Chiurlottello addio, secondo uno studio questo uccello migratore costiero che svernava nel Mediterraneo al 96% delle probabilità si è estinto
L’alta probabilità di estinzione (96%) del chiurlottello (Numenius tenuirostris), un uccello migratore costiero che svernava nel Mediterraneo, è uno schiaffo ai nostri tentativi di salvare le specie a rischio. A dichiararla è uno studio pubblicato sulla rivista Ibis (International Journal of Avian Science), realizzato da un team internazionale di scienziati appartenenti alla Royal Society for the Protection of Birds (Rspb), a BirdLife International, al Naturalis Biodiversity Center ed al Museo di Storia naturale.
Il suo ultimo avvistamento risaliva al lontano 1995 in Marocco, più precisamente a Merja Zerga. Proprio a quel periodo potrebbe risalire la scomparsa definitiva del chiurlo dal becco sottile, perché da lì in poi a nulla sono valse le numerose iniziative internazionali di ricerca mirata. Tra queste anche il progetto “International Waterbird Census” (IWC) – coordinato in Italia dall’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra) – che per il monitoraggio invernale degli uccelli acquatici ha impiegato un numero sempre crescente di rilevatori sulle due sponde del Mediterraneo. Più in generale, le diverse spedizioni in primis nelle zone destinate alla riproduzione non hanno sortito alcun risultato, gettando nello sconforto i ricercatori.
“Questa è una delle storie più devastanti che siano emerse nel campo della conservazione della natura da un secolo a questa parte e va al cuore del motivo per cui la Rspb e la BirdLife Partnership fanno della prevenzione dell’estinzione delle specie una priorità. Si tratta della prima estinzione globale conosciuta di una specie di uccelli proveniente dall’Europa continentale, dal Nord Africa e dall’Asia occidentale ed è accaduto nel corso della nostra esistenza. Come possiamo aspettarci che i Paesi extraeuropei si impegnino per salvare le loro specie quando i nostri Paesi, relativamente ricchi, hanno fallito in questo?”, è il drammatico commento di uno degli autori dello studio, Nicola Crockford, principal policy officer della Rspb.
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Probabilità e cause di estinzione
La ricerca precisa che nel momento attuale di forte crisi della biodiversità, gli sforzi di conservazione si concentrano soprattutto sulla prevenzione dell’estinzione. Non è facile però determinare se una specie si sia effettivamente estinta, soprattutto quando questa è poco conosciuta o ha un areale di diffusione molto ampio.
“Per questo motivo la comunità scientifica si esprime con cautela utilizzando dei modelli probabilistici di estinzione basati sulle indicazioni dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e arricchiti da una serie di parametri specie-specifici che restituiscono una probabilità di estinzione espressa in percentuale, che nel caso del Chiurlottello è drammaticamente alta: il 96%”, chiarisce l’Ispra.
Se l’areale riproduttivo del Numenius tenuirostris è considerato incerto (i siti presunti si trovano in un’area vicino a Omsk nella Russia meridionale e nel Kazakistan settentrionale), quello non riproduttivo è notevolmente esteso e comprende l’Asia centrale, l’Europa orientale, il Medio Oriente, il bacino del Mediterraneo e la costa africana nord-occidentale. L’enorme ampiezza di questi territori non è servita però a salvare questa specie dall’estinzione, e forse proprio qui sta il paradosso.
“Le cause del declino del chiurlottello non saranno mai del tutto chiarite, ma le possibili pressioni alla base del fenomeno includono la bonifica per uso agricolo di alcune zone di torbiera, la perdita delle zone umide costiere utilizzate dal chiurlottello per l’alimentazione invernale e la caccia, soprattutto negli ultimi tempi, di una popolazione già ridotta, frammentata e in declino. Potrebbero esserci stati impatti dovuti all’inquinamento, alle malattie, alla predazione e ai cambiamenti climatici, ma la loro portata è sconosciuta”, ribatte la Lega italiana protezione uccelli (Lipu).
Anche per l’Ispra non si è trattata di una singola causa ma di un insieme di fattori, molti dei quali correlati all’impatto delle attività umane sul pianeta Terra. Lo stesso istituto ha puntato il dito in primis contro le bonifiche estensive delle zone umide ed il prelievo venatorio massiccio e insostenibile attorno al Mediterraneo fino alla prima metà del Novecento. Il Piano d’azione nazionale realizzato nel 2001 dall’Ispra è rimasto ampiamente disatteso in fase applicativa e non ha potuto incidere positivamente, così come non sono stati risolutivi i vari interventi di gestione attiva degli habitat a favore di questa specie, realizzati negli anni attraverso finanziamenti europei nell’ambito del progetto LIFE. Perfino la gestione venatoria aveva previsto specifiche misure di tutela con la protezione delle specie confondibili (look-alike), ma tutto si è rivelato inutile.
