Pinna nobilis, un progetto Life mira a evitare l’estinzione di questo mollusco

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Pinna nobilis, un progetto Life mira a evitare l’estinzione di questo mollusco ultima modifica: 2025-10-17T00:09:18+02:00 da Marco Grilli
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Pinna nobilis, un progetto europeo Life mira a salvare dall’estinzione il più grande mollusco bivalve del Mediterraneo

La nacchera di mare (Pinna nobilis) è in pericolo critico di estinzione dal 2016, quando una terribile epidemia ha decimato le popolazioni di questo organismo marino così prezioso per la salute degli ecosistemi costieri.

Il 1° ottobre 2021 è stato avviato il progetto europeo quadriennale Life Pinna (“Conservation and re-stocking of the Pinna nobilis in the western Mediterranean and Adriatic sea”), che mira non solo a monitorare e proteggere le popolazioni ancora in vita, ma anche al recupero della specie nei suoi habitat di riferimento.

Il programma Life, attivo dal 1992, ha finanziato fino ad oggi oltre cinquemila progetti di conservazione della natura e dell’ambiente. Il progetto in questione, cofinanziato dallo strumento Life, riguarda ben cinque regioni (compresa una slovena) ed è strutturato in un lavoro di rete che coinvolge una pluralità di enti (la capofila Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Liguria – Arpal –, il Parco nazionale dell’Asinara, l’Istituto nazionale di biologia sloveno, la Società cooperativa Shoreline, Triton Research Srl e le Università degli Studi di Genova e di Sassari).

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La specie Pinna nobilis

La maestosa nacchera di mare, il mollusco bivalve più grande del Mediterraneo, abita i nostri mari da 2,5 milioni di anni ma dal 2016 è stata classificata come “in pericolo critico” dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn).

In quell’anno, infatti, a partire dal Mediterraneo occidentale si è verificata un’epidemia che ha provocato una mortalità di massa, dovuta all’azione di un protozoo “Haplosporidium pinnae” che attacca l’apparato dirigente del mollusco. Non si tratta però dell’unico responsabile di questa imponente moria, perché analisi molecolari più recenti hanno scoperto il ruolo primario svolto pure da alcune specie di batteri (micobatteri, vibrioni).

Pinna Nobilis è una specie endemica del Mediterraneo, che cresce in una grande conchiglia (oltre 120 centimetri) ricoperta di microrganismi ed incrostazioni e popola i fondali sabbiosi e le praterie sottomarine di posidonia, ad una profondità tra i tre ed i 60 metri. Molto longeva (può arrivare addirittura all’età di 45 anni), in condizioni ambientali ottimali garantite dall’abbondanza di nutrienti a da correnti stabili  può formare delle folte colonie.

La nacchera di mare svolge inoltre un  prezioso ruolo ecologico, non solo per l’azione di filtraggio delle acque (“organismi di 30 centimetri filtrano anche tremila litri al giorno di acqua”, spiega Saul Ciriaco di Shoreline nel documentario dedicato al progetto), ma anche perché intrattiene relazioni vitali con un notevole numero di specie della biodiversità mediterranea (“Pinna nobilis viene anche definita costruttore di habitat perché è una specie di grandi dimensioni e sia sulla sua conchiglia sia al suo interno possono vivere altri organismi, perciò si viene a creare un vero e proprio ecosistema”, ribatte nel documentario Daniela Caracciolo di Arpal Genova).

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Purtroppo però non mancano le minacce“in passato questa specie ha attirato l’attenzione dei collezionisti di conchiglie e dei raccoglitori di bisso, un insieme di filamenti prodotti dagli esemplari adulti di Pinna, utilizzato dall’animale per aderire al substrato e dall’uomo per produrre una pregiatissima fibra tessile. Sul finire degli anni ’80, invece, l’inquinamento, l’eccessiva raccolta e altri fattori come gli ancoraggi e la pesca a strascico avevano innescato un primo progressivo declino delle popolazioni di Pinna nobilis lungo le coste mediterranee, costringendo la Comunità Europea a formalizzare delle misure di protezione nei suoi confronti”, commentano gli autori del progetto.

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Al momento dell’ideazione di Life Pinna nell’Alto Adriatico si trovavano ancora popolazioni di Pinna nobilis in buone condizioni e con densità elevate, dall’estate 2020 però l’epidemia si è diffusa velocemente compromettendo lo sviluppo del progetto stesso, a causa della difficoltà di reperire esemplari giovani ed adulti. Su tale situazione hanno inciso pure le variate condizioni ambientali, con fattori quali l’aumento della temperatura del mare e gli eventi estremi di mucillagine in Adriatico, che hanno sensibilmente peggiorato lo stress e lo stato di salute dei molluschi. Il tasso di mortalità nel Mediterraneo è arrivato addirittura a circa l’80-90%.

Obiettivi

“Oltre a monitorare e proteggere gli individui sopravvissuti di Pinna nobilis nel Mediterraneo occidentale e nel Mare Adriatico, il progetto ha lo scopo di mettere a punto tecniche di allevamento in cattività per ripopolare alcune aree specifiche con individui resistenti alle malattie. Questa nuova metodologia operativa potrà poi essere replicata per ripopolare altre zone del Mediterraneo rimaste sguarnite di nacchere”, chiariscono gli enti promotori.

Dopo una prima fase di valutazione ambientale e sanitaria degli habitat più idonei alla specie (l’Alto Adriatico e le aree nord-occidentali di Liguria e Sardegna) oltre che degli esemplari viventi, un’accurata analisi genetica ha contribuito a comprendere i motivi della resistenza alle patologie di Pinna nobilis e ad individuare i migliori esemplari da far riprodurre in laboratorio, un’operazione che non era mai stata tentata prima.

