Difendere la terra, l’acqua, gli animali può costare la vita. Ormai è un fatto accertato. Tanto che la Global Witness, ong britannica attiva nella difesa dei diritti umani, in collaborazione con il Guardian ha reso nota la lista degli attivisti ambientali uccisi nel 2017. Nell’anno passato sono stati 197, che significa almeno quattro attivisti uccisi ogni settimana.
Nel 2016 furono 201 gli ambientalisti morti nel difendere terre, acque e diritti umani dallo sfruttamento. Il 2016 è anche l’anno in cui venne uccisa Berta Cáceres, honduregna leader del popolo indigeno Lenca, che si oppose alla costruzione della diga di Agua Zarca sul fiume Gualcarque. Diga che avrebbe messo a repentaglio l’accesso all’acqua per la popolazione Lenca, che oltretutto considerava quel fiume come sacro.
Nel 2015 persero la vita 185 Defenders of the Earth, come vengono giustamente chiamati nel rapporto di Global Witness gli ecoattivisti. Nel 2014 furono invece 116. Dati che rivelano un triste trend in crescita, leggermente contraddetto proprio dal 2017.
Sono numeri impressionanti, che potrebbero essere anche più alti visto che il conteggio considera solo quelli di cui si è riusciti a tenere traccia. Perché, usando le parole del Guardian: “La maggioranza delle uccisioni avviene in remote zone forestali di paesi in via di sviluppo, come in America Latina dove l’abbondanza di risorse è spesso inversamente proporzionale all’autorità della legge o alla regolamentazione ambientale“.
Le aree più pericolose e le cause
Senza dubbio l’area che registra il maggior numero di morti violente è il Sud America. In questo continente, la nazione che detiene il triste primo posto è il Brasile con 46 decessi, seguito da Colombia con 32 e Messico con 15. Ma anche le Filippine non sono da meno, con 41 uccisioni.
La causa principale è quello che il Guardian chiama agrobusiness, ovvero la domanda di soia, olio di palma, zucchero di canna e carne. Tutti prodotti che chiedono terra, tanta terra: il land grabbing insomma. Una terra da utilizzare senza guardare troppo a chi la si prende e come la si usa.
Seguono tutti i conflitti derivanti dalla caccia alle materie prime. Possono essere risorse minerali e petrolifere, ma anche il legname è spesso causa di morte.
La difesa dei parchi naturali risulta, poi, essere un lavoro molto pericoloso: 21 morti registrati, tutti legati al bracconaggio.
L’ultimo attivista ambientale ucciso nel 2017
L’ultimo nome della lista degli ambientalisti uccisi nel 2017 è quello di José Napoleon Tarrillo Astonistas, torturato e ucciso nella notte del 30 dicembre 2017. José Napoleon era uno dei leader del villaggio El Mirador, in Perù, che si opponeva ai trafficanti di terre impossessatisi di alcune zone della Riserva Naturale Chaparri. Riserva che, tra l’altro, accoglie la comunità più vasta dell’unico orso sudamericano, l’Orso dagli occhiali, sempre più minacciato dalla frammentazione cui è sottoposto il suo habitat.
Il tentativo sembra sia quello di impaurire la popolazione e impossessarsi così delle terre, trasformandole da riserva naturale che accoglie visitatori da ogni parte del mondo in terreno agricolo. Il tutto nella più perfetta impunità. “L’assenza di un’effettiva risposta governativa a questi crimini ambientali espone gli ambientalisti a pressione sociale, violenza e minacce di morte che a volte diventano realtà” denuncia Noga Shanee, fondatore del Neotropical Primate Conservation NPC.
Attivisti ambientali: cosa sarà nel 2018?
Purtroppo, con il nuovo anno, la lista degli ambientalisti uccisi ha già ripreso il suo conteggio. Una notizia Ansa del 31 gennaio informava dell’uccisione di un’attivista cambogiano, fatto avvenuto nella provincia di Mondulkiri, nell’area forestale protetta di Keo Seima. L’attivista -ucciso insieme a una guardia forestale e a un ufficiale della polizia militare- faceva parte della Wildlife Conservation Society, impegnata a contrastare e documentare il disboscamento che affligge tutta la zona.
Ma non solo. Anche in Messico si registra già una vittima, sempre a gennaio e sempre a causa del legname. Si tratta di Guadalupe Campanur, messicana di Cheran, nello Stato di Michoacan. Purepecha, si opponeva attivamente al saccheggio dei boschi della sua zona partecipando alle ronde organizzate dalla popolazione fin dal 2011.
Non un bell’inizio sicuramente.
Foto in anteprima: paesaggio cileno
Sola_mente nel poter dimostrare alle èlite (I ed E) – con dati reali alla mano – che è la sindrome consumistica verso le risorse Naturali (I ed E), che li rende insaziabili in tutto … che, pur avendo loro individuali beni materiali migliaia di volte maggiori delle persone del ceto medio, si ritrovano ad essere infelici, malsani ed in procinto alla desertificazione della loro Anima Naturale … proprio come essi stanno facendo con la Natura Planetaria.
Coelivio.
Per l”amor di Dio,ci mancava l “attivista pentastellato in servizio permanente effettivo. Di” un po, ciccio, sei pagato un tot a commento o lo fai a gratis per la nobile causa della Casaleggio e Associati s.r.l.? Ma soprattutto, quando google ti ha spedito in questo blog, ti sei accorto che qui in basso si può scaricare a gratis (scusate ma per i grillini sta precisazione pesa!) un interessantissimo libro intitolato, non a caso, “il Grillo mannaro?
Il dato di riferimento al riguardo dell”affluenza non può che essere quello relativo al referendum 2016, considerato l”orario di apertura ai seggi. Oggi ci si colloca, nazionalmente, un punto sopra. Si può ragionevolmente pensare che il dato finale si collocherà attorno al 65/66 % quindi con un netto calo rispetto al 2013. A dimostrazione del fatto che nessuna forza politica appare in grado di intercettare gli astenuti e che nessuno potrà vantarsi in questo senso. Da aggiungere una nota sul caos ai seggi per vari motivi. Verificheremo alle 23 quale situazione si starà realizzando e a quale ora effettivamente si chiuderanno le urne. Inoltre gli exit poll dato il sistema di conteggio dei voti (e poi dei seggi) testimonieranno ben poco.