La decarbonizzazione è la chiave per un futuro a zero emissioni, in Italia diminuiscono le emissioni di gas serra ma restano difficoltà per gli obiettivi 2030
Decarbonizzazione in Italia, dal 1990 ad oggi le emissioni di gas serra sono diminuite del 26,4%, con una riduzione significativa pure nel 2024 (-3% rispetto all’anno precedente), dovuta principalmente al comparto che produce energia elettrica.
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Proprio questo settore, responsabile di 1/4 delle emissioni nazionali, si sta rivelando tra i più efficienti per la riduzione dei gas climalteranti, mentre resta critico il comparto dei trasporti, le cui emissioni continuano a crescere in modo significativo e si attestano al 28% del totale. In questo ambito la principale criticità resta il parco veicolare in continua espansione, costituito prevalentemente da mezzi ad alimentazione tradizionale (benzina e gasolio).
Questo quadro sulla decarbonizzazione in Italia emerge dalle prime elaborazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) relative al 2024, presentate in un convegno a Roma intitolato “Decarbonizzazione: costruire un futuro emissioni zero”. Altro contributo fondamentale sul tema è il report “Le emissioni nazionali di gas serra, la situazione in Italia in vista degli scenari futuri”, che “delinea il quadro emissivo italiano a partire dal 1990 fino al 2023 e presenta un’analisi degli scenari emissivi al 2030 e 2055 rispetto a quello di riferimento (a politiche correnti) e allo scenario a politiche aggiuntive previsto dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC)”, chiarisce Ispra.
Allo stesso istituto spetta il compito di elaborare e pubblicare ogni anno l’inventario nazionale e con cadenza biennale gli scenari delle emissioni dei gas serra, al fine di trasmetterli agli organismi europei ed internazionali. Nel rapporto in questione un focus specifico è dedicato agli obiettivi di riduzione delle emissioni, con particolare riferimento ai settori Effort Sharing ed a quello LULUCF (uso del suolo, cambiamenti di uso del suolo e silvicoltura), che riveste un ruolo cruciale nel bilanciamento delle emissioni. In Italia permane un quadro articolato: se da una parte si registrano risultati positivi nel settore LULUCF, dall’altra restano forti difficoltà nel raggiungimento dei target Effort Sharing.
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Lo sguardo proiettato in avanti fa purtroppo emergere le prime note dolenti per il nostro Paese. In merito al regolamento Effort Sharing, lo scenario di riferimento con le politiche adottate a tutto il 2022 mostra chiaramente l’incapacità dell’Italia di centrare l’obiettivo richiesto per il 2030, ovvero la riduzione delle emissioni del 43,7% rispetto ai livelli del 2005. Per ovviare a tutto ciò è stato presentato anche uno scenario che include le ulteriori politiche di riduzione individuate nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC), che tuttavia non riesce a colmare il gap anche nell’ipotesi di piena attuazione delle misure aggiuntive.
Il contesto
La crisi climatica rappresenta una delle più importanti sfide della nostra epoca. Dopo l’Accordo di Parigi del 2015, con cui la comunità internazionale ha fissato l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e possibilmente a 1,5°C, l’Unione europea (Ue) si è impegnata a ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, in vista del raggiungimento dell’ambizioso target della neutralità climatica entro il 2050.
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Si tratta di intenti complessi e difficili, che impongono un ripensamento delle modalità di produzione e consumo in tutta l’Ue. “Il presente rapporto offre un’analisi approfondita del quadro normativo e delle dinamiche emissive in Italia, esaminando sia i progressi compiuti che le criticità ancora irrisolte nel cammino verso la neutralità climatica. Attraverso una valutazione del contesto internazionale ed europeo, con particolare attenzione agli impegni derivanti dall’Accordo di Parigi e dal pacchetto ‘Fit for 55’, il documento fornisce una dettagliata analisi dell’inventario nazionale dei gas serra, evidenziando tendenze e problematiche nei principali settori emissivi”, spiega Valeria Frittelloni, direttrice del Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale – Ispra.
L’inventario nazionale dei gas serra
La compilazione annuale dell’inventario nazionale dei gas serra è prevista dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) per tutti i Paesi industrializzati, in linea con gli impegni dell’Accordo di Parigi e con gli obblighi europei.
L’inventario nazionale stima le emissioni di gas serra per attività dalle sorgenti incluse nei seguenti settori produttivi: energia, processi industriali ed uso dei prodotti (IPPU), agricoltura, rifiuti ed infine LULUCF.
La diminuzione delle emissioni italiane totali di gas serra nel periodo dal 1990 al 2023 si deve a vari fattori, quali: la riduzione dei consumi energetici e delle produzioni industriali a causa della crisi economica e della delocalizzazione di alcune produzioni; la crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico); l’incremento dell’efficienza energetica ed il passaggio all’uso di combustibili a minor contenuto di carbonio.
