L’ecoattivista e difensore delle balene Paul Watson, in stato di arresto in Groenlandia, attende ancora la decisione sull’estradizione in Giappone, mentre il mondo si mobilita in suo favore
Il mondo è in apprensione per le sorti del capitano Paul Watson, il celebre ecoattivista da anni impegnato in prima linea contro la caccia alle balene, che lo scorso 21 luglio è stato arrestato dalle forze dell’ordine danesi a Nuuk (Groenlandia), sulla base di un mandato di cattura internazionale emesso dal Giappone e relativo ad un episodio della campagna anti-baleniere del 2010. Dopo due udienze, la detenzione di Watson è stata prorogata fino al 2 ottobre, quando è attesa la decisione del Ministero della Giustizia danese sulla richiesta di estradizione nel Paese nipponico.
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L’attivista ambientale, già fondatore di Sea Shepherd e attualmente attivo con la Fondazione che porta il suo nome, stava recandosi nel Pacifico settentrionale a bordo della nave M/Y John Paul Dejoria per dare il via all’operazione Kangei Maru 2024, tesa a contrastare le operazioni di questa nuova, imponente e costosa baleniera, destinata in primis alla macellazione dei cetacei.
L’operazione Kangei Maru
“Con una nuovissima nave fabbrica a lungo raggio da 50 milioni di dollari, il Giappone non avrà probabilmente bisogno di importare carne di balena dall’Islanda in futuro. La nuova nave fabbrica giapponese, la Kangei Maru, non può essere autorizzata a tornare alla caccia alle balenein mare aperto”, sono le parole di Locky MacLean, direttore delle operazioni navali della Captain Paul Watson Foundation (CPWF).
Cosi la CPWF descriveva quest’operazione bruscamente interrotta, “la nostra missione è trovare, bloccare e fermare il mostro più grande e spietatamente feroce dell’oceano. È una missione che richiederà grande coraggio perché ci troveremo di fronte a qualcosa di molto più grande e potente di noi, un nemico omicida privo di compassione ed empatia, determinato a distruggere gli esseri senzienti più intelligenti e consapevoli del mare”.
Un’operazione temeraria mai tentata prima da una nave anti-baleniera, volta ad affrontare le pericolose acque polari del noto passaggio a nord-ovest. Tutto era stato studiato nei minimi particolari: la prima nave della Fondazione posizionata a nord (M/Y John Paul Dejoria) contro la Kangei Maru; la seconda a sud – la M/Y Bandero – già in attesa in Australia per intervenire qualora le baleniere giapponesi fossero entrate nel Santuario delle balene dell’oceano Antartico. “Questa è la missione più rischiosa in tutti i miei anni di opposizione alla caccia alle balene negli oceani del mondo”, aveva affermato Watson.
Il piano è stato però interrotto dal suo arresto nel corso dell’attracco della M/Y John Paul Dejoria a Nuuk. L’ammiraglia della CWPF, composta da un equipaggio di 26 membri prevalentemente volontari e provenienti da 13 Paesi, dopo l’arresto di Watson ha dovuto lasciare la Groenlandia ed è stata seguita dalla nave della Marina danese P572 addirittura fino ad Halifax, in Canada.
MacLean chiede al governo danese di fare la scelta giusta, “il Giappone continua a violare la legge internazionale sulla conservazione e Paul Watson viene punito per i crimini del Giappone. La Danimarca si rende sicuramente conto della motivazione politica di questa richiesta di arresto: il Giappone ha bisogno che Paul Watson se ne vada così può riprendere a massacrare le grandi balene del mondo”.
Solo dieci giorni dopo l’arresto di Watson, al largo della costa orientale di Hokkaido è stata arpionata e poi issata sulla Kangei Maru la prima balenottera comune, una specie a rischio estinzione, classificata “vulnerabile” nella Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Il Giappone intende ucciderne 59 in questa stagione di caccia.
Il Giappone e la caccia alle balene
La moratoria della Commissione baleniera internazionale (IWC) ha vietato la caccia alle balene a livello internazionale dalla stagione 1985-86, quando fu appurata l’incertezza delle informazioni scientifiche disponibili sugli stock di balene a livello mondiale. Fu un provvedimento fondamentale per fermare la strage di questi cetacei, giunti vicino all’estinzione a causa della caccia sempre più intensa, che anche dopo questo provvedimento poteva comunque continuare ad essere praticata grazie a permessi speciali concessi dalle autorità nazionali per scopi scientifici.
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Tre Paesi – Islanda, Norvegia e Giappone – dopo aver sollevato obiezioni e riserve alla moratoria, hanno successivamente continuato a cacciare le balene anche a fini commerciali, eppure quest’ultime sono fondamentali sia per l’equilibrio degli ecosistemi marini che per la lotta al cambiamento climatico, grazie al loro ruolo nel ciclo del carbonio e non solo (un grande esemplare assorbe in media 33 tonnellate di CO2).
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Nel 2014 la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato l’illegalità della caccia alle balene da parte del Giappone in Antartide, non riconoscendo i fini scientifici del programma Jarpa e mettendo fine al contenzioso sollevato nel 2010 dall’Australia. Gli interessi scientifici servivano dunque solo a mascherare i reali interessi commerciali. In conseguenza di tale deliberazione, nel 2019 il Paese nipponico è uscito dall’IWC ed ha dichiarato la ripresa della caccia alla balene a fini commerciali nelle proprie acque territoriali.
