Emissions Gap Report

Emissions Gap Report 2024… non più aria calda, grazie!

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Emissions Gap Report 2024… non più aria calda, grazie! ultima modifica: 2024-12-02T08:22:11+01:00 da Marco Grilli
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L’Emissions Gap Report 2024 dell’UNEP chiede di aumentare gli impegni per il clima a partire dai nuovi NDC in via di presentazione

“Alcune parti del mondo stanno bruciando. Alcune parti stanno annegando e le persone ovunque stanno lottando per farvi fronte e in molti casi per sopravvivere, particolarmente i più poveri e vulnerabili. In questo contesto tragico e di crescente ansia climatica, le nazioni stanno preparando nuovi impegni climatici da presentare all’inizio dell’anno prossimo” .

Queste parole di Inger Andersen, direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), rappresentano la premessa poco rassicurante dell’ “Emissions Gap Report (EGR) 2024. No more hot air…please!”, ovvero il rapporto sul divario delle emissioni elaborato dall’UNEP, giunto alla sua 15° edizione. Gli impegni climatici citati sono i contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contribution – NDC), ovvero le promesse di tagli alle emissioni di gas serra secondo gli obiettivi di mitigazione fissati al 2035, che i singoli Stati devono presentare all’inizio del 2025 e prima dei colloqui sul clima della prossima COP30 in Brasile.

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Per quanto riguarda la portata dei prossimi NDC, il rapporto non usa mezzi termini e dichiara la necessità impellente di avere maggiori ambizioni a livello globale. Le nazioni dovranno dunque impegnarsi collettivamente e con celerità a ridurre le emissioni annuali di gas serra del 42% entro il 2030 e del 57% entro il 2035, altrimenti l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature globali a 1,5°C entro la fine del secolo – sancito dall’accordo di Parigi – è destinato a sfumare nell’arco di pochi anni.

“Il divario delle emissioni non è una nozione astratta. Esiste un collegamento diretto tra l’aumento delle emissioni e i disastri climatici sempre più frequenti e intensi. In tutto il mondo, le persone stanno pagando un prezzo terribile. Le emissioni record significano temperature marine record che sovraccaricano uragani mostruosi; il caldo record sta trasformando le foreste in polveriere e le città in saune; le piogge record stanno provocando inondazioni bibliche”, ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in un messaggio video inoltrato in occasione della presentazione del rapporto.

Le prospettive

La portata della sfida è enorme, eppure ci sono molte opportunità per accelerare l’azione di mitigazione, conciliando al contempo le esigenze di sviluppo con il rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG). Non manca un certo ottimismo nel rapporto, che segnala come i notevoli sviluppi tecnologici – in particolare nei settori dell’energia solare ed eolica – continuino a superare le aspettative, riducendo i costi di implementazione e favorendo l’espansione del mercato.

In sintesi, la valutazione aggiornata dei possibili tagli alle emissioni settoriali, inclusa nel rapporto, dimostra che “il potenziale di riduzione delle emissioni tecnico-economiche basato sulle tecnologie esistenti e a costi inferiori a 200 dollari per tonnellata di biossido di carbonio equivalente (tCO2e) rimane sufficiente per comare il divario delle emissioni nel 2030 e nel 2035”.

Restare sul percorso che limita il riscaldamento globale a 1,5°C è ancora tecnicamente possibile, grazie al potenziale dell’energia solare, di quella eolica e delle foreste, che promettono tagli alle emissioni di gas serra veloci e radicali. Per rendere tutto questo realtà servono però NDC sufficientemente forti ed altri numerosi accorgimenti: dalla riprogettazione dell’architettura finanziaria internazionale al superamento delle forti barriere politiche, di governance, istituzionali e tecniche, fino all’aumento senza precedenti del sostegno in favore dei Paesi in via di sviluppo.

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I tagli alle emissioni

Nel 2023 le emissioni globali di gas serra hanno stabilito il nuovo record di 57,1 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente (GtCO2), con un aumento dell’1,3% rispetto all’anno precedente. Le emissioni di gas serra (GHG) dei membri del G20 rappresentano il 77% di quelle globali ed hanno registrato un aumento nel 2023. Aggiungendo l’Unione africana al G20, i Paesi rappresentati salgono da 44 a 99 ma le emissioni totali aumentano solo del 5%, ad ulteriore dimostrazione delle differenti responsabilità tra le nazioni. Riassumendo, i sei maggiori emettitori di gas serra rappresentano il 63% delle emissioni globali, a fronte del 3% dei Paesi meno sviluppati. Prima di tutto il problema del riscaldamento globale è una questione di disparità.

