Il settimo limite planetario, l’acidificazione degli oceani, è stato superato. Un passaggio critico che mette a rischio ecosistemi marini vitali e la capacità degli oceani di regolare il clima. Non siamo più nella fase delle parole: ora serve agire.
Sette dei nove limiti planetari – i confini ecologici che definiscono lo spazio sicuro entro cui l’umanità può prosperare – sono stati superati. Il settimo limite planetario, l’ultimo a cadere, è quello legato all’acidificazione degli oceani, come conferma il Potsdam Institute for Climate Impact Research. Un fenomeno invisibile agli occhi, ma dagli effetti profondi, che riduce la resilienza del nostro Pianeta.
Marine Animal Forests, le foreste sommerse che salvano il pianeta
Cos’è l’acidificazione degli oceani?
Quando l’anidride carbonica (CO₂) si scioglie nell’acqua marina, forma acido carbonico e abbassa il pH. È questo il processo noto come acidificazione. Dall’inizio dell’era industriale, il pH superficiale degli oceani si è ridotto di 0,1 unità: può sembrare poco, ma equivale a un aumento dell’acidità del 30-40%.
Perché è stato superato il settimo limite planetario
Le cause principali sono ben note:
- Emissioni di CO₂ dai combustibili fossili, parte delle quali finisce in mare;
- Deforestazione, che riduce la capacità di assorbire CO₂;
- Inquinamento industriale, che altera ulteriormente la chimica marina.
Il risultato? Ecosistemi fragili messi sotto pressione. Coralli, molluschi e plancton faticano a formare scheletri e conchiglie di carbonato di calcio. Le barriere coralline si indeboliscono, la biodiversità (già indebolita) cala ulteriormente, le catene alimentari si spezzano. Con conseguenze dirette anche per la sicurezza alimentare.
La pesca a strascico riduce la biodiversità nel Mediterraneo
La fotografia attuale
Secondo i ricercatori del Potsdam Institute, oltre all’acidificazione degli oceani abbiamo già superato i limiti relativi a:
- riscaldamento globale;
- integrità della biosfera;
- cambiamenti d’uso del suolo;
- uso eccessivo di risorse idriche;
- cicli di azoto e fosforo;
- introduzione di sostanze chimiche artificiali.
Restano nella zona di sicurezza solo due parametri: il carico di aerosol atmosferico e lo strato di ozono.
Azioni concrete per invertire la rotta
Nonostante il quadro sia critico, le soluzioni esistono. Alcune richiedono cambiamenti sistemici, altre parlano alle coscienze individuali e collettive:
- ridurre le emissioni di CO₂ investendo in energie rinnovabili ed efficienza energetica;
- proteggere e ripristinare ecosistemi chiave come foreste e zone umide;
- rafforzare le normative contro l’inquinamento industriale e agricolo;
- diffondere cultura e pratiche di sostenibilità a tutti i livelli della società.
Non basta più dirlo, bisogna farlo
La buona notizia è che sappiamo come fare. Non è un caso che due limiti planetari siano ancora sotto controllo. Gli aerosol sono diminuiti grazie a normative più severe sulle emissioni e a filtri più efficaci. Lo strato di ozono si sta riprendendo dopo l’eliminazione dei CFC prevista dal Protocollo di Montreal.
La lezione è evidente: quando la comunità globale si muove, i risultati arrivano. Come sottolinea Johan Rockström, scienziato ambientale e direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research: “Anche se la diagnosi è severa, la finestra di cura è ancora aperta. Il fallimento non è inevitabile; il fallimento è una scelta”.
Questi risultati dimostrano dunque che, quando esiste volontà politica e cooperazione globale, le azioni concrete possono funzionare. Oggi, però, non basta più dire cosa andrebbe fatto. Va fatto, e basta.
[Foto © Pixabay]
