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I fallimenti della COP16 secondo Survival International

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I fallimenti della COP16 secondo Survival International ultima modifica: 2024-11-16T00:19:11+01:00 da Valentina Tibaldi
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I fallimenti della COP16 secondo l’analisi di Survival International, l’organizzazione che si batte per i diritti dei popoli indigeni e incontattati

La COP16 si è conclusa da un lato con alcuni accordi, dall’altro con uno slancio verso una maggiore finanziarizzazione del mondo naturale e con obblighi non vincolanti a rispettare le terre dei popoli indigeni. L’analisi di Survival International, organizzazione che si batte per i diritti dei popoli indigeni e incontattati.

Si è tenuta a Cali, dal 21 ottobre al 1 novembre, la sedicesima Convention on biological diversity- Conferenza della Convenzione Onu sulla Diversità Biologica (CBD). Alte le aspettative, per un appuntamento che proponeva di “fare pace con la natura”, passando il più possibile dai propositi ai fatti concreti. È andata così? Non secondo Survival International, organizzazione che si batte per i diritti dei popoli indigeni incontattati, autrice di un bilancio che ne sottolinea i fallimenti.

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È stato creato un organo sussidiario per i popoli indigeni nell’ambito dell’articolo 8J della convenzione” sottolinea Survival in una nota stampa. Tale articolo, di grande valenza ideologica, afferma che ogni firmatario deve rispettare e mantenere conoscenze e pratiche di comunità indigene che incarnano stili di vita tradizionali, importanti per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica.

Secondo l’ONU, questo diventerà uno spazio permanente che permetterà a popoli indigeni e comunità locali di prendere parte alle decisioni che riguardano la biodiversità”. Continua l’organizzazione: “Tuttavia, a dispetto dell’importanza di rafforzare il coinvolgimento dei popoli indigeni nelle decisioni che riguardano i loro territori (in cui si trova la maggior parte della biodiversità del mondo), resta da vedere se questo organismo migliorerà il rispetto dei diritti indigeni”.

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I principali fallimenti della COP16

Nel report “Cop16-Press Briefing. Cop16 della convenzione sulla diversità biologica: temi chiave”, rilasciato il 11 ottobre scorso, Survival International attirava l’attenzione su alcuni punti cardine da monitorare. Proprio questi corrispondono ad altrettante minacce rivolte ai diritti dei popoli indigeni e alla biodiversità stessa.

Il nuovo bilancio -questa volta consuntivo- dell’organizzazione ne ripercorre i fatti, evidenziando quelli che a posteriori considera i principali fallimenti della convention:

  • I delegati non hanno raggiunto un accordo sul meccanismo finanziario del Quadro Globale per la Biodiversità (Global Biodiversity Framework – GBF).
  • I rappresentanti del Sud del mondo considerano insufficienti i fondi stanziati per l’implementazione del GBF.
  • I delegati dal Sud del mondo accusano grandi istituzioni con sede nel nord mondiale (come il WWF) di accaparrarsi i pochi fondi messi a disposizione attraverso il Global Biodiversity Framework Fund (GBFF).
  • Non si sono considerati in modo adeguato i bisogni delle nazioni biodiverse. Molti dei Paesi che ospitano la maggior parte della biodiversità mondiale chiedevano la creazione di un nuovo fondo dedicato. Sotto le pressioni di un gruppo governi, si è deciso di distribuire i fondi attraverso il GBFF, nonostante l’ampia opposizione a questo meccanismo.
  • Non è ancora stato raggiunto un accordo su un piano per monitorare i progetti finanziati dal GBF. Le proposte sul tavolo non includono misure per garantire che i diritti dei popoli indigeni siano rispettati.

Questa COP16 mostra ancora una volta il potere di governi e industria della conservazione rispetto ai reali bisogni del nostro pianeta. L’urgenza di intervenire per proteggere la nostra biodiversità è reale. Ma questi attori continuano a proporre false soluzioni e impedire un cambiamento”, ha commentato Fiore Longo, responsabile della campagna di Survival International per decolonizzare la conservazione.

Crediti di biodiversità, le preoccupazioni di Survival

Secondo la definizione della Biodiversity Credits Alliance,“un credito di biodiversità è un certificato che rappresenta un’unità di biodiversity outcome (risultato di biodiversità) positivo, misurato e sostanziato da prove, che è durevole e addizionale rispetto a quanto sarebbe accaduto altrimenti”.

I crediti di biodiversità sono dunque strumenti finanziari che attribuiscono un valore monetario ai risultati positivi ottenute con azioni di tutela della biodiversità. Una volta quantificato, il credito di biodiversità può essere venduto sul mercato. Il meccanismo ricalca parzialmente quello dei carbon credits (crediti di CO2), ma i due sistemi sono diversi e indipendenti l’uno dall’altro.

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Stando a Survival International, la coalizione formata da International Advisory Panel on Biodiversity Credits, Biodiversity Credits Alliance e World Economic Forum ha presentato alla COP16 dei principi con aspetti problematici. Tra questi, l’opportunità di una compensazione e vendita di crediti prima che siano registrati impatti positivi. Una criticità che ha suscitato preoccupazioni nelle organizzazioni della società civile e che Survival considera una pericolosa spinta verso la finanziarizzazione del mondo naturale. Con conseguenze potenzialmente drammatiche sulle terre e sulle vite indigene, che rischiano di oscurare i traguardi raggiunti alla Conferenza.

[Foto @cop16colombia.com]

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Lettrice accanita e scrittrice compulsiva, trova in campo ambientale il giusto habitat per dare libero sfogo alla sua ingombrante vena idealista. Sulla carta è laureata in Lingue e specializzata in Comunicazione per la Sostenibilità, nella vita quotidiana è una rompiscatole universalmente riconosciuta in materia di buone pratiche ed etica ambientale. Ha un sogno nel cassetto e nella valigia, già pronta sull’uscio per ogni evenienza: vivere di scrittura guardando il mare.

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