Che cosa rappresenta l’acqua? Naturalmente risponderemo “la vita”. Senza acqua non c’è vita. Questa è la cosa più naturale da pensare o da dire sull’acqua. L’abbiamo quasi sotto mano tutti i giorni, possiamo conoscerne la composizione chimica o il livello di sali minerali o di inquinamento. Pensiamo di saper tutto su di essa. Eppure non ne sappiamo nulla, se non superficialmente e pure male. Eppure ciò che noi conosciamo è solo una goccia, quello che ignoriamo su questo elemento è un oceano.
L’acqua è uno degli elementi naturali più presenti sul nostro pianeta. La maggior parte della superficie terrestre è ricoperta dagli oceani, e le terre emerse sono spaccate da fiumi, laghi e torrenti. L’acqua è responsabile della loro creazione e della loro distruzione. Può dare la vita così come può dare la morte. Un muro d’acqua provocato da un’onda marina può essere più devastante di qualsiasi uragano. L’acqua può essere una prigione fluida o solida nella quale essere intrappolati e risucchiati. L’acqua è completa perché è vita, ma anche morte. In altre parole è più potente di quanto pensiamo. Angelo e demone.
Questa potenza che Victor Kossakovsky ha voluto raccontare con il suo documentario Aquarela presente alla 75ma Mostra del Cinema di Venezia nella Sezione Fuori Concorso. In esso ci si immerge (è proprio il caso di dirlo) attraverso la bellezza mutevole dell’acqua e la sua potenza. Lo fa mediante un viaggio attraverso i tre stadi dell’acqua in tre luoghi del mondo differenti, pur con qualche deviazione. Si passa dallo stato solido del lago Bajkal in Russia, a quello liquido degli oceani, a quello gassoso del vapore sprigionato dalla cascata di Salto Angel in Venezuela. Oppure dalle nubi di acqua condensata che provocano gli uragani.
In questo viaggio si raccontano tante storie umane. Ci sono i soccorritori sul lago ghiacciato che recuperano persone e auto inavvertitamente caduti nel ghiaccio sottile; una donna con la sua barca a vela fra le burrasche. Ma sono poca cosa, quasi scompaiono di fronte all’elemento dei quali sono circondati. E la sua immensità viene esaltata da riprese effettuate a 96 fotogrammi al secondo. Lo scopo è di cogliere ogni sfumatura per vedere meglio da vicino le cose. Così possiamo ammirare gli iceberg che si infrangono e si ribaltano nell’oceano. Delle cattedrali di ghiaccio in movimento e in rotazione continue. E le onde del mare sono quasi una superficie viscosa e traslucida, appena squarciata dalla prua della barca a vela. Minuscola di fronte agli immensi blocchi bianchi. Con una partitura metal ad amplificare il tutto. Una scelta estetica interessante e che rende molto bene l’idea.
È stato realizzato senza alcun tipo di sceneggiatura. A un episodio ne succede un altro semplicemente per associazione di idee. Una partitura itinerante quasi ma piuttosto precisa all’apparenza. Seguendo la natura imprevedibile dell’acqua. Siamo molto lontani dalle grandi sonate di Werner Herzog. Se il regista tedesco con i suoi documentari hanno una cadenza quasi Wagneriana, Kossakowsky ricorda più un Mahler. In entrambi la potenza visiva differente sta a raccontare la nostra piccolezza e, allo stesso tempo, la nostra arroganza.
«Uccidiamo e facciamo quello che vogliamo. Pensiamo di essere tutto sul nostro Pianeta. Ma siamo uno spazio piccolissimo. Se da un giorno all’altro l’umanità dovesse scomparire, la Terra non se ne accorgerebbe nemmeno. Noi distruggiamo tutto e nessun altro lo fa. Dobbiamo ritrovare il nostro vero ruolo. Ci dobbiamo reimpostare, dobbiamo essere più modesti». Così ha detto il Kossakowsky parlando dei motivi che lo hanno spinto a girare il film. Un lavoro massacrante, pericoloso a volte, durato sette anni. Ma non solo per questo. Perché il cinema documentario, non solo quello di fiction, è arte.
Perché il cinema è prima di tutto esperienza. E nel documentario di sole immagini, senza alcuna voce narrante, diventiamo noi stessi i personaggi. Immergendoci totalmente al suo interno. Ancora le parole del suo autore, per concludere. Per capire le ragioni del suo lavoro e anche del cinema come bagaglio di esperienze e ragionamenti.
«Attraverso la lente dell’acqua si possono provare tutte le emozioni conosciute. Con Aquarela volevo filmare ciò che si prova interagendo con l’acqua: emozioni belle ed inquietanti (…). Spero che il pubblico non solo comprenderà ma che prenderà pure consapevolezza del fatto che il mondo sta cambiando a causa del clima e vedrà la posta in gioco in maniera emotivamente più partecipe. (…) Si tratta di un film sulla rivincita della Natura. Perché la Natura sopravviverà a Noi».