Caffetterie instagrammabili, perchè aumentano l’impatto ambientale. Un viaggio tra design omologato, sprechi e alternative sostenibili.
Caffetterie instagrammabili, perché ovunque nel mondo, entrando in un bar, sembra di essere nello stesso posto? È la globalizzazione dell’estetica, e il pianeta ne paga il conto.
Design minimalista, impatto massimo: come le scelte minimaliste possono favorire la sostenibilità
Un tempo, una caffetteria raccontava qualcosa del quartiere in cui si trovava. Oggi è un clone dalle pareti bianche, che profuma di eucalipto, decorato con insegne al neon e cappuccini all’avena, lo trovi a Seoul come a San Paolo.
Non è un caso: è l’effetto degli algoritmi. Come spiega Kyle Chayka nel suo articolo per The Guardian, le caffetterie moderne seguono tutte lo stesso identico template: uno stile che lui definisce AirSpace. Pavimenti in cemento levigato, piante perfette, lampadine a filamento, tazze in ceramica artigianale e un minimalismo costruito per le foto. I locali, desiderosi di visibilità online, replicano questo modello per restare competitivi. Il risultato? Una monocultura visiva fatta di caffè “indipendenti” che sembrano tutti uguali, pensati per essere fotografati più che vissuti.
Il minimalismo è davvero sostenibile o è solo un lusso travestito da etica per pochi privilegiati?
Come scrive Chayka, questi locali non vogliono essere unici, vogliono essere instagrammabili.
Uno studio dell’Università di Toronto del 2022 conferma questo fenomeno: “la convergenza estetica degli spazi urbani è accelerata dai meccanismi di visibilità delle piattaforme digitali.” Ciò sta cancellando le identità locali e, silenziosamente, sta influenzando anche l’impatto ambientale.
Un tempo, le caffetterie riflettevano la comunità in cui si trovavano: legno proveniente dai boschi vicini, ceramiche di artigiani locali, menù costruiti in base alle stagioni e all’agricoltura del territorio. Oggi, in molti nuovi locali, il design è importato direttamente dai trend online. Piastrelle e arredi viaggiano da un continente all’altro. Il verde decorativo, spesso, è di plastica. Persino i menù vengono modificati per includere piatti fotogenici, anche senza alcun legame con il luogo.
Un’estetica “autentica” per la fotocamera, ma scollegata dalla realtà.
Jason Momoa contro la plastica monouso, il suo impegno per rendere Hollywood più green
Nelle caffetterie instagrammabili, minimalismo e piante possono sembrare ecologici, ma l’interior design approvato dagli algoritmi può nascondere un costo ambientale elevato:
- Identità importata: materiali, colori e arredi vengono spesso scelti per seguire mode nordiche o californiane, ignorando il contesto locale. Piastrelle importate, legno scandinavo o piante non autoctone implicano lunghi trasporti e alti costi energetici.
- Tendenze usa-e-getta: l’estetica “giusta” cambia in fretta. Quando un look non è più di moda, si ristruttura tutto — con conseguente spreco edilizio e consumo non necessario.
- Gentrificazione visiva: le caffetterie in stile AirSpace sono spesso segni di gentrificazione. In molte città del Sud globale (Città del Capo, Città del Messico, ecc.), locali “alla moda” si sostituiscono a spazi storici, escludendo le comunità locali e omologando l’identità urbana.
È la stessa logica del fast fashion: inseguire ciò che “funziona” online porta a un consumo rapido e a sprechi continui.
Cos’è la fast fashion, la moda economica dagli altissimi costi ambientali e sociali
Per molte caffetterie indipendenti, i social media sono il principale canale per farsi scoprire. Senza l’estetica di tendenza, i post ottengono poca visibilità, i clienti calano e sopravvivere diventa difficile. I proprietari si trovano davanti a un bivio: restare fedeli a un’identità sostenibile e radicata nel territorio rischiando l’invisibilità, oppure conformarsi al modello e compromettere i propri valori. Come ha detto un proprietario di un locale di Berlino: “È come pagare l’affitto all’algoritmo: o gli dai lo stile che vuole, o sparisci“.
Non tutti, però, si piegano all’algoritmo. Alcune realtà, ancora molto poche, scelgono di fare il contrario. I loro spazi raccontano una storia locale, sono costruiti con materiali recuperati, arredati con oggetti del territorio e legati a menu stagionali.
Sono scelte che non solo riducono l’impatto ambientale, ma creano un senso di luogo unico, impossibile da replicare in serie.
Non inseguono i trend: costruiscono fiducia e comunità.
Come afferma la designer Anab Jain: “Il design non dovrebbe servire gli algoritmi, ma le persone.”
Le caffetterie sono solo un esempio di come gli algoritmi influenzino il mondo reale. Le stesse forze omologanti colpiscono moda, arredamento e turismo. Quando è Internet a dettare il gusto, la sostenibilità finisce spesso in secondo piano rispetto all’estetica.
Il costo ambientale dell’omologazione è invisibile ma concreto, dalle emissioni legate all’importazione dei materiali, allo spreco dovuto alla sostituzione continua degli arredi per seguire le mode. Se i clienti iniziano a premiare autenticità e sostenibilità con la propria attenzione e il proprio denaro, anche gli algoritmi, prima o poi, si adatteranno.
Ruin Pub di Budapest, la rinascita sostenibile nel cuore della città
La crisi climatica non riguarda solo le emissioni, ma anche la resistenza ai modelli culturali che generano sprechi. Scegliere luoghi che riflettano l’identità locale e il rispetto per l’ambiente è un atto di gusto e di attivismo.
La prossima volta che ordini un cappuccino, chiediti: lo stai pagando tu o lo sta pagando il pianeta?
[Foto di Nafinia Putra su Unsplash]
