Taranto chiama, il documentario-inchiesta sulle problematiche e sul futuro della città dei due mari e dell’ex-Ilva approda al Clorofilla Film Festival
“In una città dichiarata zona di sacrificio dalle Nazioni Unite, una comunità lotta per trasformare la contaminazione in coraggio, e il dolore in forza per cambiare”: si presenta così “Taranto chiama”, il documentario-inchiesta (100′) di Rosy Battaglia selezionato al Clorofilla Film Festival – di cui eHabitat è media partner – e verrà proiettato all’interno di Festambiente, il festival nazionale di ecologia di Legambiente che si tiene ogni anno in località Enaoli a Rispescia (Grosseto).

“Taranto continua a chiamare, oggi più che mai. La sua storia ha bisogno di essere ascoltata e compresa, perché racconta non solo di ferite e ingiustizie, ma anche della speranza di un futuro diverso, sostenibile, per una città che troppo a lungo è stata condannata a un destino che non ha, davvero, scelto”, commenta Battaglia.
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Il documentario è frutto di un lungo e puntiglioso lavoro di ricerca. Le riprese sono partite già nel 2016 e l’inchiesta giornalistica è stata avviata nel 2022, in concomitanza con la campagna di crowdfunding promossa da Cittadini Reattivi ETS su Produzioni dal Basso, con il sostegno di Banca Etica. “Taranto chiama”, coprodotto dalla stessa regista, ha ottenuto inoltre il patrocinio del Consiglio nazionale dei giornalisti italiani ed il contributo di oltre 300 sostenitori tra associazioni, enti e privati di tutta Italia. Dopo la prima nazionale dello scorso 10 giugno a Torino, ha preso il via il tour partecipato di proiezioni in Italia ed in Europa, con Assisi, Udine, Taranto, Trieste, Roma e Varese quali prime tappe.
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Taranto chiama, il commento della regista
Il primo intento di questo film, come spiegato dalla stessa regista, è stato quello di ricostruire la solidarietà tra popoli inquinati, “da Trieste, dove il 17 settembre 2022 è stata abbattuta la Ferriera, impianto altamente inquinante nel quartiere della Servola, a Taranto, dove lo scorso 7 maggio è andato a fuoco l’Altoforno 1 del polo siderurgico Ilva, ora Acciaierie d’Italia, costruito a ridosso del quartiere di Tamburi”.
Far comprendere dunque cosa è sostenibile per la vita umana ed al contempo evidenziare la centralità di Taranto, “le vicende intorno al polo siderurgico, il maggior emettitore di anidride carbonica d’Italia, che è arrivato a contaminare il territorio in un raggio di 20 km, con diossine e furani, penetrati anche nel latte materno, come attestano i documenti da me ottenuti attraverso il Freedom of Information Act, confermano che non è solo un caso locale, ma uno specchio di scelte politiche, economiche e sociali che riguardano tutti noi, sulla quale si è pronunciata anche la Corte di Giustizia europea, il 25 giugno 2024”, chiarisce Battaglia.
Una lunga storia di inquinamento
Trieste e Taranto, due casi che parevano simili ma che hanno avuto esiti ben diversi. Il film si apre con le immagini risalenti a quasi tre anni fa dell’abbattimento della Ferriera di Trieste, il complesso industriale per la produzione di ghisa tra i più inquinanti in Italia, smantellato in seguito ad una battaglia decennale dei cittadini triestini per difendere il loro diritto alla salute. A Taranto è invece ancora in piedi lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, l’ex Italsider, poi Ilva ed oggi Acciaierie d’Italia, che come la Ferriera di Trieste rientra nei Siti d’interesse nazionale (Sin) per le bonifiche – spettanti allo Stato – ovvero in quelle aree tra le più contaminate del Bel Paese, ad alto rischio sanitario ed ecologico.
A Trieste la mobilitazione ha pagato e la battaglia è stata vinta, a Taranto ancora no. Due città distanti eppure legate dalla solidarietà tra cittadini che continuano a chiedere giustizia per i danni subiti a causa dell’inquinamento. Dopo essersi soffermato in breve sulla questione triestina, il film passa ad analizzare molto più in dettaglio la questione ancora aperta di Taranto, una storia partita nel lontano 1965 con l’inaugurazione dell’azienda di Stato Italsider, che arriverà ad assumere fino a 20mila operai, proseguita poi con le prime inchieste giornalistiche degli anni Settanta – leste a mettere in luce il contrasto tra il lavoro ed il benessere portato dall’industria ed i veleni sparsi nell’ambiente con enormi rischi sanitari per la popolazione – e con le privatizzazioni degli anni Novanta e la nascita dell’Ilva di proprietà della famiglia Riva, fino al sequestro degli impianti dell’area a caldo nel 2012 per presunto disastro ambientale, alle condanne, al primo commissariamento di Stato, alla nascita di Acciaierie d’Italia ed ai continui decreti salva-Ilva per difendere un impianto che per ragioni strategiche non verrà mai fermato.
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Al di là delle varie tappe di questo travagliato polo siderurgico da sempre sul pericoloso crinale tra diritto al lavoro o diritto alla salute, il film inchiesta si sofferma sui volti, le voci e le emozioni di una cittadinanza da tempo sul piede di guerra per la tutela dei propri diritti, alternati sapientemente con le risultanze di studi epidemiologici ed i pareri di organismi internazionali da cui emerge un quadro chiaro e indiscutibile. Quelle polveri provenienti dal polo siderurgico che si posano un po’ ovunque nel quartiere Tamburi, impedendo di stendere i panni, di mandare i bambini nel cortile a giocare o di ottenere prodotti dei campi sani, non erano altro che un mix velenoso di diossine e metalli pesanti, una scia nociva correlata ad una maggiore incidenza di tumori e malattie respiratorie, mortalità precoce e danni alla salute dei bambini con addirittura riduzione del QI. Chi dà il pane è lo stesso che avvelena. “La vita di un solo bambino vale più dell’acciaio di tutto il mondo”, invoca la pediatra Anna Maria Moschetti.
