La crisi climatica si fa sempre più sentire, le Nazioni Unite indicano cinque aspetti da tenere sotto controllo nel 2025 prima della COP30 di Belém
Dal 10 al 21 novembre 2025 la città amazzonica di Belém (Brasile) ospiterà una cruciale conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP30), chiamata a fare progressi importanti sul fronte della crisi climatica. In attesa di questo importante appuntamento, le Nazioni Unite hanno individuato cinque aspetti fondamentali da tenere sotto controllo ed a cui prestare la massima attenzione nell’anno in corso. Vediamo quali sono.
1. Keep 1,5 alive
Tenere in vita questo obiettivo, ovvero evitare che le temperature globali superino i livelli preindustriali di oltre 1,5 gradi, è l’impegno fondamentale sottolineato ormai da anni dalle Nazioni Unite. “Il consenso scientifico è che la mancanza di azione avrebbe conseguenze catastrofiche, non da ultimo per i cosiddetti ‘Stati in prima linea’, come le nazioni insulari in via di sviluppo che potrebbero scomparire sotto l’oceano, con l’innalzamento dei livelli del mare”.
Le politiche e le azioni di mitigazione tese a ridurre le emissioni climalteranti di gas serra saranno dunque al centro della COP30, dove i vari Stati dovranno arrivare con impegni aggiornati e ben più ambiziosi rispetto a quelli finora fissati. Gli sforzi finora profusi si sono rivelati infatti del tutto inadeguati all’obiettivo di abbassare drasticamente le temperature globali.
La COP30, dal canto suo, deve fornire risposte importanti anche in virtù dell’accordo sottoscritto nel 2015 a Parigi, che invita le nazioni ad intensificare i loro impegni ogni cinque anni. Il 2025 è quindi l’anno giusto, non c’è più tempo da perdere.
2. Proteggere la natura
L’organizzazione della COP30 nella regione della foresta pluviale amazzonica del Brasile ha un significato simbolico notevole. Molti di voi ricorderanno che proprio nel Paese carioca, più precisamente a Rio de Janeiro, si tenne nel 1992 il fondamentale Earth Summit che rappresentò il più importante tentativo internazionale di proteggere l’ambiente, da cui scaturirono i tre trattati ambientali su cambiamenti climatici, biodiversità e desertificazione.
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La scelta di Belém è quindi tutt’altro che casuale e richiama l’importantissimo ruolo della natura nel prevenire e combattere la crisi climatica. La foresta pluviale è infatti un enorme carbon sink, un sistema che risucchia e immagazzina la CO2, impedendogli di entrare nell’atmosfera dove contribuisce in modo determinate al riscaldamento globale, con le devastanti conseguenze che purtroppo oggi ben conosciamo.
“Sfortunatamente, le foreste pluviali e altre ‘soluzioni basate sulla natura’ affrontano minacce da parte dello sviluppo umano, come il disboscamento illegale che ha devastato vaste fasce della regione. L’ONU continuerà gli sforzi iniziati nel 2024 per migliorare la protezione della foresta pluviale e di altri ecosistemi, ai colloqui sulla biodiversità che dovrebbero riprendere a Roma a febbraio”.
3. La finanza
La scorsa COP29 di Baku (Azerbaigian) ha compiuto un importante passo in avanti con la stipula dell’accordo che triplica l’ammontare dei finanziamenti per il clima in favore dei Paesi in via di sviluppo, pari a 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Siamo di fronte ad una cifra notevole che purtroppo però è ancora di molto inferiore a quella che servirebbe a questi Paesi per adattarsi alla crisi, stimata dagli esperti in ben 1,3 trilioni di dollari.
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Nei negoziati per il clima la finanza svolge un ruolo cruciale ma è troppo spesso oggetto di differenti vedute, nonché di polemiche. Una questione spinosa e difficile da affrontare che tende a scontentare molti, in primis proprio i Paesi in via sviluppo che meno contribuiscono al cambiamento climatico ma più ne patiscono le conseguenze.
