Lo stress da calore influenza la salute dei lavoratori, uno studio ha calcolato l’impatto su offerta, produttività e capacità lavorativa
Lo stress da calore dovuto al caldo estremo non risparmia la salute dei lavoratori. Un recente studio che ha coinvolto ricercatori di vari istituti, tra cui il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC) e l’Istituto europeo per l’economia e l’ambiente, rivela che il riscaldamento globale sta condizionando il futuro del lavoro in diversi settori e varie regioni del mondo.
Il caldo estremo influenza la salute dei lavoratori attraverso risposte fisiologiche e comportamentali, con impatti significativi sull’offerta di lavoro, sulla sua produttività e sulla capacità lavorativa. “Il nostro studio è la prima rassegna completa che esplora esplicitamente la misura in cui lo stress da caldo influisce sulle diverse componenti della forza lavoro – offerta, produttività e capacità lavorativa – e i relativi impatti economici e sulla salute sul lavoro”, ha affermato Shouro Dasgupta, ricercatore del CMCC e primo autore dello studio.
Nel mondo di oggi, sempre più condizionato dagli effetti nefasti del riscaldamento globale, urgono dunque politiche lungimiranti e misure di adattamento proficue.
Premesse dello studio
“Lo stress da caldo influisce sulla salute dei lavoratori attraverso risposte fisiologiche e comportamentali, che a loro volta influiscono sul numero di ore di lavoro (offerta di manodopera), sulla produzione durante queste ore di lavoro (produttività del lavoro) e sulla capacità fisiologica di svolgere il lavoro in sicurezza (capacità lavorativa). In casi estremi, lo stress da calore può portare alla morte dei lavoratori, come dimostra il fatto che si stima che quasi 10.000 lavoratori muoiano ogni anno nei Paesi del Golfo a causa dello stress da calore”, commenta il CMCC.
Se pensiamo che la manodopera può rappresentare il 50% del valore aggiunto totale, non possiamo sottovalutare l’impatto provocato su di essa dal caldo estremo, diretta conseguenza delle temperature sempre più alte. Esiste ormai una ricca letteratura che dimostra le conseguenze di questo fenomeno sulla salute dei lavoratori e sulla crescita economica, in base alle varie regioni del mondo ed ai diversi settori implicati.
La ricerca, però, fino ad oggi si è soffermata ad analizzare solo singoli aspetti dell’impatto dello stress da caldo sulla forza lavoro, come ad esempio la capacità lavorativa. Questo studio rappresenta dunque un passo in avanti importante per la sua maggiore completezza d’analisi. Più in generale, “una comprensione più profonda e dettagliata di come il riscaldamento influisca sul lavoro e di come si evolvano le risposte di lavoratori, imprese e governi è fondamentale con l’aumento delle temperature globali”, ribatte il CMCC.
Esiti dello studio
Lo studio rivela che la relazione tra le prestazioni della forza lavoro e la temperatura è prevalentemente non lineare e tende a diminuire bruscamente al verificarsi delle condizioni di superamento delle soglie massime di temperatura.
Stando alle proiezioni, gli impatti negativi sulla forza lavoro purtroppo tenderanno a peggiorare a causa del riscaldamento che si registrerà in futuro. Le maggiori perdite di manodopera saranno subite dai settori a più alta esposizione, come l’agricoltura e l’edilizia, con gli impatti più rilevanti che si verificheranno in Africa, Asia ed Oceania, dove assisteremo ad un calo della manodopera effettiva rispettivamente del 33%, 25% e 18%.
I cambiamenti climatici futuri paiono quindi attenderci come una vera e propria spada di Damocle. In generale, le perdite di manodopera osservate e previste risultano eterogenee tra regioni, settori e livelli di riscaldamento, ma non risparmieranno neanche i settori a basse esposizioni, rappresentati in primis dal manifatturiero e dai servizi pubblici, anche se l’Europa settentrionale potrà addirittura trarne dei benefici nel breve periodo.