Nella seconda fase le larve più resistenti, provenienti in massima parte dall’Alto Adriatico, sono state fatte crescere in cattività per poi esser  trasportate sui fondali delle quattro aree pilota ritenute più adatte al ripopolamento, ovvero le aree marine protette di Capo Mortola, Asinara, Miramare e Strunjan in Slovenia. Questi siti sono stati individuati in precedenza grazie ad analisi molecolari condotte ad intervalli regolari su altri piccoli bivalvi (denominati “sentinelle”), al fine di segnalare in anticipo  l’eventuale presenza di virus, batteri e protozoi pericolosi.

“Queste azioni non hanno solo un interesse locale, perché, come accennato, il progetto è pensato per essere replicato in altri contesti, grazie alla messa a punto di protocolli operativi per tutte le fasi, dal monitoraggio all’allevamento in cattività, fino alla reintroduzione in natura”, si legge sul sito del progetto.

Life Pinna non si è limitato ad attività di ricerca ma ha previsto pure iniziative di citizen science, attività di divulgazione e la realizzazione di un documentario. “La grande ambizione è, quindi, bloccare il declino di Pinna nobilis, per poi aprire la via ad una inversione di tendenza in tutto il Mediterraneo in appena un lustro”, spiegano gli organizzatori del progetto.

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Aree di intervento

Life Pinna ha coinvolto ben quattro regioni italiane (Liguria, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Toscana), oltre ad una slovena (Litorale-Carso o Obalno-kraska).

I principali siti di intervento corrispondono a tre aree marine protette (AMP) appartenenti alla rete Natura 2000 (Miramare, Asinara, Strunjan) ed all’area di tutela marina (ATM) di Capomortola, ovvero zone che presentavano popolazioni ben strutturate di Pinna nobilis almeno fino al 2018. Le azioni di replicazione si sono svolte invece nell’area naturale protetta dell’Isola di Bergeggi e nel Parco nazionale dell’Arcipelago toscano.

Sviluppo ed esiti del progetto

I numeri di Life Pinna rendono bene conto della rilevanza di questo progetto: 100 giornate di immersioni dedicate ai monitoraggi, oltre 200 chilometri di costa perlustrati alla ricerca di esemplari vivi, più di 50 esemplari adulti trasferiti in aree marine protette, oltre 60 ricercatori coinvolti nel network internazionale.

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Grazie a questo importante progetto europeo, i ricercatori dell’Università di Genova sono riusciti ad ottenere la fecondazione di Pinna nobilis ed a portare lo sviluppo larvale a 21 giorni, raggiungendo così lo stadio iniziale di larva umbonata a 16 giorni post fertilizzazione, con una conchiglia lunga 150 micron. Si tratta di dimensioni mai raggiunte in precedenza per questa specie.

C’è di più, “l’intensa collaborazione tra i partner ha permesso di mettere a punto dettagliati protocolli per il trasporto, il mantenimento e la riproduzione, cui è stato dedicato l’articolo ‘Endangered and Pathogen-Affected Species, for Controlled Reproduction: Precautions Taken’ pubblicato sulla rivista scientifica Ecology and Evolution. Per definire i protocolli è stato cruciale eseguire prove preliminari su Atrina fragilis, specie strettamente imparentata con Pinna nobilis ma non minacciata. Solo successivamente gli stessi protocolli sono stati applicati a Pinna nobilis”, si legge nel report finale del progetto.

Oltre ai monitoraggi intensivi che hanno permesso di ampliare le conoscenze sulla distribuzione della specie, l’Università di Sassari ha elaborato due protocolli che in futuro potranno trovare applicazione in mitilicoltura o per le  analisi molecolari su specie protette. Il primo è basato su tecniche forensi non invasive e prevede l’estrazione del DNA da campioni biologici di individui vivi e  da frammenti di gusci, il secondo  si concentra invece sulla valutazione dei livelli di infezione da Haplosporidium pinnae, un protozoo associato all’insorgenza della malattia nei tessuti degli esemplari analizzati.

Nel corso del progetto sono state trasportate (anche per 500 chilometri) e trapiantate decine di esemplari, con un livello di mortalità pari a zero durante lo spostamento, a testimonianza dell’efficacia dei protocolli adottati. È stato appurato che dopo diversi mesi gli individui erano ancora in buona salute.

Frutto di un lavoro di collaborazione internazionale, Life Pinna ha organizzato importanti sessioni di formazione e redatto il Piano di azione mediterraneo per la salvaguardia di Pinna nobilis, adottato nel 2023 dalla Convenzione di Barcellona. “Una delle eredità del progetto è quindi la creazione di un gruppo di lavoro internazionale che oggi coinvolge i ricercatori di varie discipline, dall’ecologia alla riproduzione, che studiano Pinna nobilis in tutto il bacino Mediterraneo e mettono in condivisione in modo trasparente le conoscenze attuali per sviluppare nuove strategie”, spiegano i promotori di Life Pinna, che grazie ad un’efficace campagna mediatica di informazione e sensibilizzazione è riuscito a raggiungere oltre cinque milioni di persone.

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All’interno del progetto merita un’ulteriore citazione la campagna di citizen scienze “Segnala la pinna”, che grazie alla collaborazione di altri istituti ed associazioni ha permesso la raccolta di oltre 60 segnalazioni (con più di 50 esemplari vivi) da parte dei sub, in gran parte validate dai ricercatori di Life Pinna.

L’impegno per salvare questo prezioso mollusco prosegue.

[Credits foto: Marco Colombo/Triton, Lifepinna.eu]

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Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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