In Bestiari, Erbari, Lapidari, documentario Fuori Concorso a Venezia81, i registi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti portano al Lido l’immagine naturale e il desiderio inconscio di controllarla
Per introdurre il documentario Bestiari, Erbari, Lapidari, dobbiamo partire da André Bazin (1918 – 1958) uno dei principali critici cinematografici, padre spirituale degli autori della NouvelleVague francese (fra cui di François Truffaut). Nel 1945 scrisse il saggio Il complesso della mummia. In esso egli rifletteva sulle qualità intrinseche dell’immagine fotografica in prima battuta e cinematografica poi. Nell’immagine lui vedeva una sorta di rielaborazione del concetto di inumazione tramite imbalsamazione. Ossia la conservazione del corpo contro il degradare del tempo. Strappandolo a esso l’uomo si libera, anche solo metaforicamente della morte. Nelle arti figurative questo concetto lo si può concepire come forma di sopravvivenza. Nell’immagine il corpo conserva la propria integrità e assume una autonomia propria. Si passa da un estremo all’altro. Perché la rappresentazione come sopravvivenza diviene immediatamente altro. Diviene un artefatto del raffigurato, svuotandone l’integrità fisica e idealizzando il mostrato.
Miyazaki l’esprit de la nature – Uomo e Natura a Venezia Classici
Nel cinema questo principio si espande anche nel cercare di fissare il movimento. Ciò rende ulteriormente il desiderio di imprimere la vita e conservarla nella reiterazione forzata della stessa. Espandendo il discorso da Bazin, questo principio è una creazione della Natura con i fossili. Sono fissate le forme degli organismi viventi. I minerali si sostituiscono alle cellule o alle ossa altrimenti destinati alla decomposizione. Con essi si fissano, per esteso, storie di un mondo passato che viene successivamente conservato, raccolto e studiato. Sono un dagherrotipo o fotogramma dal passato.
Quando si vanno a rivedere i filmati della tigre della Tasmania essi rimandano immediatamente a questa concezione. Sono creature oramai estinte. Si ha una percezione della loro essenza solo tramite i filmati o foto fatte agli ultimi esemplari viventi in cattività. Sono immagini fatte in seconda battuta, non per volontà dell’interessato. Sono frutto della curiosità altra e dal desiderio di controllo di chi riprende.
Il cinema crea nuove gabbie affermano Massimo D’Anolfi e Marina Parenti, i registi di Bestiari, Erbari, Lapidari presentato fuori concorso alla 81° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. I due documentaristi tornano al Lido dopo essere stati in Concorso Spira Mirabilis (2016) e con Guerra e Pace nella sezione Orizzonti 2020. Hanno inoltre vinto il Premio Speciale della Giuria al 29 Torino Film Festival con Il castello.
Bestiari, Erbari, Lapiadri è un film enciclopedico. Prende come base le antiche raccolte in cui gli uomini del passato cercavano di ordinare e catalogare il mondo che li circonda. I bestiari nel Medioevo raccoglievano e descrivevano animali reali e fantastici, mescolando scienza e leggenda. Gli erbari sono raccolte in cui si catalogavano diversi tipi di vegetazione. Erano le basi dello studio zoologico e botanico.
Bestiari
Suddiviso in tre capitoli o atti ognuno dedicato a una forma della Natura. Secondo il principio che lega la mobilità del soggetto con la sua immagine. Bestiari, il primo, analizza il rapporto fra l’animale e la sua rappresentazione in pellicola. A esse si affiancano sequenze immagini all’interno di una clinica veterinaria fra operazioni e cani e gatti in gabbia che assistono a esse. Si passa dalle foto in sequenza degli albori del cinema, agli studi sul movimento ispirato a Eadweard Muybridge, ai video didattici per i primi giardini zoologici. Si sottolinea che le loro strutture erano funzionali più alla fruizione del pubblico che al benessere dell’animale. I documenti a volte sono scioccanti come l’addestramento di cani e cavalli nel corso del Primo Conflitto Mondiale. Si arriva alla rappresentazione di safari in cui il termine inglese tho shot ha letteralmente il doppio significato di “sparare” e “filmare”.
La macchina da presa degli operatori è il fucile dei cacciatori sono uno a fianco dell’altro. Si tratta di materiali concepiti come strumenti didattici e di studio. Oggi sono molto preziosi per comprendere, non solo tecniche e studi zoologici del passato. Ma anche comprendere il rapporto che l’uomo ha avuto con l’animale e il suo desiderio di ingabbiarlo e controllarlo. In quanto l’animale è tale perché è animato, è un essere vivente in movimento. Troppo rapido per essere percepito o troppo insolito per essere capito.
Erbari
Discorso diverso è il secondo atto, Erbari. Girato principalmente all’interno dell’Orto Botanico di Padova, il primo al mondo (fondato nel 1545). Qua parte dal presupposto che, per il mondo vegetale, il concetto di tempo è più dilatato. In quanto la pianta ha una struttura fisica che le permette di sopravvivere sia a mutilazioni fatali per un animale. Sia di avere una vita estremamente più lunga, anche di millenni. Per via della loro immobilità. La loro versatilità permette anche di fare una riflessione sulla nostra esistenza.
In quanto esseri umani noi siamo costantemente preoccupati per la nostra esistenza che costantemente mettiamo a repentaglio. Per questo siamo affascinati dal mondo vegetale. Le piante e gli alberi conservano la memoria e la storia all’interno della loro fisicità. E dalle piante stesse l’uomo, tramite la carta (e prima con la pergamena), ha creato uno strumento affinché la conoscenza e le storie non si perdessero.
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Lapidari
Il terzo segmento, Lapidari, invece, porta la riflessione alla Storia vera e propria. La lavorazione di rocce e sassi per diventare cemento da una parte. La realizzazione di ciottoli commemorativi per le vittime della Seconda Guerra Mondiale, dall’altra. Si sfogliano gli Archivi di Stato con migliaia di fascicoli contenenti volti e generalità di prigionieri politici o semplici criminali. L’immagine della Storia umana si affianca così alla Storia Naturale. La foto del deportato o il sasso sbriciolato sono vicinissimi. Perché noi siamo ossessionati dall’immagine e dal ricordo. Conservare diviene l’assoluto.
Bestiari, Erbari, Lapidari ci ricorda, ancora una volta, quanto siamo effimeri.