La vicenda giudiziaria
La prima richiesta di arresto di Watson da parte del Giappone risale al 2012 – quale “red notice” dell’Interpol – per poi giungere a quella dello scorso giugno rivolta alla Danimarca.
I fatti risalgono al febbraio 2010 e riguardano un’operazione anti-baleniere in Antartide. Le accuse formulate sono tre: lesioni personali; intrusione in imbarcazioni e danni alle proprietà; cospirazione.
Secondo il primo capo di imputazione, l’11 febbraio 2010 un membro dell’equipaggio della baleniera giapponese Shonan Maru 2 fu ferito da una bomba puzzolente non letale. Una tesi smentita dalla difesa, in possesso di filmati girati da un elicottero e da un gommone che il tribunale ha rifiutato di vedere, a differenza del video di parte giapponese della durata di quattro minuti.
In base a questi, secondo il team legale di Watson si appurerebbe che due membri della Shonan Maru 2 avrebbero attaccato con spray al peperoncino quattro attivisti a bordo di un gommone e sarebbero stati feriti con la loro stessa arma, a causa del vento contrario. Dai video si vedrebbe inoltre che il marinaio ferito non si trovava sul lato della nave laddove avrebbe dovuto essere secondo la ricostruzione giapponese.
In merito al secondo capo d’imputazione, il 15 febbraio 2010 l’attivista neozelandese Peter Bethune tagliò una piccola rete per salire a bordo della Shonan Maru 2 e chiedere al suo capitano il rimborso per aver speronato, tagliato in due e fatto affondare il trimarano ultraveloce Ady Gil di Sea Shepherd.
Bethune fu arrestato, scontò quattro mesi di prigione ed ottenne la sospensione condizionale della pena a due anni di reclusione. Durante la detenzione, Bethune confessò di esser salito a bordo della baleniera su ordine di Watson, per poi rivelare in seguito di esser stato costretto dalle autorità giapponesi a rilasciare tale dichiarazione. La difesa di Watson specifica inoltre che per quanto riguarda il secondo capo d’imputazione la detenzione è del tutto immotivata, perché si tratta di un’accusa che in ogni caso prevede solo una multa secondo la legge giapponese.
Tutto ciò è bastato invece per accusare Watson perfino di cospirazione. Il verdetto della Corte internazionale di giustizia del 2014 ha però confermato che il Giappone cacciava illegalmente le balene in Antartide, non trattandosi di ricerca scientifica.
“È chiaro che l’ossessione del Giappone per la vendetta supera qualsiasi preoccupazione per la giustizia. Le loro pratiche di caccia alle balene furono esposte al mondo dal programma televisivo Whale Wars di Animal Planet, e la loro ritorsione è quella di perseguitare l’uomo che ha portato alla luce le loro operazioni illegali di caccia alle balene in Antartide”, scrive la CPWF.
Paul Watson e la mobilitazione internazionale
“Se pensano che ciò impedisca la nostra opposizione, ho appena cambiato nave. La mia nave in questo momento è Prison Nuuk”, ha dichiarato Paul Watson dal carcere in un’intervista rilasciata all’Agenzia France Press (AFP). Il 73enne canadese non ha alcuna intenzione di mollare ed i suoi legali hanno dichiarato che con il suo arresto si è creata un’enorme attenzione mediatica sull’illegalità della caccia alle balene da parte del Giappone.
La sua strategia di azione diretta – definita “non violenza aggressiva” – divide da tempo anche il mondo ambientalista, tanto che già nel 1977 Watson uscì polemicamente da Greenpeace ed in seguito è stato estromesso da Sea Shepherd che lui stesso aveva fondato (uniche eccezioni la sezione francese e quella brasiliana).
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Nel 2022 ha dato vita alla Captain Paul Watson Foundation – con branche negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia ed in Germania – per continuare la sua lotta. Nella sua lunghissima carriera di attivista ambientale, il capitano Paul ha ottenuto importanti riconoscimenti (ci limitiamo a citare la nomina quale uno dei 20 migliori eroi ambientalisti del XX secolo da parte della rivista Time nel 2002 ed il premio Jules Verne nel 2012). Autore di libri, ha suscitato l’attenzione di registi che hanno girato documentari su di lui ed è stato il protagonista del docu-reality statunitense Whale Wars: in sintesi siamo di fronte a uno dei più celebri ambientalisti di sempre.
Il suo arresto ha suscitato una vasta indignazione in tutto il mondo, tanto che personaggi noti quali il presidente francese Macron, l’etologa Jane Goodall, l’attore Pierce Brosnan e molti altri ancora si sono spesi in prima persona per chiedere la sua liberazione. Prosegue intanto la mobilitazione a livello mondiale, con moltissime petizioni attive tra cui quella sul sito della CPWF (#freepaulwatson), che è prossima alle 150mila firme.
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In attesa di conoscere le sorti di Watson è bene non dimenticare le sue parole: “Andiamo dove altri hanno paura di andare, non importa quanto ostili o remoti siano i mari, non importa quanto formidabile sia l’opposizione, perché se non lo facciamo la vita nei mari muore e se muore l’oceano moriamo noi” .
[Credits foto: Captain Paul Watson Foundation, paulwatsonfoundation.org]