Il Governo Renzi stanzierà circa 50 milioni di euro per la bonifica di Bagnoli, altri 150 invece, per la Terra dei fuochi meno del dopo Expo.
«Bagnoli è sterminata; un impero, uno dei tanti, della pura materia e della pura potenza. Cos’altro, ormai, possiamo creare? » Sono parole caustiche quelle scelte da Guido Ceronetti, poeta e filosofo del nostro tempo.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza su questo posto, partendo dai fatti recentissimi. Il Governo stanzierà circa 50 milioni di euro per la bonifica di Bagnoli (altri 150 invece, per la bonifica della “Terra dei fuochi”) nell’ambito del decreto legge “Misure urgenti per gli interventi nel territorio”.
Il governatore della Campania Vincenzo De Luca ringrazia, ma per meglio comprendere il senso delle cose, è necessario capire come saranno impiegati in via prioritaria i fondi del decreto poc’anzi citato. Come scrive il noto giornalista e storico Angelo Forgione, duecento milioni sono destinati al Giubileo di Roma, 150 alla riconversione dell’area espositiva dell’Expo di Milano. A Bagnoli vengono quindi riservati un terzo degli sforzi che il paese profonde per il post-Expo, in un’area, quella milanese, che è circa due volte e mezzo più piccola di quella flegrea. C’è chiaramente qualcosa che non va in termini di priorità.
Adesso, avendo preso atto di questa dissonanza, procediamo con la ricostruzione dei fatti. Bagnoli è uno dei quartieri della decima municipalità del comune di Napoli, area occidentale. Geograficamente è parte integrante dei “Campi flegrei”, zona che si distingue per la forte connotazione vulcanica. Proprio in virtù di tale peculiarità, questa porzione di terra era particolarmente gradita agli antichi Greci prima e ai Romani poi. Bagnoli era infatti un paradiso termale. Era. Pare che persino l’imperatore Federico II di Svevia decise di cercare ristoro presso le terme di Pozzuoli.
Adesso però è tempo di fare un notevole salto temporale. Anche in considerazione del fatto che Bagnoli era già sede di alcune realtà industriali, nel 1905 il quartiere flegreo viene selezionato per la costruzione dell’impianto siderurgico della Società Ilva, inaugurato poi nel giugno 1910 (solo nel 64’ cambia la denominazione, diventando Italsider a seguito della fusione dell’Ilva con la Cornigliaro). La nascita dell’Italsider decreta di fatto la fine del termalismo flegreo.
Il centro siderurgico di Bagnoli sorgeva ai piedi di una collina di una baia spettacolare. Solamente con il senno di poi si è compreso che “gli impianti siderurgici nei grandi centri urbani non possono funzionare a lungo termine. Anche il caso Taranto è emblematico in tal senso”, dice il giornalista Emanuele Imperiali. Il problema restava tale e privo di interventi risolutori. Vi era la necessità di garantire due beni sacri, ma che in questo caso erano in diametrale antitesi tra loro. Da un parte la tutela dell’ambiente, dall’altro il lavoro di migliaia di operai. In ogni caso resta inconcepibile la scelta di installare un mostro simile in un luogo sublime come questo, baciato da Dio.
A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta lo stabilimento è costretto a ridimensionare la produzione a fronte di un ingente processo di deindustrializzazione. Tuttavia, la catastrofe ambientale è ormai un fatto conclamato. Nel 1985 chiude lo stabilimento “Eternit” a causa delle sue lavorazioni nocive. Solo quattro anni dopo l’area viene sottoposta a una prima bonifica ambientale. L’impianto Italsider chiude definitivamente i battenti nel 1992.
Ma qual è il lascito di questa storia dai contorni raccapriccianti? La carcassa decadente di un mostro portatore di morte, milioni di metri cubi di impianti arrugginiti che, secondo una inchiesta della Rai ,“vomitava a mare ogni ora venti milioni di litri di veleni e altrettanti in cielo sotto forma di gas e polvere”. A metà degli anni 70, il mare era un tappeto purulento di cloro, ammoniaca, fenoli, solfuri, catrame e idrocarburi. Nell’aria si registravano polveri altamente cancerogene in misura 25 volte superiori ai limiti stabiliti. Era questo il segreto degli spettacolari tramonti di fuoco di Bagnoli. Poesia e morte.
I reperti dell’epoca parlano di edifici corrosi da sostanze inquinanti. Ma se muri e pilastri non resistevano a questo male, come avrebbe potuto il corpo difendersi da un simile attacco, così insidioso, arcuato. Il cancro non si è fatto attendere. Nel 1998 “Bagnoli-Coroglio” viene inserito nell’elenco dei siti di interesse nazionale da bonificare. L’esito delle indagini geofisiche svolte tra il 1997 e il 1998 è a dir poco inquietante. Nel sottosuolo si riscontra la presenza di metalli pesanti come piombo, stagno e arsenico. In acqua i campionamenti rilevano tracce superiori alla norma di ferro, idrocarburi e manganese. Inoltre, così come nel caso dello stabilimento Eternit, si accerta la presenza di ulteriori tracce di amianto.
Le operazioni di bonifica, però, procedono con una lentezza impressionante, e ancor più delle parole, c’è un fatto simbolico che può dimostrare lo stato di incuria e disagio a cui sono sottoposti i cittadini. Nel 1999 un gruppo di ambientalisti presentano un esposto alla magistratura: 7000 tonnellate di amianto che giacciono a cielo aperto e il ritrovamento di amianto occultato nella zona dell’Italsider. Uno scempio. Nel corso degli ultimi vent’anni si sono alternati diversi progetti di riqualificazione e bonifica dell’area occidentale di Napoli, ma in nessuno dei casi l’esito è stato decisivo. Malgrado le idiosincrasie evidenziate inizialmente, il Governatore della Campania, Vincenzo De Luca, nei giorni passati, al di là delle note vicende processuali (c’è un procedimento penale in corso, il reato contestato è concussione per induzione) ha mostrato una certa soddisfazione nel commentare l’elargizione di questi fondi, e quindi, in virtù di questa recente svolta, l’augurio è che si possa finalmente porre rimedio a questo atroce dramma che ha genuflesso una intera popolazione. Le istituzioni locali dicono “adesso tocca a noi”, i cittadini non possono far altro che dare fiducia e aspettare.