Secondo la loro visione le nazioni ricche dovrebbero impegnarsi di più e contribuire in modo rilevante a tutti quei progetti ed a quelle iniziative che servono a guidare la loro transizione energetica, per farli giungere rapidamente all’abbandono dei combustibili fossili ed al passaggio alle fonti di energia pulita. I Paesi più ricchi, a loro volta, contestano invece il fatto che gli Stati noti per le loro economie in rapida crescita, tra cui Cina ed India, si rifiutano di pagare la quota in favore dei Paesi in via sviluppo, nonostante se la possano permettere e siano ormai responsabili dell’emissione di grandi quantità di gas serra in atmosfera.
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Ulteriori progressi sul fronte del finanziamento ai Paesi in via di sviluppo si attendono con il prossimo summit previsto in Spagna a fine giugno. Si tratta della conferenza Financing for Development, che si tiene ogni dieci anni. L’edizione del 2025 è presentata come quella delle opportunità per apportare cambiamenti radicali all’architettura finanziaria internazionale, dove saranno trattate le principali preoccupazioni ambientali e climatiche con le possibili soluzioni, tra queste la tassazione verde, quella del carbonio ed i sussidi.
4. La legge
Lo scorso dicembre si è verificato un fatto che potrebbe segnare un momento storico sul fronte degli obblighi giuridici degli Stati ai sensi del diritto internazionale. Alla Corte internazionale di giustizia, infatti, è stata posto all’attenzione proprio il cambiamento climatico.
“Vanuatu, uno Stato insulare del Pacifico particolarmente vulnerabile alla crisi, ha chiesto alla corte un ruolo consultivo, al fine di chiarire gli obblighi degli Stati in relazione ai cambiamenti climatici e orientare eventuali futuri procedimenti giudiziari”, chiariscono le Nazioni Unite. Nell’arco di due settimane, ben 96 Paesi e 11 organizzazioni regionali hanno preso parte alle udienze pubbliche davanti alla Corte. Vi hanno partecipato Vanuatu, un gruppo di altri Stati insulari del Pacifico, ma anche le più grandi potenze economiche come gli Stati Uniti e la Cina.
La Corte internazionale di giustizia lavorerà al caso per diversi mesi prima di emettere il suo parere consultivo, che sebbene sconti il limite di non essere vincolante potrà comunque orientare le prossime decisioni inerenti al diritto internazionale sul clima. Sarà dunque una tappa molto importante.
5. L’inquinamento da plastica
“È chiaro che il mondo vuole e richiede ancora la fine dell’inquinamento da plastica. Dobbiamo assicurarci di creare uno strumento che colpisca duramente il problema anziché colpirlo al di sotto del suo potenziale peso. Invito tutti gli Stati membri a impegnarsi”, le parole di Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP).
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Nel 2022, una risoluzione dell’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite ha chiesto di approntare in fretta uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica, che riguardi anche l’ambiente marino.
Alcuni progressi in tal senso sono stati raggiunti durante la quinta sessione di negoziati che si è tenuta a Busan (Corea del Sud), dal 25 novembre al 1° dicembre 2024. “Attraverso i colloqui di Busan, i negoziatori hanno raggiunto un grado maggiore di convergenza sulla struttura e sugli elementi del testo del trattato, nonché una migliore comprensione delle posizioni dei paesi e delle sfide condivise. Ma è chiaro che c’è una divergenza persistente in aree critiche e che è necessario più tempo per affrontare queste aree”, ha commentato Inger Andersen.
Entro la prima metà del 2025 è dunque previsto un round supplementare di negoziati che dovrà raggiungere un accordo su almeno tre aspetti principali: i prodotti di plastica inclusa la questione delle sostanze chimiche; la sostenibilità della produzione e del consumo ed infine i finanziamenti.
“Ora gli Stati membri hanno il compito di trovare soluzioni politiche alle loro divergenze prima che inizi la sessione plenaria e di raggiungere un accordo finale che tenga conto dell’intero ciclo di vita della plastica e tenga fede al crescente slancio globale per porre fine all’inquinamento causato dalla plastica”, chiariscono le Nazioni Unite.
Il 2025 si prospetta dunque come un anno cruciale sul fronte della crisi climatica.
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