Indiana Bones

Indiana Bones, un gatto nero al museo ambasciatore di sostenibilità

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Indiana Bones, un gatto nero al museo ambasciatore di sostenibilità ultima modifica: 2025-10-31T14:11:54+01:00 da Renata Isachi
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Indiana Bones, il gatto del Museum of Osteology di Oklahoma City, è molto più di una mascotte: adottato da un rifugio, promuove l’adozione responsabile, riduce l’uso di veleni e avvicina i visitatori alla biodiversità. Una storia che mostra come la sostenibilità possa nascere da piccoli gesti quotidiani.

Indiana Bones è il nome del celebre gatto mascotte di un museo degli Stati Uniti.

Quando pensiamo ai simboli dell’impegno ambientale, immaginiamo scienziati, guardie forestali o specie selvatiche minacciate, non certo un gatto che dorme sopra una teca. Eppure Indiana Bones, il felino residente del Museum of Osteology di Oklahoma City, intreccia in modo sorprendente diversi fili dell’ambientalismo contemporaneo: adozione responsabile, controllo naturale dei parassiti, educazione alla biodiversità e sostegno concreto ai rifugi per animali. In un mondo che separa il concetto di “natura” da luoghi come musei e uffici, Indiana Bones ricorda a tutti che gli animali, anche quelli domestici, possono essere ponti viventi tra le persone e l’ambiente.

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Adottato dal rifugio municipale di Moore nel 2019, dopo che un gruppo di dipendenti aveva proposto l’idea di un “gatto del museo”, Indiana Bones è presto diventato una vera celebrità. È protagonista dei canali social del museo, riceve visite solo per lui e ha persino aumentato gli ingressi. Ma la sua storia è anche una testimonianza di come l’adozione da rifugio riduca la domanda di allevamenti commerciali e promuova alternative più etiche e sostenibili, che limitano lo spreco di risorse e migliorano la qualità della vita degli animali.

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La sua presenza ha portato anche un vantaggio pratico: i musei spesso devono affrontare problemi di topi e insetti, e la risposta standard è l’uso di veleni o trappole. Indiana Bones, però, svolge un ruolo più naturale, e molto più ecologico, nel mantenere gli spazi puliti. È stato persino nominato “dipendente del mese” per le sue abilità da cacciatore. Un esempio, ironico ma concreto, di come si possa ridurre l’uso di rodenticidi e di altre sostanze tossiche che contaminano le catene alimentari e danneggiano la fauna selvatica.

Il museo, dedicato all’anatomia comparata e allo studio degli scheletri, ha trovato in Indiana Bones anche un perfetto strumento didattico. La sua presenza accanto a teche di ossa e teschi rende tangibile ciò che i visitatori imparano: che dietro ogni struttura ossea c’è un essere vivente, un equilibrio biologico da rispettare. Molti bambini, incuriositi dal gatto, finiscono per interessarsi anche alla scienza, alla conservazione e all’importanza della cura degli animali, sia domestici che selvatici.

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Oltre a intrattenere e insegnare, Indiana Bones ha contribuito a raccogliere fondi e donazioni per il rifugio da cui proviene, trasformando la sua popolarità in un’azione concreta per la comunità. Questo tipo di collaborazione tra musei e associazioni animaliste è un modello virtuoso: aumenta le risorse per i rifugi, riduce gli abbandoni e promuove una cultura dell’empatia.

La sua storia suggerisce un messaggio semplice ma potente: anche le istituzioni culturali possono diventare più “verdi” con piccoli gesti. Adottare un animale invece di comprarlo, scegliere metodi ecologici di gestione dei parassiti, trasformare una mascotte in uno strumento educativo e solidale.

Indiana Bones non è solo un gatto simpatico tra i fossili: è la dimostrazione che l’impegno ambientale può nascere da decisioni quotidiane, silenziose ma significative. In fondo, la sostenibilità non è fatta solo di grandi politiche o foreste incontaminate ma anche da un museo, un gatto, e una comunità che sceglie di prendersi cura, insieme, della vita in tutte le sue forme.

[Foto © sir.indiana.bones Instagram]

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