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Semplici cittadini, ex operai, agricoltori e medici si sono riuniti in varie associazioni ed hanno continuato a lottare. Il 24 gennaio 2019 la prima vera vittoria con la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che stabilì la violazione degli articoli 8 e 13. Lo scontro tra cittadini e istituzioni è ben documentato nelle voci sofferte, rabbiose e mai dome raccolte in numerosi cortei, manifestazioni, sit-in e dimostrazioni di protesta succedutisi negli anni. Voci come quella di Celeste Fortunato, a cui il documentario è dedicato, la coraggiosa mamma e attivista ambientale che non ha mai smesso di battersi per il diritto alla salute, stroncata dalla leucemia il 25 luglio 2023. “Noi abbiamo un potere. Abbiamo la possibilità di sovvertire questo ordine di ingiustizie. E possiamo farlo solo se inizieremo a credere che valiamo molto di più di quanto lo Stato e le istituzioni non vogliano farci credere”, le sue parole per il diritto a una città sana, sicura e sostenibile, “perché rassegnarsi è morire prima del tempo”.
Nel giugno 2023 sono uscite le motivazioni riguardanti il rapporto delle Nazioni Unite che ha definito Taranto “zona di sacrificio”, “poiché l’impianto siderurgico Ilva ha compromesso la salute delle persone e violato i diritti umani per decenni, scaricando grandi volumi di veleni nell’atmosfera”. A spiegarle nel documentario è il relatore speciale Onu sulle sostanze tossiche ed i diritti umani, Marcos A. Orellana, “l’evidenza scientifica indica eccessi di mortalità, impatti sul sistema neurologico e su quello cardio-vascolare, problemi respiratori. L’evidenza epidemiologica dimostra come la popolazione che vive intorno all’acciaieria soffre da decenni intollerabili livelli di sostanze inquinanti”. A trattare l’ex Ilva dal punto di vista economico è invece il giornalista de “Il Sole 24Ore” Paolo Bricco, che la definisce come “una sequenza storica di una serie di fallimenti”, dall’acciaio di Stato che ha creato passività enormi, fino alla successiva privatizzazione ed ai disastri ambientali.
La regista dà inoltre spazio alle intricate ed ancora aperte vicende giudiziarie a livello nazionale ed internazionale, che dal noto processo “Ambiente svenduto” (con ben 1.481 parti civili e 44 persone e tre società del gruppo Riva tra gli imputati) si sono protratte fino ad oggi, tra le difficoltà, i cavilli giudiziari, lo studio di strategie di lotta efficaci, le iniziative di tutela legale e risarcimento del danno ed i successi solo parziali. L’interesse strategico ancora oggi prevale su tutto il resto: nonostante il sequestro dell’area a caldo l’impianto di Taranto non si è mai fermato.
Un’altra Taranto
Eppure la storica città dei due mari mira ad un futuro diverso, lontano dalla siderurgia e dai veleni dell’ex Ilva, che sta già anticipando grazie alla volontà di riscatto ed al successo di esperienze virtuose. La prima è ben testimoniata dalla raccolta fondi (oltre 500mila euro) partita nel quartiere Tamburi per il progetto “Ie Jesche Pacce Pe Te”, che ha portato alla realizzazione del reparto di Oncoematologia pediatrica all’interno dell’ospedale “Santissima Annunziata”, così come dal “Parco di Lulù”, la preziosa area giochi frutto delle donazioni di Niccolò Fabi e della famiglia Pizzarotti, un vero presidio sanitario sito nello stesso problematico quartiere dove i bambini hanno subito pesantemente i danni dell’inquinamento prodotto dall’ex Ilva.
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Proprio sull’altra Taranto e su un’idea diversa di città – moderna, sana, sostenibile – si focalizza buona parte del documentario, ecco dunque l’ingegnosa valorizzazione turistica delle bellezze della città vecchia grazie all’operato di guide esperte, la vocazione internazionale del progetto Oikos con il suo centro per l’ecologia integrale del Mediterraneo, la resistenza della “Masseria Carmine” gestita dalla famiglia Fornaro (la prima colpita dal provvedimento di vincolo sanitario), il chilometro zero virtuoso della mitilicoltura sostenibile, la modernità del Museo archeologico nazionale di Taranto (MArTa), l’energia pulita del primo Parco eolico off-shore del Mediterraneo, la rinnovata vocazione turistica del terminal crociere, fino alla citizen science di Ketòs, il Centro euromediterraneo del mare e dei cetacei.
Lo sguardo curioso della regista si appunta soprattutto sulla genialità dei giovani tarantini, quelli che hanno avuto la forza di restare (“O fuggo o resto e sogno” esclama una delle ragazze ideatrici di “Ammostro”, una ditta di serigrafia naturale), così come gli altri che sono andati a formarsi fuori per poi tornare nella loro amata città d’origine, al fine di sviluppare interessanti progetti frutto delle competenze acquisite.
“Taranto è una città perfetta. Viverci è come vivere nell’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta”, scriveva Pasolini ancor prima della nascita dell’Italsider. Questo documentario appassionato e rigoroso riflette sul grido di dolore e speranza della città dei due mari, che non dobbiamo permettere rimanga inascoltato.
