Mickey 17, ultimo film di Bong Joon-Ho, racconta la fuga di Robert Pattinson verso un mondo migliore, anche a discapito della sua identità.
«Quando è stata l’ultima volta che sei stato veramente da solo?» Con questa frase Wilford (Ed Harris) mette il seme del dubbio a Curtis (Chris Evanans) alle battute decisive di Snowpiercer diretto da Bong Joon-Ho nel 2013. Si discute il dubbio sulla legittimità della rivolta della gente alla coda, capitanata da Curtis, del treno futuristico eponimo. La necessità è quella della collettività contro quella del singolo. E della solitudine che il potere e la responsabilità comporta: un qualcosa che non è voluto ma che, in caso estremo, diventa quantomeno vitale. Questo fardello renderebbe inutile tutto il resto, a discapito però del bene e della sopravvivenza dei più. Soprattutto nel mondo distopico e dispotico della pellicola tratta dalla graphic novel di Jacques Lob e Jean-Marc Rochette.
Snowpiercer – Bong Joon-Ho dagli Oscar alla distopia ecologista
Il pianeta nel 2031 di Snowpiercer è stato completamente annientato da una glaciazione globale. I pochi sopravvissuti sono dentro il treno che funge da arca e contemporaneamente da prigione nella quale le differenze sociali sono compresse e ingigantite. Il futuro per il regista coreano è un mondo che non è fatto per gli Ultimi. Questi sono scarafaggi che si nutrono di scarafaggi che fungono da sostegno per i Primi, annoiati ipocriti e ridicoli nelle loro fisime.

Come il mondo attuale, quello della Corea del Sud, di Parasite (2019). Anche qui il tentativo di sollevarsi per aspirare al meglio è destinato al fallimento, costringendo il singolo a mantenere la sua posizione perché l’equilibrio rimanga invariato. Da qui la solitudine che diventa incombenza di essere il perno della bilancia. Dodici anni e tre premi Oscar dopo, Bong Joon-Ho ritorna alla fantascienza distopica, premendo ulteriormente il pedale sulla satira e sull’espansione del grottesco.
Si entra così nell’universo in cui si muove Mickey Barnes (Robert Pattinson) il protagonista di Mickey 17, tratto dal romanzo Mickey7 (2022) di Edward Ashtoon. Il film è stato presentato in anteprima al 75 Festival Internazionale del Cinema di Berlino e uscito nelle nostre sale a partire dal 6 marzo. Mickey è uno, la voce fuori campo che commenta costante e in modo patetico la vicenda, è la sua. Lui, per sfuggire da una Terra oramai diventata inabitabile (squassata da costanti tempeste di sabbia) e per allontanarsi il più possibile da un creditore che lo minaccia di farlo a pezzi, decide di partire. Verso il pianeta Nifleim, con una spedizione guidata dal leader teocrate Kenneth Marshall (Mark Ruffalo).

Un viaggio fra le stelle lungo quattro anni e mezzo, in cui qualsiasi attività sessuale viene repressa a favore di una maggiore colonizzazione del nuovo pianeta. «Siate infestanti!» Questo è lo slogan motivazionale. Il bene della comunità è più importante di quello del singolo: in questo caso Mickey. Si candida come “Sacrificabile”, ossia colui che svolge le mansioni più pericolose, anche letali. Può essere intanto riprodotto e rinascere all’infinito tramite una stampante clonante, conservando le sue memorie. Sempre uguale nel corpo, ma spesso la psiche delle copie è leggermente diversa ogni volta che ritornano. Grazie ai suoi sacrifici, la scienza e le possibilità di sopravvivenza dell’equipaggio sono garantite. Tutte le vite sono preziose: tutti semi e uteri adatti alla rinascita di una nuova società. Tranne la sua.
Interstellar – Viaggio attraverso le stelle e il tempo per nutrire la Terra
Nato, morto e risorto diciassette volte. Sua è la voce. Una voce stridula e disillusa: che ha accumulato discutibilmente esperienze di vite. Un corpo che è uno, ma che diviene multiplo nel suo isolamento. La sua funzione è quella presumibilmente necessaria, che stimola la curiosità da parte di chi, alla morte non ci sta ancora pensando.
Mickey è uno solo, la coscienza è la sua. Ed è quella di un rassegnato che si punta una pistola alla testa nonostante sia scarica. Fino a che non cade in un crepaccio e i dispositivi vitali sono a pezzi. Lo incontriamo qua, all’inizio: avvolto nella neve e già pronto per un lento congelamento; o divorato dalle creature indigene (soprannominate Striscianti) o smembrato. Ma, l’inaspettato è dietro l’angolo. Sopravvive alla caduta e gli Striscianti lo riportano in superficie. Ritorna così alla base, sereno e incosciente.

Salvo poi scoprire che, dandolo per spacciato, è stato ristampato. Un altro se stesso, il diciottesimo. Se il 17 è oramai arreso, il 18 è agguerrito. Deciso più che mai a sopravvivere ha chiaro il suo destino. Di essere l’unico e quindi di eliminare l’eccedenza. Inizia un gioco al massacro fra i due per essere gettati nel compattatore. Un buco nella quale vengono buttati tutti i rifiuti, il materiale fondamentale per ricostruire il suo corpo.
La sua carne, probabilmente, è guasta. Per le troppe volte in cui è finito nel compattatore e troppe volte ne è uscito. Fino a snaturare sestesso. Come la bistecca che mangia a cena con Randall. Qualcosa che è stato contaminato e quindi indigesto. Pure il cibo è impuro e insano: da agenti chimici da troppe poche proteine. Una pappa che si è costretti a ingerire nonostante improbabili salse con le quali può essere condito.
Compresa quella ricavata dagli Striscianti stessi. Grossi e mansueti, ma con una coscienza della propria individualità, maggiore rispetto agli umani. A differenza di questi ultimi, c’è una vera attenzione nei soggetti. Tutti sono importanti per la colonia Strisciante. Una assenza è deleteria per tutti. Per l’unità sono disposti al massacro. O, perlomeno, per ritrovare l’equilibrio venuto meno.
Nifleim è un pianeta bianco, come una nuova storia tutta da scrivere. Qui le paranoie e gli affari della Terra sono palesemente irrilevanti nonostante non lo si voglia ammettere. Mickey 17 rappresenta l’uomo nel periodo della sua riproducibilità tecnica. Sempre uguale a se stesso. Una maschera indistinguibile l’una dall’altra se si cerca di andare oltre la superficie. Basta avere un numero identificativo. Anche se sarebbe più semplice accettare l’unicità. Qualcosa che irrimediabilmente si è perso e del quale ne paghiamo le conseguenze. Senza allontanarsi troppo dalla Terra.
