Rilevando la presenza di metalli pesanti come arsenico e piombo in campioni di miele, uno studio americano suggerisce che questo prezioso prodotto della natura possa essere utilizzato come indicatore ecologico, e smascherare la presenza di sostanze dannose nell’ambiente.
Il miele è da sempre apprezzato per le sue proprietà nutritive e terapeutiche. Tuttavia, può contenere contaminanti di vario tipo, che riflettono la presenza di queste stesse sostanze nei pollini e nell’ambiente in cui le api vivono. Non fanno eccezione i metalli pesanti, che provengono da diverse fonti di inquinamento. In tal senso, il miele finisce per essere un “testimone” delle condizioni ecologiche locali. Una caratteristica che, se da un lato influisce sulla qualità del prodotto, dall’altro può rivelarsi utile come strumento di monitoraggio ambientale.
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Lo studio americano
Un recente studio condotto dalla Tulane University di New Orleans, pubblicato sulla rivista Environmental Pollution, ha messo in luce questa possibilità. La ricerca ha esaminato 260 campioni di miele provenienti da 48 degli Stati Uniti. L’obiettivo è di analizzare la presenza di sei metalli pesanti comuni in ambienti inquinati: cadmio, piombo, nichel, arsenico, cromo e cobalto. Si tratta di metalli tipicamente associati ad attività industriali, motori termici e altre fonti di inquinamento atmosferico e del suolo.
Lo studio, durato dal 2022 al 2024, ha avuto un impatto significativo nella comprensione del legame tra ambiente e contaminazione alimentare.
Miele con metalli pesanti: niente allarme, ma aree critiche
I risultati della ricerca sono stati inizialmente rassicuranti. Nessuno dei campioni ha infatti mostrato concentrazioni di metalli superiori ai limiti di sicurezza stabiliti per l’assunzione giornaliera, anche considerando una dose ipotetica di 21 grammi (un cucchiaio) di miele al giorno.
Tuttavia, la ricerca ha anche rivelato notevoli variazioni nella quantità di metalli pesanti presenti, a seconda della zona di provenienza dei campioni, determinando alcune aree critiche. Ogni elemento studiato seguiva un pattern geograficamente distinto, indicando che la contaminazione non era uniforme in tutto il Paese, ma piuttosto legata a specifiche attività.
Ad esempio l’arsenico, uno dei metalli più preoccupanti per la salute umana, era particolarmente concentrato negli stati del Pacifico nordoccidentale, come Idaho, Oregon, Nevada e Washington. Si tratta di un risultato che potrebbe essere legato alla presenza di industrie nella zona, nonché all’uso intensivo di pesticidi contenenti arsenico nelle coltivazioni agricole.
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Il cobalto, d’altra parte, era più abbondante negli stati del sud come Louisiana, Mississippi e Carolina, suggerendo una possibile connessione con le attività minerarie o altre fonti industriali locali.
Il piombo, che è fortemente associato al traffico veicolare, è risultato particolarmente concentrato nella Carolina del nord e del sud, in particolare in quelle aree con elevati livelli di traffico automobilistico.
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Il miele come indicatore ambientale
Lo studio condotto dalla Tulane University ha aperto, quindi, una nuova finestra sul potenziale del miele come sentinella della contaminazione ambientale. In particolare, il miele potrebbe essere utilizzato per individuare contaminazioni industriali non ancora rilevate, che mettono a rischio la salute dell’inconsapevole popolazione. Potrebbe, inoltre, rivelarsi un valido strumento per monitorare l’efficacia delle politiche ambientali, o il miglioramento della qualità dell’aria e del suolo. In un modo peraltro poco invasivo, senza la necessità di ricorrere ad altri complessi e costosi test ambientali.
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