Se teniamo conto degli allarmanti dati del 2023 e ci indirizziamo al 2035 – ovvero al traguardo successivo al 2030 per gli obiettivi NDC – ci rendiamo conto che il compito è sempre più arduo e le emissioni globali dovrebbero diminuire del 57% per l’obiettivo 1,5°C e del 37% per quello dei 2°C. In pratica, un taglio annuale fino al 2035 rispettivamente del 7,5% e del 4%. “Ogni frazione di grado conta in termini di vite salvate, economie protette, danni evitati, biodiversità conservata e capacità di ridurre rapidamente qualsiasi superamento della temperatura”, ribadisce Andersen.

Senza ulteriori impegni le previsioni risultano catastrofiche. La piena implementazione degli attuali NDC ridurrebbe le emissioni nel 2030 solo del 10%, comportando un aumento delle temperature globali fino a 2,6°C. Proseguire con le politiche attuali significherebbe ritrovarsi con un riscaldamento globale di 3,1°C. Tali poco promettenti scenari futuri avrebbero effetti altamente negativi per l’umanità e per il pianeta, tanto da poter rendere necessaria una rimozione costosa e su larga scala della CO2 dall’atmosfera.

Eppure le potenzialità tecniche per ridurre le emissioni restando allineati all’obiettivo di 1,5°C ci sarebbero. Il rapporto mostra che sono possibili tagli alle emissioni fino a 31 GtCO2 nel 2030 e di 41 GtCO2 nel 2035, con un costo inferiore a 200 dollari per tonnellata di CO2 equivalente. La maggiore diffusione delle tecnologie solari fotovoltaiche e dell’energia eolica potrebbe fornire rispettivamente il 27% del potenziale totale di riduzione delle emissioni nel 2030 ed il 38% nel 2035, l’azione sulle foreste il 20% in entrambi gli anni. Altre soluzioni valide includono le misure di efficienza e di elettrificazione e la variazione di combustibile nell’industria, nell’edilizia e nei trasporti.

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Le soluzioni

La realizzazione del potenziale di mitigazione richiede una mobilitazione globale immediata, su larga scala ed a ritmi intensi, senza precedenti. Il rapporto suggerisce di adottare un approccio di governo globale, “concentrandosi su misure che massimizzino i benefici collaterali socio-economici ed ambientali e riducano al minimo i compromessi”. 

Urge dunque una collaborazione internazionale rafforzata, che preveda la riforma dell’architettura finanziaria globale, una forte azione del settore privato e la moltiplicazione almeno per sei degli attuali investimenti per la mitigazione.

Tali accorgimenti sarebbero assolutamente convenienti secondo l’UNEP, “l’investimento incrementale stimato per l’azzeramento netto è di 0,9-2,1 trilioni di dollari USA all’anno dal 2021 al 2050, investimenti che porterebbero rendimenti in costi evitati da cambiamenti climatici, inquinamento atmosferico, danni alla natura e impatti sulla salute umana. Per contestualizzare, l’economia globale e i mercati finanziari valgono 110 trilioni di dollari USA all’anno”.

Le protagoniste chiamate a compiere tali sforzi sono naturalmente le nazioni del G20, in primis quelle responsabili delle maggiori emissioni, ancora lontane dal soddisfare gli attuali NDC, da rafforzare ulteriormente. Un sostegno internazionale più forte e maggiori finanziamenti per il clima sono le basi per garantire che gli obiettivi climatici e di sviluppo possano essere realizzati equamente tra i membri del G20 ed a livello globale.

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Più in dettaglio il rapporto si sofferma sugli NDC, che sono chiamati a includere tutti i gas elencati nel Protocollo di Kyoto, coprire tutti i settori, fissare obiettivi specifici in relazione ad un anno base ed essere espliciti sugli elementi condizionali e incondizionati.

Trasparenza e chiarezza devono essere le parole d’ordine per questi importanti strumenti orientati alla massima ambizione possibile, che non possono privarsi di piani d’attuazione dettagliati con meccanismi di revisione e rendicontazione, tesi ad accelerare l’azione di mitigazione nell’immediato e per il 2035.

Per quanto riguarda invece i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo, gli NDC dovrebbero includere dettagli sui mezzi di attuazione di cui hanno bisogno, oltre che sui finanziamenti necessari e sul supporto internazionale.

L’impegno per “un mondo a zero emissione nette, sostenibile e prospero”, invocato da Andersen, deve continuare.

[Credits foto: catazul su Pixabay]

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Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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