Un autunno caldo, il libro di Andrea Fantini sulla crisi climatica
Naturalmente questi impatti sulla manodopera saranno forieri di conseguenze anche per il Prodotto interno lordo (Pil) – con perdite previste del 5,9% in Asia meridionale e del 3,6% in Africa – nonché per lo stato sociale.
“L’aumento dei costi per le aziende in termini di perdita di produzione, aumento della spesa sanitaria o della copertura assicurativa sono gli impatti economici che di solito si associano allo stress da caldo sulla forza lavoro. Tuttavia, gli impatti indiretti, quelli che si propagano dai settori colpiti all’intero sistema economico, anche se meno rilevabili, sono altrettanto rilevanti e non sono affatto una preoccupazione solo per le ‘economie calde in via di sviluppo’. Per esempio, secondo una recente ricerca, nello scenario di riscaldamento moderato RCP4.5 questi potrebbero ridurre il PIL dell’UE di quasi mezzo punto percentuale entro il 2050”, il commento di Francesco Bosello, principal scientist del CMCC.
Le prospettive
La conoscenza dell’impatto dello stress da calore sulla forza lavoro è ancora purtroppo limitata e carente, poiché ha trascurato pure gli effetti a cascata. “Sono quindi necessarie metriche complesse che esplorino gli impatti totali sulla forza lavoro. Inoltre, i modelli economici che integrano questi impatti possono fornire stime più realistiche dei danni economici dovuti agli effetti dello stress da caldo sulla forza lavoro. Un quadro completo contribuirebbe anche al dibattito sulle perdite e sui danni nel contesto storico e consentirebbe di identificare in modo più realistico i futuri hotspot dei danni da caldo sul lavoro”, precisa il CMCC.
Nello studio Bosello ha chiarito che i costi sono distribuiti in modo disomogeneo tra Paesi, regioni, settori, mansioni e lavoratori e che sono prevedibili altre conseguenze economiche indirette sia in termini di competitività settoriale e regionale, sia tra le varie tipologie di lavoratori, con ad esempio il potenziale aumento di alcuni tipi di squilibri di genere.
Tra l’altro, la letteratura su questo argomento fino ad oggi ha trascurato i fattori socio-economici e socio-demografici, così che sono sfuggite le differenze di vulnerabilità tra i lavoratori ed i loro contesti occupazionali (ad esempio i lavori manuali od all’aperto), tanto che vi potrebbero essere imprecisioni nella stima della gravità dello stress da caldo e dell’efficacia delle politiche di adattamento. Una migliore conoscenza di questi aspetti fornirebbe una solida base di conoscenze particolarmente utili per le politiche del lavoro locali.
“Tutti questi aspetti meritano un’indagine approfondita, soprattutto alla luce del fatto che, secondo quanto già sappiamo, gli impatti dei cambiamenti climatici sulla forza lavoro sono la terza fonte più importante di perdite economiche, dopo i danni infrastrutturali indotti dall’innalzamento del livello del mare e dagli eventi estremi come le alluvioni”, chiarisce Bosello.
Le ricerche come quella in oggetto potranno contribuire alla progettazione di piani su misura per la protezione dei lavoratori dal caldo estremo, richiedendo l’applicazione di parametri di temperatura massima per il lavoro in sicurezza. Un ruolo cruciale per la tutela dei lavoratori dal caldo estremo lo avranno poi i sistemi di allerta precoce e le attività di ricerca collaborativa con le parti interessate della forza lavoro.
“La nostra review evidenzia chiaramente che la letteratura è incompleta. La ricerca futura, in collaborazione con le istituzioni per la sicurezza e la salute sul lavoro, i sindacati e le autorità di regolamentazione, può contribuire a creare sistemi di allerta precoce che, se combinati con piani d’azione per la salute in caso di caldo, e con regolamenti sulla temperatura massima, possono salvaguardare i lavoratori dal caldo estremo”, conclude Dasgupta.
[Credits foto: jplenio su Pixabay]
