Alma: la Foresta Pantocratrice

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Alma: la Foresta Pantocratrice ultima modifica: 2015-06-21T08:30:39+02:00 da Emanuel Trotto
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Alma è il film di Patrick Rouxel in cui la deforestazione dell’Amazzonia è vista attraverso gli occhi delle sue vittime dirette.

Il fatto

Alma racconta la deforestazione dell’Amazzonia vista attraverso gli occhi delle sue vittime dirette. Non solo gli animali che la abitano, ma anche di quelli utilizzati dall’uomo per il proprio nutrimento e la propria eleganza. Ettari di foresta bruciata in favore di grandi pascoli dove bivaccano mandrie di mucche che vengono poi macellate e fatte a pezzi in maniera, in fondo, non troppo differente da come vengono sezionati i grandi tronchi abbattuti.

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Alma il poster

Il commento

Secondo tassello di e su Patrick Rouxel: su perché non è la prima volta che ci occupiamo di lui, del regista che ha fatto sua e porta avanti la causa della salvaguardia delle foreste pluviali, dall’Asia all’Africa, passando per il Sud America; di perché questo Alma (2010) è il secondo tassello (o tappa) di una Via Crucis in Brasile, che è partita dal Borneo (con Green) e sarà portata avanti con una terza tappa ancora da definirsi. In Alma si parte dalla deforestazione dell’Amazzonia per poi attraversare i luoghi dove si alleva il bestiame, cercando i danni arrecati all’ecosistema dalla civiltà: la stessa che, fra il 2008 e il 2009 ha abbattuto ventimila chilometri quadrati di foresta pluviale. Viene così stabilito un dominio indiscusso dell’uomo sulla natura, della quale l’Amazzonia è divenuto il simbolo. Il Brasile si è trasformato nel maggiore esportatore di carne, di pellame e di soia per mantenere tutto questo sistema vivo, a discapito di capi e capi di bestiame.

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Lo stile di Rouxel, un fiume di immagini che si fa nastro trasportatore e allo stesso tempo un corpo filmico dissezionante e dissezionato, in questo caso è ancora più radicale ed assoluto. Innanzitutto, comincia dal generale per passare al particolare e ritornare a un generale “altro”: da campi lunghissimi che, inquadratura dopo inquadratura, si avvicinano fino a focalizzarsi su un determinato elemento. Nelle primissime inquadrature si inizia con la foresta, senza commento sonoro, con solo i suoni che la natura può dare: poi il rumore di una motosega rompe l’armonia, i tronchi si abbattono e vengono sfilettati nelle segherie, così come i bovini abbattuti vengono mandati al macello. I grandi mattatoi e le segherie sono dominati da rumori violenti che si mescolano l’uno nell’altro, come se non ci fosse nessuna differenza fra le due attività. Si distrugge in nome di un qualcosa. Si fanno a pezzi le foreste per avere un tavolo su cui è possibile gustarsi una succosa bistecca. La natura assoggettata alla cultura, che domina il vuoto con la vacuità delle cose nel facile tormento dei rodei brasiliani, alla apparente quiete delle fiere d’allevamento francesi, dove le vacche sono un fenomeno da baraccone. Nella foresta il vuoto era riempito dalla biodiversità ed era parte fondamentale della stessa.

Se prima la natura e la cultura consumistica che la fagocitava erano nettamente separate solo dall’alternarsi di silenzio e musica, qui non solo i punti di vista di moltiplicano, ma i percorsi logici avvengono sempre nel cuore di un determinato argomento, anche più per volta. Oppure un determinato tracciato sfocia in un altro per diretta conseguenza. Un esempio: le mucche in Brasile vengono condotte nel corridoio buio che porta a dove verranno abbattute con un colpo ad aria compressa; per accedervi entrano attraverso una porta ghigliottina di metallo che si alza e si abbassa. La porta si chiude e la lamiera si chiude con estrema violenza ed eco: con ancora quel rumore nelle orecchie, viene inquadrato il particolare di un cartello raffigurante un teschio e la scritta “toxico” al di sotto; una inquadratura successiva mostra che quel cartello è in realtà l’etichetta di un pesticida utilizzato in Brasile che viene sparso sui campi di soia che servono ad alimentare bovini anche oltreoceano.

Alma è la seconda puntata di una trilogia, o meglio una triade, per raccontare un’emergenza – la distruzione indiscriminata dei grandi polmoni verdi – ma senza lasciarsi suggestionare da una facile empatia, qualora lo stesso Rouxel dichiara: “I miei film sono azioni di un cittadino ispirato dall’empatia e dal senso di colpa di essere una parte del problema”. Né l’empatia provocata da elementi esterni (voci, musiche, ecc) né, tantomeno, quella militante per suscitare indignazione: quello che crea Rouxel con i suoi lavori è la poesia delle immagini per cercare una fede, un senso estatico di partecipazione ben lontano dalla benedizione caciarona del sacerdote brasiliano nel rodeo, o di effigi sacre circondate da fuochi d’artificio. Non si cerca un’anima (da qui il titolo) là dove se ne è data una visione distorta: ma un concetto di credere più ampio che trascende da qualsiasi religione. Il film si chiude con una riproduzione (più bassa dei tralicci del telefono) del Cristo Pantocratore di Rio che lancia il suo sguardo su un tramonto violacelo laggiù, nella giungla, nella quale parte dei suoi distruttori hanno tatuata sulla spalla destra una effige del Salvatore sanguinante. S’ispira un po’ di religione, nel senso letterale di raccogliere e relegare, quando Rouxel mostra che è fra quegli alberi, fra quei silenzi, il principio e la fine di tutto, fra un’alba e un tramonto uguale tutti i giorni, ogni giorno.

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Scheda film di Alma

  • Regia, soggetto, montaggio: Patrick Rouxel
  • Musiche: Frédéric Sanchez Del Rio
  • Produzione: Francia, 2010
  • Temi: ANIMALI, ALLEVAMENTO, DEFORESTAZIONE, CONSUMISMO, ALIMENTAZIONE.

Il regista

Patrick Rouxel, metà svedese e metà francese, nasce nel 1966 e cresce fra la Malesia e Singapore. Parla tre lingue: inglese, francese, indonesiano. Dopo aver curato, per dieci anni, gli effetti speciali di numerosi lungometraggi, dal 2003 si occupa, come freelance, di conservazione ambientale. Dapprima regista per la NGO, Greenpeace e il WWF, produce, gira e monta film dedicati alla preservazione e alla difesa delle foreste pluviali nel mondo. Esordisce con il cortometraggio Tears of Wood (Tangisan Kayu, 2004) a cui seguono i mediometraggi Losin Tomorrow (2005), Cathedral Forest (2007), Green (2009) e Alma (2011). I suoi ultimi film – uno sulla deforestazione della giungla congolese e uno sugli orsi malesi – sono attualmente in lavorazione, sostenuti da una solida campagna di crowfounding.

 Trailer

 

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Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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