Il 5 dicembre di questo 2016 appena salutato, l’Army Corps of Engineers, la sezione dell’esercito statunitense specializzata in ingegneria e progettazione, ha deciso di non autorizzare il proseguimento della costruzione dell’oleodotto Dakota Access (Dakota Access Pipeline, DAPL), finanziato dalla Energy Transfer Partners, vicino alla riserva di Standing Rock Sioux, a cavallo tra North Dakota e South Dakota. Questo oleodotto sarebbe in grado di trasportare 470 mila barili di greggio al giorno e dovrebbe estendersi per 1900 km attraverso cinquanta contee in quattro stati.
I Sioux si sono opposti alla costruzione dell’oleodotto fin dal 2014, anno in cui il progetto è stato presentato per la prima volta. Un tratto di questo impianto dovrebbe scorrere al di sotto del lago Oahe, un bacino del fiume Missouri, rappresentando quindi un potenziale pericolo per le risorse idriche del territorio. Ma la protesta non riguarda solo il rischio ambientale, lungo il suo percorso il DAPL attraversa territori di sepoltura, profanandone così la sacralità.
Le nazioni tribali non sono state adeguatamente consultate prima della costruzione dell’oleodotto. L’ordine esecutivo 13175 (“Consultazione e coordinamento con i governi tribali indiani”, emanato da Bill Clinton nel 2000) stipula che i dipartimenti federali e le agenzie devono consultarsi con i governi tribali in caso di politiche che possono avere un impatto sulle comunità indiane. Secondo i Sioux l’Army Corps of Engineers ha fallito questo compito, rendendo questo caso una delle più importanti rivendicazioni nella storia dei Nativi americani nel campo della giustizia ambientale. La protesta iniziata la scorsa primavera ha unito nel campo di Oceti Sakowin più di 300 nazioni tribali, un evento unico nella storia. Durante i mesi di lotta, affrontando condizioni climatiche estreme, la comunità dei protettori dell’acqua è cresciuta esponenzialmente. Il 4 dicembre circa 2000 veterani statunitensi appartenenti al corpo dei Marines si sono uniti alla protesta per difendere i partecipanti dagli attacchi ingiustificati della polizia.
Tutto questo ha portato alla conquista del 5 dicembre, ma la lotta non è finita, questo è il monito di David Archambault II (capo del consiglio tribale): “So che questa è una vittoria nella battaglia contro l’oleodotto, ma non abbiamo ancora vinto la guerra. Ci saranno molte altre lotte davanti e continueremo a trovare nuove strategie e a vincere.“
Il portavoce del presidente eletto Donald Trump, Jason Miller, ha affermato che la futura amministrazione potrebbe rivedere la decisione rispetto alla sospensione del permesso, dato che è favorevole al completamento dell’oleodotto. Sarà quindi il Presidente Trump a decidere dopo il 20 gennaio, giorno del suo insediamento, ed essere nelle sue mani su questioni legate alla tutela dell’ambiente purtroppo non è di buon auspicio.