Crocodile Tears, presentato al 42° Torino Film Festival racconta il rapporto madre-figlio nella cornice di un parco tematico sui coccodrilli.
Il coccodrillo, fra i rettili è quello che senz’altro incute più timore e rispetto. Dal suo incedere strisciante, lento ma inesorabile, al suo stare pericolosamente immobile. Da quella immobilità è capace di passare a scatti improvvisi e letali. Con le mandibole che si chiudono in una tenaglia senza lasciare scampo alla preda. Quelle stesse fauci, spesso temibili e aperte, sanno essere anche un rifugio sicuro. Il migliore per i piccoli appena nati. Una volta usciti dall’uovo dopo una incubazione di tre mesi, i cuccioli sono poco più grandi di una lucertola e completamente indifesi altrimenti. Per questo la madre, una volta dissotterrate le uova e aiutata ad uscire, raccoglie la prole in bocca per poterla accompagnare verso l’acqua in totale sicurezza.
Nonostante siano già perfettamente formati e autonomi, sono vulnerabili alla cattura da parte dei predatori. Le fauci materne sono, di conseguenza, l’unico posto in cui, anche il più temerario fra loro, non oserebbe avvicinarsi. Questa immagine nella psicoanalisi viene identificata come una forma di maternità allo stesso tempo amorevole e aggressiva. La prima in una forma di accudimento perpetuo, dall’altra nel desiderio da parte del genitore di divorare il suo frutto, di inglobarlo nuovamente dentro di sé. Il tutto avviene, anche se in forma inconscia. E questo secondo autori come Jacques Lacan (1901 – 1981) può avvenire anche con le madri più amorevoli.
Si tratta dell’ombra del sacrificio materno che è parallelo alla figura maschile del padre padrone. Parliamo di una forma di trasfigurazione di una vita che cresce in una gabbia dorata senza alcuna via di fuga. L’immagine della madre coccodrillo, presa da un documentario televisivo, ha colpito molto anche il regista Tumpal Tampubolon (1979). In quella figura tenera e inquietante allo stesso tempo egli ci ha visto di riflesso sua madre. La donna, dopo la morte del padre in un incidente, ha dovuto crescere Tumpal e le sue sorelle da sola. Nonostante ciò, l’incidente ha portato delle gravi ripercussioni nella mente della donna. Queste suggestioni e il ricordo confluiscono nel suo film Crocodile Tears, presentato nella sezione Zibaldone del 42° Torino Film Festival.
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Per il regista indonesiano si tratta del suo lungometraggio d’esordio, dopo aver lavorato a diversi cortometraggi, fra cui un episodio del film collettivo Belkibolang (2011) presentato, fra gli altri al Far East di Udine. Promosso dal Torino FilmLab, Crocodile Tears è stato portato a diversi festival internazionali come il Toronto International Film Festival e l’Adelaide Film Festival di quest’anno.
L’esperienza di Tumpal si riflette, direttamente in quella del suo giovane protagonista, Johan. Egli vive con la madre in un parco tematico sui coccodrilli in Indonesia. All’esterno della struttura troneggia una grande scultura dell’animale. Il parco è ammantato da un’aura misteriosa e cupa: infatti il padre del ragazzo è scomparso prima della sua nascita. Voci dicono che sia stata la madre stessa ad ucciderlo e darlo in pasto agli animali ospiti del parco.
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Nonostante ciò è una attrattiva per i turisti che visitano e si fanno le foto vicino alle vasche e assistono a esibizioni con i rettili. Il numero più pericoloso è quello del “bacio del coccodrillo”. Consiste nell’avvicinarsi dell’addestratore al muso dell’animale e darci sulla punta un bacio, consapevoli che il coccodrillo potrebbe attaccare da un momento all’altro. È un numero pericoloso a cui gli spettatori assistono con trepidazione. Fra di essi vi è anche Arumi, una coetanea di Johan che il ragazzo ha conosciuto qualche tempo prima mentre distribuiva i volantini dello show. Inizialmente timorosi, i due si avvicinano reciprocamente e si innamorano.
La loro relazione viene strettamente controllata dalla madre del ragazzo. Estremamente protettiva e instabile mentalmente, vede nel rapporto fra i due una minaccia alla sua stabilità familiare. Essa consiste in un rapporto possessivo nei confronti del figlio. Le loro giornate sono monotone: curano i coccodrilli, sfamandoli con carriole di polli coperti di mosche e pulire con attenzione la struttura. La routine si conclude la sera con partite a Badiminton e massaggi nel letto matrimoniale. I due dormono assieme, abbracciati in posizione fetale. Sopra il grande letto si sta formando una grossa macchia di umidità.
Man mano che passa il tempo, questa prende la forma di un grande coccodrillo bianco. Questi è una delle attrazioni principali del parco. Più grosso dei suoi simili, sta in un recinto a parte. Con i suoi grandi occhi gialli fissa attraverso le sbarre tutti quelli che gli si parano davanti. È proprio di fronte a questo recinto che la donna, di notte si ritrova urlando e piangendo nei primi minuti del film. Interrompendo il ragazzo che praticava autoerotismo vicino alle incubatrici per le uova.
Le notti del ragazzo sono inframezzate da sogni in cui vede la madre stessa in forma di rettile che le parla, o che lo aggredisce strisciando minacciosamente. Il grande coccodrillo bianco lo vediamo sempre immobile, e sfuggente nei movimenti. Le squame della coda che si allontanano nella pozza, il suo muso che spia dal pelo dell’acqua. Per la donna l’animale è l’incarnazione del marito defunto. Fra di loro c’è intesa: un rapporto che neppure lo stesso Johan sa spiegare. Lei ci parla e lui le parla. È l’unico animale del parco che viene nutrito con animali vivi.
Il coccodrillo è una metafora, neanche troppo sottile del rapporto che intercorre fra i personaggi di Crocodile Tears. Le lacrime che vengono versate sono quelle di un dolore mai realmente affrontato e di rabbia per conquistare la libertà. I grandi rettili, nella loro passività, sono puramente simbolici di una condizione antica e che fatica al rinnovamento. In questa condizione l’amore nella sua forma più pura e sana rappresenta una via di fuga per Arumi e Johan. Con gesti minimi come un pasto condiviso seduti su di una scultura di coccodrillo. Tutto si può affrontare e superare.