E pensare che l’Italia è stata un Paese chiave per il chiurlottello, un uccello comune e localmente abbondante nel periodo invernale fino ai primi del Novecento, tanto che da qui provengono in assoluto la maggior parte delle segnalazioni precedenti al 1995. Fra Ottocento e Novecento nel Bel Paese furono pure raccolti un bel numero di reperti museali, proprio per la larga diffusione di questa specie e per la sua scarsa diffidenza nei confronti dell’uomo, che l’ha resa facile preda di cacciatori e collezionisti.
Lo studio rivela che l’area di riproduzione potenziale del chiurlottello ha subito uno sviluppo agricolo sostanziale e diffuso a partire dal XIX secolo. La perdita di zone umide all’interno dell’areale della specie è stata considerevole, con un’accelerazione in Europa dall’inizio del XX secolo. La pianura pannonica, ad esempio, è stata ampiamente convertita all’agricoltura, così come quasi tutto il Maghreb marocchino.
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Anche la caccia potrebbe essere stata una minaccia significativa. L’attività venatoria, ad esempio, è stata uno dei fattori dell’estinzione del chiurlo eschimese, che ha molte somiglianze ecologiche con il chiurlottello.
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Più in generale, la caccia durante la migrazione è stata identificata come una delle principali minacce per la specie, con una stima di 76-630 uccelli uccisi ogni anno sulla rotta migratoria occidentale. Vi sono inoltre prove che questi uccelli venivano commerciati (registrazioni in Italia a Genova, Roma e Bari) ed in molti casi sono finiti nelle collezioni museali. Infine, anche la predazione, le malattie, la competizione, l’inquinamento e il cambiamento climatico potrebbero aver influenzato la specie, ma l’impatto è sconosciuto.
Il ritardo nella conservazione e gli insegnamenti per il futuro
Se dopo questo studio lo stato della Lista rossa Iucn per il Numenius tenuirostris passasse da “in pericolo critico” a “estinto”, saremmo di fronte alla terza estinzione documentata di una specie di uccelli nell’area del Paleartico occidentale, dopo l’Alca impenne (scomparsa nel 1844) e la Beccaccia di mare delle Canarie (estintasi negli anni Quaranta del Novecento).
Il ritardo è stato fatale: il potenziale declino della specie è stato evidenziato all’inizio del XX secolo, ma la specie è stata riconosciuta d’interesse per la conservazione solamente nel 1988. Il chiurlottello era già sull’orlo dell’estinzione quando è stato pubblicato il piano d’azione, che da subito aveva evidenziato l’enormità del compito di conservazione.
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Un Memorandum d’intesa per la conservazione della specie fu sviluppato nel 1993-94 nell’ambito della Convenzione sulle specie migratorie, ma molti degli obiettivi del piano d’azione non sono mai stati completati, né pienamente implementati, in parte a causa dell’assenza di ulteriori registrazioni definitive della specie. Tutto questo mentre le zone umide sono ancora a rischio e quelle Ramsar, in Europa come altrove, continuano a deteriorarsi in termini di qualità. Le specie del genere Numenius sono longeve ma impiegano diversi anni per reclutarsi in popolazioni riproduttive ed hanno un basso successo riproduttivo. Cinque delle otto specie di Numenius (62,5%) sono attualmente considerate di interesse per la conservazione, rispetto al 21,8% di tutte le specie di uccelli a livello globale.
Più in generale, le popolazioni di uccelli costieri sono in declino in tutto il mondo e le specie migratorie sembrano diminuire a un ritmo maggiore rispetto a quelle residenti. Ogni fallimento deve condurci ad imparare qualcosa per evitare che si ripeta. “La mancata adozione di un’azione di conservazione concertata e coordinata su scala di rotte migratorie aumenta la probabilità che altre specie nel Paleartico e in altre rotte migratorie seguano il Chiurlo dal becco sottile fino all’estinzione”, scrivono gli autori dello studio.
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I numeri sono allarmanti: 164 specie di uccelli si sono estinte dal 1500, di recente altre 16 specie di uccelli costieri migratori sono state inserite nella Lista rossa dell’Iucn in categorie più elevate, attualmente ci sono 43 specie minacciate a livello globale in Europa e nessuna specie di uccelli selvatici può esser considerata immune dall’estinzione.
I governi e altre parti interessate dovrebbero continuare a sostenere ed implementare le convenzioni globali e regionali e gli altri processi intergovernativi che promuovono la conservazione internazionale e su scala di rotte migratorie. “In un momento critico per la biodiversità, dobbiamo prevenire il ’prossimo Chiurlo dal becco sottile’ attraverso un’azione di conservazione rafforzata, coordinata tramite partnership, tra cui interventi diretti e politiche di conservazione della natura”, l’appello degli autori dello studio.
“Dobbiamo agire subito per tutelare e ripristinare almeno i siti più importanti lungo le principali rotte migratorie delle specie legate agli ambienti umidi”, il commento di Claudio Celada, direttore area conservazione natura della Lipu-BirdLife Italia. Non sprechiamo altro tempo per evitare ulteriori rimpianti.
[Credits foto: Chris Gomersall/Rspb Images]