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“Tra il 1990 e il 2023, le emissioni complessive di gas serra sono diminuite da 518 a 385 milioni di tonnellate di CO₂ equivalente, una riduzione ottenuta principalmente grazie al calo delle emissioni di CO₂, che rappresentano l’81.4% del totale e risultano, nel 2023, inferiori del 28.7% rispetto ai livelli del 1990”, si legge nel rapporto.
Il settore energetico, pur rappresentando la principale fonte di emissioni di gas serra (80,3% nel 2023), ha visto quest’ultime ridursi del 27,7% dal 1990 al 2023. “Responsabili di circa la metà delle emissioni nazionali di gas climalteranti sono le categorie dei trasporti (28% del totale nazionale) e della produzione di energia (20%); un contributo importante alle emissioni totali è inoltre rappresentato dalle categorie del residenziale (18%) e dell’industria manifatturiera (13%)”, le conclusioni del rapporto. Per completare il quadro bisogna considerare il peso dell’agricoltura (8%), dei processi industriali (6%) e della gestione dei rifiuti (5%).
Se è vero che il contributo relativo delle industrie energetiche alle emissioni totali nel settore energia è in costante calo dal 2006, stessa cosa non può dirsi per i trasporti, dove le emissioni – dovute per il 90% al trasporto stradale – sono aumentate di oltre il 6,7% dal 1990. Restano invece sostanzialmente stabili le emissioni della categoria residenziale e servizi (con un calo del 2023 legato alle temperature), mentre anche quelle delle fuggitive, legate al trasporto, allo stoccaggio ed alla distribuzione di gas naturale, proseguono nel loro trend in diminuzione.
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Passando al settore dei processi industriali, notiamo che le emissioni sono calate del 40,5% tra il 1990 ed il 2023, grazie soprattutto alla loro diminuzione nel comparto chimico – dovuta in primis all’implementazione di tecnologie di abbattimento pienamente operative nell’industria dell’acido adipico – e nella produzione di minerali e metalli. Di sicuro questo risultato generale è correlato anche alla recessione economica, che ha avuto un impatto notevole sulla produzione industriale negli ultimi anni. In questo settore si assiste solo ad un aumento delle emissioni dei gas fluorurati, trainato dalla crescita della domanda di F-gas nei comparti della refrigerazione e del condizionamento.
Buone notizie arrivano pure dal settore agricoltura, che nello stesso arco temporale 1990-2023 registra una diminuzione del 15,6% delle emissioni di gas serra. Il positivo trend in calo va correlato principalmente alla riduzione del numero dei capi allevati e delle superfici e produzioni agricole, nonché al minor ricorso ai fertilizzanti sintetici ed ai cambiamenti nei metodi di gestione delle deiezioni.
Sono invece aumentate le emissioni del settore rifiuti (+6,5% dal 1990 al 2023), a causa soprattutto della crescita di quelle da smaltimento in discarica, che rappresentano il 77,5% del totale settoriale. “Il gas serra più importante in questo settore è il CH4 (NdA, metano) che rappresenta il 91.4% delle emissioni settoriali e registra un aumento del 6.8% dal 1990 al 2023”, si legge nel rapporto. Diminuiscono invece le emissioni correlate al trattamento delle acque reflue (-17,9% rispetto al 1990).
Infine eccoci arrivati al settore LULUCF, che genera assorbimenti di carbonio e contribuisce così alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Nel 2023 gli assorbimenti netti sono stati pari a 53,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, grazie in primis alle foreste e poi ai prati, pascoli ed altre terre boscate.
Gli obiettivi 2030 e 2050
Stando al rapporto, per quanto riguarda i due obiettivi europei di neutralità climatica (net-zero) al 2050 e di riduzione delle emissioni nette del 55% entro il 2030, l’Italia risulta in linea in due dei tre pilastri principali.
Si tratta del target Ue al 2030 di riduzione del 62% – rispetto al 2005 – delle emissioni dei grandi impianti, dell’aviazione e del trasporto marittimo (Emission Trading System o ETS-1) e dell’obiettivo LULUCF (Land Use, Land Use Change and Forestry) fissato per il nostro Paese a circa 35 milioni di tonnellate. Resta invece molto problematico l’obiettivo dell’Effort Sharing, che riguarda la riduzione del 43,7% rispetto al 2005 delle altre emissioni (trasporti, riscaldamenti, agricoltura, piccola industria ecc.).
Questo traguardo pare davvero molto lontano, poiché gli scenari Ispra indicano una riduzione del 30% al 2030 con le politiche correnti e del 41% con quelle aggiuntive del PNIEC.
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L’auspicio è che questo rapporto, rivolto a policy maker, tecnici, ricercatori ed a tutti gli attori coinvolti nelle politiche climatiche ed energetiche, “possa contribuire a promuovere azioni più incisive e coordinate, in grado di trasformare gli impegni internazionali in risultati tangibili, assicurando un futuro sostenibile per le generazioni a venire”, conclude Frittelloni.
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