La rivista Science of the Total Environment ha pubblicato una ricerca sugli effetti nocivi della droga nelle acque dei fiumi circostanti le metropoli europee.
L’obiettivo dello studio era valutare l’effetto delle concentrazioni ambientali di cocaina, diffusa sulla superficie delle acque dei fiumi nelle maggiori città, sulla salute dell’anguilla europea (Anguilla anguilla).
L’esperimento sulle anguille
I ricercatori hanno messo alcune anguille in una vasca che conteneva la stessa quantità di cocaina trovata sulla superfice dell’acqua del Tamigi per cinquanta giorni.
Dopo questo periodo i biologi hanno valutato la salute generale dei pesci: di alcuni dopo tre giorni, di altri dopo dieci giorni dall’esposizione alla droga.
Entrambi i gruppi di anguille hanno mostrato segni di lesioni gravi sul muscolo scheletrico. In particolare, mostravano sintomi simili a quelli tipici della rabdomiolisi.
Cosa dimostra la ricerca
Lo studio dimostra che anche basse concentrazioni ambientali di cocaina causano gravi danni alla morfologia e alla fisiologia del muscolo scheletrico dell’anguilla europea, e conferma l’impatto nocivo della cocaina nell’ambiente che influenza la sopravvivenza di questa specie.
Documenta, inoltre, che i danni delle sostanze stupefacenti presenti nelle acque dei fiumi potrebbero riguardare anche altre specie di fauna marina, soprattutto quelli che risiedono sempre nello stesso luogo (i cosiddetti pesci stanziali).
Anna Capaldo, biologa e ricercatrice all’Università Federico II di Napoli, ha coordinato la ricerca e l’esperimento.
A studio ultimato, la biologa ha detto di avere scelto le anguille perché considerate in pericolo di estinzione e perché, essendo animali grassi, accumulano più sostanze.
Esse, nelle migrazioni, coprono distanze fino a seimila chilometri, perciò hanno bisogno di muscoli in salute per completare il viaggio.
La biologa ha spiegato che la fauna marina è minacciata non soltanto dalla presenza di certe quantità di droghe illecite nelle acque dei fiumi delle metropoli europee, ma anche da altre sostanze: pesticidi, antibiotici, metalli.
L’effetto combinato di queste sostanze, che potrebbero trovarsi tutte insieme nell’acqua, saranno oggetto delle prossime ricerche della dottoressa e del suo gruppo di lavoro.
Mangiamo pesce contaminato?
La Capaldo ha commentato anche la possibile contaminazione dell’uomo: «Abbiamo visto che c’è una certa bioaccumulazione nel muscolo, che è la parte che mangiamo. Non sappiamo però cosa succede quando l’animale muore, e l’effetto che ha la cottura. Anche qui servono altre ricerche».
La bioaccumulazione è quel processo attraverso cui sostanze tossiche inquinanti si accumulano all’interno di un organismo, in concentrazioni superiori a quelle riscontrate nell’ambiente circostante.
Le sostanze stupefacenti non fanno male solo agli organismi viventi, ma anche all’ambiente.