Il robot selvaggio – Natura e Tecnologia legati dall’amore

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Il robot selvaggio – Natura e Tecnologia legati dall’amore ultima modifica: 2024-10-20T00:27:10+02:00 da Emanuel Trotto
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Il robot selvaggio è la storia di un amore e di una vicinanza possibile fra natura e tecnologia nel rapporto fra un robot e un pulcino

Tutti nasciamo con uno scopo. O perlomeno è questo che crediamo. Nel corso della nostra esistenza scopriamo gradualmente qual è questo scopo. Sempre che ne esista uno in quanto la vita sa essere misteriosa. Ed è proprio questo il bello. Cerchiamo di adattarci a quello che ci circonda cercandolo disperatamente o meno: inciampiamo, cadiamo, perdiamo la bussola, ci facciamo manipolare, ci avviciniamo e ci allontaniamo dalle persone. Combattiamo o ci adagiamo. Tutto nella nostra esistenza è perseguire questo semplice obiettivo: trovare quello scopo. Ne abbiamo un bisogno spasmodico. Perché non siamo nati con un libretto d’istruzioni.

Il robot selvaggio poster
Il robot selvaggio di Chris Sanders, il poster

Cadiamo in questo mondo è dobbiamo fare il possibile per viverci. E per farlo abbiamo bisogno di un istinto. Quello ci viene fornito quando arriviamo, ed è quello che sviluppiamo con il tempo, affinandolo per procedere nella nostra strada. Questo è quello che succede anche a Rozzum 7134 (doppiata in originale da Lupita Nyong’o) un robot domestico che precipita su di un’isola selvaggia a seguito di una tempesta che ha fatto naufragare il suo cargo. Lei è l’unica intatta nella sua corazza candida e sferica. Le sue telecamere/occhi la prima cosa che vedono è il mare che si rifrange sulla scogliera. Delle curiose creature acquatiche pelose (delle lontre) la stanno osservando curiose.

Avvicinano il naso contro l’obiettivo e la attivano. Rozzum si rivolge a loro ancora incurante che i suoi interlocutori non la possano capire e, addirittura, esserne spaventati. La sua voce squillante, che si esprime per frasi convenzionali e cordiali, i suoi rumori ad altissimo volume rompono la quiete della natura. Rozzum – abbreviato Roz – non comprende questa ostilità nei suoi confronti. Si è resa disponibile a svolgere qualsiasi mansione. È questa la sua programmazione, il suo scopo. Deve aiutare i proprietari nelle loro attività. Ma non può farlo perché nessuno è disposto a darle retta. Neppure quando elabora il linguaggio delle creature che la circondano, e quindi può essere capita e capire loro.

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Riceve cornate dagli alci, viene derubata delle sue componenti dai procioni – compreso il prezioso trasmettitore con la quale è possibile comunicare la propria posizione alla fabbrica per essere portata in manutenzione in caso di difetto. Fugge, infine, da un orso e cade in un burrone. Quello che le impedisce di precipitare nel vuoto è un ramo sulla parete del precipizio. Ci sono piume volanti e gusci rotti sotto il suo corpo. Roz comprende quello che è successo. Quello è quanto rimane di un nido. E lo ha distrutto.

Unico superstite è un uovo. Lo scannerizza vedendo l’embrione ancora sano e salvo al suo interno. Non lo sa ancora ma ha trovato il suo scopo. Quando quell’uovo si schiude ne esce fuori un pulcino d’oca minuscolo e debole. Delle luci colorate si attivano quando lo tiene per la prima volta in mano. Roz, tuttavia continua la sua rumorosa ricerca di compiti, con il piccolo che la perseguita. Roz sulla sua strada incontra la volpe Fink (Pedro Pascal) e una mamma opossum Codarosa (Catherine O’Hara). Dapprima ostili, poi decidono di aiutarla: per prima cosa le spiegano l’imprinting. Si tratta quel meccanismo per la quale un pulcino appena nato identifica come la propria madre il primo essere vivente che vede.

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Il pulcino, ribattezzato Becco Lucido, per sopravvivere deve nutrirsi, imparare a nuotare e a volare per migrare assieme agli altri membri della sua specie. Roz ha trovato quindi un compito da svolgere in maniera efficiente e per compartimenti stagni. Esattamente quello per cui è stata programmata. Ma, man mano che passa il tempo, i suoi protocolli risultano insufficienti. Deve improvvisare molte volte per raggiungere il suo obiettivo. Inizia a comprendere che cosa è quella parola che sente ripetere spesso, che anima le azioni di chi le sta attorno, e che è il collante delle storie per far addormentare Becco Lucido. Si tratta di amore.

Il robot selvaggio
Il primo incontro fra Roz (Lupita Nyong’o) e Becco Lucido in una scena del film.

Questa è la storia de Il robot selvaggio di Chris Sanders (Lilo & Stitch, 2002; Dragon Trainer 2010; I Croods, 2013). Si tratta del 49° film della Dreamworks Pictures, uscito nelle nostre sale a partire dal 10 ottobre dalla Universal Pictures International Italy. È tratto dal primo (dei tre) romanzi illustrati per l’infanzia di Peter Brown, The Wild Robot. L’ispirazione del racconto nasce dall’interesse di Brown per la robotica e le numerose analogie che esistono con il regno animale. I comportamenti automatici dettati dall’istinto che muovono gli animali, non sono troppo diversi dagli input che vengono dati alle Intelligenze Artificiali. Sono delle funzioni basilari il cui conseguimento deve avvenire nel modo più rapido ed efficace possibile per garantire la sopravvivenza.

Il robot selvaggio
Roz, Becco Lucido e Fink (Pedro Pascal) in un’altra scena del film.

Questo rende molto più vicini due concetti che sembrano agli antipodi ossia la natura con la sua spontaneità e la tecnologia, artificiosa e complessa, liscia e pulita. Proprio come il corpo di Roz. Da candido e impeccabile inizia a contaminarsi Man mano che entra in contatto con questo nuovo mondo. Inizia a riempirsi di impronte, graffi, ruggine e persino muschio e licheni. Il suo stesso linguaggio da artificioso diventa sempre più articolato, proprio perché sta iniziando a gestire una gamma di informazioni e input nuovi. Che deve imparare a gestire. Da robot sta diventando  un individuo. 

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Seguiamo questa sua graduale introspezione nonostante non abbiamo un volto ma solo due occhi e il colore delle luci che emette per percepirne il suo stato d’animo. Il focus dei suoi occhi che si stringe o si allarga può risultare freddo, ma è nei gesti che compie che entriamo in empatia con lei.  E vediamo una personalità sempre più sfaccettata prendere forma. Due mondi opposti dialogano fra di loro e trovano una propria ragione d’essere grazie all’amore. Non è da sottovalutare.

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Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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