sono decisamente preoccupanti: cinque campioni su 15 hanno evidenziato la presenza di PFAS.
Per i Comuni in provincia di Alessandria che insistono sul fiume Scrivia sono stati confermati gli esiti degli enti pubblici in merito alla presenza di PFOA. Il quinto campione positivo è stato rilevato a Galliate (No), dove sono stati riscontrati 12 nanogrammi per litro di PFOS, ovvero concentrazioni ritenute non sicure per la salute umana in altri Stati. Il limite negli Stati Uniti, ad esempio, è di quattro nanogrammi per litro sia per il PFOA che per il PFOS.
Le criticità
“I dati presentati in questa indagine evidenziano come il problema PFAS in Piemonte sia diffuso e interessi diversi punti della rete acquedottistica. In regione è nota da tempo una fonte rilevante di contaminazione per l’intero bacino del fiume Po (Solvay) e l’impressione è che si sia voluto limitare a questa fonte il controllo su una contaminazione che invece parrebbe essere più ampia”, si legge nel report.
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Greenpeace lamenta le verifiche lacunose e limitate solo ad alcune aree da parte degli enti pubblici, con evidente sottostima della situazione. Quando poi vengono rilevate criticità nelle acque potabili, gli interventi degli enti pubblici paiono “tutt’altro che uniformi e, in alcuni casi, non cautelativi per la salute umana”, sottolinea il report. “A Montecastello un pozzo altamente contaminato è stato chiuso nel 2020 mentre in altri comuni dello Scrivia, con livelli simili di PFOA, una sostanza cancerogena, gli interventi, tutt’altro che risolutivi, sono stati tardivi e avviati solo dopo la richiesta dei dati da parte di Greenpeace Italia (Alzano Scrivia, Guazzora, Isola Sant’Antonio e Molino dei Torti) o sono tuttora assenti (Castelnuovo Scrivia)”, comunica l’organizzazione ambientalista.
La situazione pare molto complicata anche laddove i gestori si sono attivati (SMAT nella città metropolitana di Torino), anche se va rilevato che in quest’area la contaminazione delle reti idriche è dovuta al C6O4 prodotto nello stabilimento di Solvay ad Alessandria.
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Più in generale, dalle analisi emerge come l’inquinamento da PFAS nelle acque potabili piemontesi sia ascrivibile prevalentemente alla combinazione di due composti (PFOA e PFOS) noti per la loro cancerogenicità. “Ammonta a circa il 3 per cento la percentuale della popolazione piemontese che è esposta al solo cancerogeno PFOA attraverso l’acqua potabile”, denuncia Greenpeace, che critica fortemente anche l’operato della Regione Piemonte. Quest’ultima ha infatti risposto all’istanza dell’organizzazione ambientalista affermando di non essere in possesso delle informazioni richieste, rimandando alla direttiva europea 2184/2020 e alla richiesta dei dati direttamente ai gestori.
“La regione avrebbe potuto rispondere comunicando all’organizzazione ambientalista di rivolgersi a ARPA e ASL per ottenere i dati, cosa che però non ha fatto, sostenendo che questi dati non esistono. Ma la risposta della regione apre un altro inquietante scenario. Da parte dell’ente sembra non esserci alcun tipo di controllo sulla situazione PFAS nelle acque potabili regionali e sui possibili rischi sanitari che ne derivano”, ribadisce Greenpeace Italia, sottolineando che ARPA e ASL Alessandria – enti pubblici che fanno capo alla stessa Regione – da anni conducono analisi su diverse matrici incluse le acque potabili.
Le richieste di Grenpeace
“Chiediamo alle istituzioni locali un’operazione di trasparenza per mettere al corrente la cittadinanza di tutti i dati in proprio possesso sulla contaminazione da PFAS e, parallelamente, di intervenire con urgenza sulle fonti inquinanti. Viste le numerose evidenze scientifiche sulla pericolosità per la salute umana di queste sostanze anche a basse concentrazioni, chiediamo al governo, ai ministeri e al parlamento un bando dell’uso e della produzione dei PFAS. Abbiamo tutte e tutti diritto di bere acqua pulita e priva di PFAS. È compito delle istituzioni fare in modo che ciò accada”, ha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
[Credits foto: Greenpeace, greenpeace.org]