Prima c’era l’attesa, spasmodica e snervante. Questo facevano le serie televisive. Di settimana in settimana si rimaneva con il fiato sospeso di fronte ai titoli di coda di un episodio. C’era il colpo di scena che mai ci si sarebbe aspettati e, allora, ecco che si incominciava a fare congetture, confermate o disattese la settimana successiva. Questo è sempre stato il punto di forza della serialità. Prendere per la gola e lasciarti lì di punto in bianco. Questo, è quello che accadeva fino a pochi anni fa.
E poi, per gli spettatori più impazienti, è arrivato lo streaming. Un episodio dietro l’altro, senza soluzione di continuità. Senza attese, senza fiato sospeso. Fino allo sfinimento. Il bello arriva quando si è capito che questo modo di fruizione poteva fruttare un sacco. Ed ecco che Netflix, in principio azienda nata per il noleggio tramite internet di film e videogiochi, attiva dal 2008 un servizio di streaming online on-demand. Oggi la30 piattaforma offre il servizio a oltre 190 paesi in tutto il mondo, fra cui anche l’Italia, nel 2016. Gli unici in cui manca sono Cina, Corea del Nord e Crimea.

Oggi non c’è più l’attesa, c’è il bing watching, il nuovo rapporto con la serialità. Il colpo di scena finale viene quesi del tutto eliminato nelle serie della piattaforma. Oramai non si tratta più di serie televisive, ma di film sezionati e di lunghissima durata. Guardando un prodotto come Stranger Things si assiste a una visione adulta e inquietante dei Goonies (1985) della durata di otto ore. Il rapporto con la serialità non è più il culto, ma una insana ossessione. Se non l’hai vista (e non ne parli) non conti nulla. Netflix è dunque solo una abbuffata di serie TV a gettito continuo? Niente affatto.
Tramite un economico abbonamento la disponibilità fra serie televisive, film e documentari diviene pressoché infinita. Perché Netflix non produce solo serie, ma anche film e documentari. Restiamo su questi ultimi. Scorrendone la lista, ce n’è per tutti i gusti: di divulgazione storica, cronachistici, sportivi, storie incredibili. Tanti, tantissimi a tematica green i cui titoli si perdono: dalla scoperta di tribù nel cuore della giungla (First Contact: Lost Tribe of the Amazon) a hypercar a basso consumo (APEX – The Story of the Hypercar) al rapporto fra esseri umani e animali (Live and Let live).
Di Netflix, in parte, avevamo già parlato in passato. Il film Cowspiracy – The Sustainability Secret, prodotto da Leonardo Di Caprio, è stato distribuito grazie a Netflix. Nuova “collaborazione” fra la piattaforma streaming e il premio Oscar è con il documentario Caccia all’Avorio di Richard Ladkani e Kief Davidson. Il film, disponibile dal 4 novembre, si addentra nella rete di traffico dell’avorio, seguendo di nascosto i bracconieri alla caccia dell’oro bianco.
Un business che alimenta guerre, finanziate da organizzazioni criminali in una insospettabile e temibile piovra. Non solo una denuncia, ma anche una domanda posta allo spettatore. Si vuole davvero che il più grande mammifero terrestre scompaia per sempre? E ciò che ne rimane venga bruciato in un inferno di avorio e fiamme?
L’Inferno, anche se naturale, è inoltre il tema del nuovo lavoro documentaristico di Werner Herzog: Into the Inferno. Giunto online il 28 ottobre, il cineasta tedesco affronta ancora una volta un ritratto di un uomo che si confronta con la Natura. Stavolta è il vulcanologo Clive Oppenheimer colui che toccherà con mano la maestosità e l’inattaccabilità della Natura. Nella sua forma più potente e violenta: i vulcani, legati profondamente con il cuore della Terra. Un cuore incandescente e imprevedibile.
Herzog compone un altro tassello di umanesimo al contrario. Clive, probabilmente, lo si potrà accostare a Timothy Treadwell o Graham Dorrington o Fitzcarraldo: entrerà appieno nella galleria dei personaggi herzoghiani.

Netflix è anche questo. Uno sguardo timoroso, ammirato e reverente verso la potenza della Natura. O uno sguardo allarmato verso la distruzione di uno dei suoi tasselli. O, ancora una volta, la cupidigia umana e il piegarsi della stessa di fronte all’immensità. Non più attesa spasmodica. Non solo bing watching selvaggio. Ma molto, molto di più.
