Il restauro degli ecosistemi marini funziona. Uno studio internazionale guidato da ricercatori italiani dimostra che oltre il 64% degli interventi di ripristino ambientale negli oceani ha successo.
Gli interventi di recupero degli habitat danneggiati in mare danno i loro frutti. È questo il messaggio forte e chiaro che arriva dallo studio “Assessing the success of marine ecosystem restoration using meta-analysis”, pubblicato sulla rivista Nature Communications da un team internazionale di ricercatori, coordinato dagli scienziati italiani del National Biodiversity Future Center (NBFC). Analizzando 764 interventi di restauro effettuati in tutto il mondo, il lavoro dimostra che il restauro degli ecosistemi marini è efficace nel 64% dei casi. Con benefici misurabili anche in aree soggette a pressioni antropiche persistenti.
Le praterie di piante marine, le barriere coralline tropicali, il coralligeno mediterraneo, le mangrovie e le foreste di macroalghe. Tutti questi ecosistemi, seppur fragili, rispondono positivamente a strategie mirate di ripristino, anche in contesti complessi.
Un’opportunità per ambiente, economia e occupazione
Il dato non è solo ecologicamente rilevante. Secondo gli autori dello studio, infatti, il restauro degli ecosistemi marini rappresenta anche una grande opportunità economica e occupazionale.
In particolare, il valore annuo generato da un ettaro di foreste di macroalghe restaurate può superare i 190.000 euro, mentre le praterie di piante marine producono un beneficio stimato in 20.000 euro per ettaro all’anno.
Oltre 350 aziende europee sono già pronte a investire in questo nuovo mercato in espansione, stimolato anche dalla Legge europea sul Restauro della Natura (Restauration Law), che impone obiettivi ambiziosi di recupero: 20% degli habitat degradati entro il 2030, fino al 100% entro il 2050.
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Il restauro degli ecosistemi marini è efficace anche negli abissi
Una delle scoperte più sorprendenti dello studio riguarda la possibilità di intervento anche negli ecosistemi profondi, storicamente difficili da raggiungere e ripristinare. Grazie a tecnologie innovative, è di fatto possibile intervenire in ambienti colpiti dalla pesca a strascico o da altre attività distruttive. Tuttavia, c’è un “ma”: il costo del restauro in profondità può essere fino a 50 volte superiore rispetto a quello degli ecosistemi costieri.
È proprio questo uno degli argomenti forti contro lo sviluppo delle miniere sottomarine. Se si considerano i costi elevatissimi necessari per il ripristino dei fondali dopo questo tipo di attività, l’interesse economico delle estrazioni scompare. In questo modo, tali pratiche risultano insostenibili sia sul piano ambientale, che finanziario.
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Un’Italia in prima linea nella “rivoluzione blu”
«Si tratta di un contributo importante alle ricerche del National Biodiversity Future Center, il grande progetto PNRR che vede coinvolti i principali enti di ricerca e università italiane. Un settore del progetto, infatti, è proprio dedicato al restauro e alla conservazione degli ecosistemi marini», afferma Simonetta Fraschetti dell’università Federico II di Napoli, responsabile di uno dei principali comparti (Spoke 1) del NBFC. «L’Italia ha competenze e capacità per facilitare con efficacia il recupero di molti degli habitat degradati che in modo crescente determinano una perdita netta in termini di beni e servizi ecosistemici, e che al contrario sono così importanti per settori strategici dell’economia italiana come il turismo blu».
«Lo sviluppo di nuove tecnologie per il restauro degli ecosistemi marini consente oggi di intervenire su aree sempre più ampie e di restaurare anche ambienti soggetti a forte inquinamento», conclude Roberto Danovaro, coordinatore dello studio. «L’efficacia degli interventi di restauro ecologico in mare è tale da non lasciare dubbi. Possiamo puntare con convinzione in questa direzione».
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