Abbiamo incontrato l’artista argentino Ernesto Morales nel suo studio di Torino, pieno di luce, oggetti da tutto il mondo, un po’ di libri e ovviamente quadri.
Si capisce subito che Ernesto ha viaggiato moltissimo, ha esposto le sue opere in Francia, Stati Uniti, Italia, Germania, Spagna, Cina, Singapore, Malesia, Thailandia, Argentina, Brasile, Messico e Uruguay. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata per conoscere meglio il pittore, i suoi lavori e il suo rapporto con la natura che spesso è rappresentata nei suoi quadri.
Ernesto, la tua pittura è ricca di natura, hai prodotto opere come “Vacche migranti”, “Nebulose”, “Mari migranti”, “Boschi”, “Equinozio”, ma spesso si ritrovano combinati elementi artificiali e in particolare contesti urbani, “Città ritrovate”, “Città dell’esilio”, “Città delle memorie”. Nelle tue opere possiamo trovare elefanti che camminano sulle strisce pedonali, mucche su pontili o erba incolta che circonda palazzi. Ci spieghi che rapporto c’è per te tra natura e città?
“Quando penso alla natura non mi riferisco solo all’ambiente naturale ma anche a quello antropico, in quanto l’uomo è un elemento della natura. Fin dall’antichità gli uomini hanno cercato di apprendere qualcosa dalla natura e di modificarla. Penso ad esempio all’agricoltura, allo studio dei cicli naturali per la coltivazione, all’urbanizzazione che ne è nata attorno. Mi interessa questa dimensione, questo rapporto tra uomo e natura che può essere armonico o di dominio, dominio dell’uomo che cerca di creare il proprio paesaggio o dominio della natura che si riprende i suoi spazi rubati“.
Hai dedicato una serie di opere al bosco. Cosa significa per te questo particolare habitat?
“Sono sempre stato attratto dai boschi. Quando ero in Argentina ho viaggiato molto in Patagonia e ho scelto di farlo a cavallo e a piedi proprio perché questo mi consentiva di entrare nei boschi. In quel periodo studiavo il medioevo e la sua simbologia secondo la quale la società si divideva in due: quella dentro le mura, che era il luogo della ragione, della scienza, delle arti liberali, e quella fuori le mura, dove c’era il bosco, il luogo della magia, del mistero, dello sconosciuto, una sorta di al di là. Anche nella psicoanalisi e nella simbologia esoterica il bosco rappresenta il nostro inconscio, il mondo dei sogni, l’atavico, un luogo privato, intimo, un giardino segreto. Infatti per me dipingere i boschi è quasi come fare un autoritratto, sento il bosco come uno specchio di me e dell’animo umano“.
Una cosa che stupisce al colpo d’occhio è l’intensità dei colori nei tuoi quadri. Come riesci a ottenerla?
“Per me l’arte ha in parte una componente di sfida sociale. Proprio perché viviamo in un momento ipertecnologico, in cui ogni cosa è filtrata e perfino i pensieri sono spesso condizionati dai media, mi interessa un tipo di arte che vada controcorrente, che proponga la contemplazione invece della velocità e l’introspezione invece della superficialità, e che abbia nel suo cuore una manualità, un saper fare tecnico, unito al recupero del simbolico come modo di ragionare. Così sono andato a recuperare una tradizione antica legata al processo di lavorazione e creazione dei colori. Oggi, se vuoi trovi tutto pronto in negozio ma per me l’arte è altro: è per prima cosa esperienza che nasce nel rapporto profondo con tutto quello che fai per arrivare a dipingere, anche la creazione dei colori. L’uso di pigmenti primari di origine vegetale o minerale mi permettere di mettere la natura dentro al quadro. Questo fa sì che l’opera d’arte diventi qualcosa di vivo. Io, ad esempio, lavoro molto col bianco e dopo molti anni di ricerca sono riuscito a trovare un bianco purissimo che non ingiallisce col passare del tempo e che si illumina al buio. Il blu, invece, proviene da una pietra che recupero in argentina mentre il verde proviene da un alga che si trova nei laghi dell’Amazzonia“.
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Hai mai pensato di usare la tua arte per sensibilizzare il pubblico sui temi ambientali?
“Già lo faccio nella scelta dei materiali, dietro l’utilizzo di pigmenti naturali c’è una volontà di rappresentare e di far vivere la natura nei miei quadri. Più in generale, nella mia pittura c’è anche un invio alla contemplazione, con la speranza di scatenare nella mente di chi osserva un meccanismo di riflessione. Io non ho la necessità di fare un’arte pubblica perché credo che l’arte sia un qualcosa di intimo, privato, di collegamento con un se’ profondo e individuale. Penso che la grande sfida per modificare il corso delle cose sia lavorare sulla mente e sul cuore delle persone, ovvero, sull’animo umano e credo che l’arte abbia un ruolo importantissimo in questo. Ho l’impressione che negli ultimi anni stia fiorendo una certa sensibilità alla questione ambientale ma allo stesso tempo l’uomo ha fatto grandi danni, in alcuni casi irrecuperabili, vedi le specie estinte e quelle in via di estinzione“.
C’è una minaccia ambientale che senti più grave in questo momento?
“Penso sia un insieme di tante cose ma mentre lo scioglimento dei ghiacci è una conseguenza del cambiamento climatico che non si può imputare a qualcuno in particolare (forse un po’ a tutti), la deforestazione sì. Io che ho girato l’Amazzonia ho potuto vedere con i miei occhi luoghi nel massimo splendore che sono stati devastati per profitto. La deforestazione è tremenda perché è un’azione consapevole e credo che questo sia di una gravità enorme. Un’altra importante minaccia è l’inquinamento: quello prodotto in occidente che ora, almeno a parole, tentiamo di controllare, ma ancora di più mi preoccupa quello delle economie emergenti, come il sud-est asiatico, dove ci sono fortissimi tanti di crescita economica e non c’è nessun tipo di controllo. Il singolo può fare tanto, e su questo sono fiducioso, ma poi è chi è al governo che deve cambiare rotta e su questo faccio più fatica a essere ottimista“.
Tu cosa fai nel quotidiano per la salvaguardia dell’ambiente?
“Nel mio piccolo cerco di stare attento soprattutto allo spreco, non solo non aggiunge nulla di positivo ma è un danno per la società. In altre parole cerco di avere cura di tutto ciò che posso gestire. Non sprecare mi fa sentire meglio e penso che possa avere una qualche conseguenza, magari non quantificabile, ma certamente positiva”.
Al momento Ernesto Morales espone all’aArte Gallery Comtemporary Art a Caserta, fino al 30 aprile con la mostra “Distance” ma per restare aggiornati sui prossimi appuntamenti a Lucca, Torino, Buenos Aires e New York, visitate il suo sito“.