“Cosa sei venuto a fare qua? A morire?” Questo è quanto si sentì dire nel 1974 un allora giovane operaio ventiquattrenne appena assunto all’Eternit da un suo collega più anziano. Poco tempo dopo quest’episodio, quest’ultimo morì.
Amianto, un serial killer ambientale. Ma si può morire a causa del proprio lavoro? Purtroppo sì e la storia dell’Eternit di Casale Monferrato (AL) ben rappresenta questa drammatica incongruenza. Il film “Polvere, Il grande processo dell’amianto“, dei registi Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller, riportando alcune delle udienze del “più grande processo penale per disastro ambientale mai intentato in Europa” riesce a restituire la drammaticità della vita interna allo stabilimento, ma narra anche la presa di coscienza di un’intera comunità di fronte all’incredibile serie di lutti che colpivano chi in quella fabbrica ci lavorava. “Ci è sembrata la storia giusta per affrontare l’argomento della responsabilità sociale delle aziende” ci raccontano i registi. “Italiana ma con una dimensione internazionale visto che l’Eternit aveva stabilimenti in tutta Europa e in Sud America. […] Il film ha come spina dorsale le udienze del processo che si è tenuto a Torino. Segue però anche una storia individuale, quella di Luisa Minazzi, [una delle più conosciute attiviste a cui Legambiente ha dedicato un premio annuale ndr], ammalatasi di mesotelioma pleurico”.
L’Eternit produceva materiali per l’edilizia come tubi e tetti resistenti al fuoco, elastici e robusti tanto da meritare il nome di “eternit”, cioè eterni. Un materiale che ebbe una diffusione molto ampia proprio grazie alle sue qualità che misero per molto tempo in secondo piano i pesantissimi effetti nocivi che lo stesso aveva non solo in fase di produzione, ma anche in un secondo tempo: quando a causa degli anni, questi materiali iniziano a sfaldarsi, nonostante il glorioso nome, liberando così le sottili e nocive fibre.
In quasi 80 anni di attività l’Eternit occupò ben 5000 persone offrendo un lavoro sicuro, “come la Fiat” si sente dire in Polvere. Rappresentò quindi moltissimo per la vita economica della cittadina piemontese. In cambio però prendeva molto, spesso tutto. Quasi 3000 persone sono morte a Casale fra operai e cittadini a causa dell’asbestosi e del mesotelioma pleurico, entrambi provocati dall’inalazione delle sottilissime fibre dell’amianto, malattie che continuano a mietere vittime a causa del lungo periodo di incubazione che può arrivare fino a 30 anni e delle bonifiche che tardano ad arrivare.
In un momento del film Bruno Pesce, segretario della Camera del Lavoro di Casale e attivo in questa battaglia come coordinatore dell’Afeva (Associazione Italiana Vittime Amianto), racconta come purtroppo fosse considerato normale per un operaio morire, anche se in giovane età. La “polvere”, come veniva chiamato l’amianto, era ovunque nello stabilimento. Gli operai la respiravano continuamente durante le ore di lavoro. Come risulta dalle testimonianze, la polvere arrivava anche fuori: gli operai tornavano a casa in tuta da lavoro, magari solo dopo essersi ripuliti sommariamente e la prima cosa che facevano probabilmente era quella di abbracciare i propri figli. Eppure gli effetti devastanti sulla salute si conoscevano fin dai primi studi effettuati già negli anni ’60.
L’Eternit di Casale Monferrato ha chiuso definitivamente nel 1986. Ad oggi l’uso dell’amianto risulta bandito in 53 paesi. Nonostante questo, secondo i dati riportati dal documentario, ogni anno muoiono nel mondo 100.000 persone. A dispetto di questa infinita strage, la fabbricazione e la diffusione sono tuttora permessi in stati come Brasile e India. Sebbene dunque gli effetti devastanti siano certi e assodati, esistono zone franche in cui l’Eternit si produce ancora.
“Polvere, Il grande processo dell’amianto”, è stato premiato con la Menzione Speciale di Legambiente al Festival di CinemAmbiente del 2011, membro della rete Green Film Network. Tra le motivazioni del premio si legge: “Mette in luce in modo oggettivo, ma al tempo stesso coinvolgente, la relazione tra ambiente, lavoro e salute”.
Anche alla Wierer SpA, azienda di Chienes (BZ), si utilizzava l’eternit. Mio padre, che ha lavorato nella filiale di Montalto Uffugo (CS), è morto nel 1998 di mesotelioma pleurico, causato (come dichiarato nei certificati medici) da avvelenamento da amianto. E non è stato l’unico dipendente di quell’azienda a morire. Non c’è solo Casale Monferrato, l’eternit ha seminato vittime dappertutto…