Tenga duro signorina! di Monica Stambrini, presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 81 ci racconta l’artista Isabella Ducrot.
Ci si domanda spesso che cosa debba avere un artista per definirsi tale. Una serie di sensazioni espresse nelle sue più varie forme: musica, scrittura, pittura, ecc. Ma anche una serie di sentimenti a volte molto profondi e complessi, altre volte semplicemente stratificati. Ed anche il messaggio la necessità di voler incanalare il proprio vissuto più intimo e personale agli occhi degli altri. Costoro diventano non solo partecipi ma coinvolti universalmente. È la capacità di far emergere (e trasmettere) la propria energia vitale.
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Questa si può manifestare faticosamente o meno con il passare del tempo. Nel primo caso ciò provoca sofferenza, specie se non si è ancora capito come incanalarla nel modo giusto e con i mezzi giusti. Magari si è ancora troppo giovani e insicuri per tutto questo. Una sensazione adolescenziale che non è necessariamente legata a quella fase della propria vita. Ma può verificarsi anche in età adulta, quando ci si ritiene erroneamente immuni.
In questa lotta vinta si può racchiudere il senso dell’opera della pittrice Isabella Ducrot, nome d’arte di Antonia Mosca. Nata a Napoli nel 1931 passa una giovinezza e una prima età adulta «arrancando nella vita con nonchalance». Si trasferisce poi a Roma per lavoro in un periodo storico in cui il lavoro femminile era molto osteggiato. Soprattutto se si aveva a che fare con una figura indipendente e determinata. Isabella cresce in una famiglia con una mentalità conservatrice. Sua madre, nella povertà della guerra, ricavava gli abiti in casa dai tessuti che trovava, soprattutto tende. Esse venivano cucite, adattate e modificate a seconda delle necessità. Questa visione del riutilizzo dei tessuti influirà sulla vita e le opere di Isabella.
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In esse l’uso del materiale tessile è strumento per la realizzazione principalmente di tele, arazzi e collages, ritagliando, incollando e componendo su veline da sarta. Non solo: a seguito di molteplici viaggi in Oriente matura l’interesse per i materiali di quelle terre. Compie una ricerca in una filiera che regala tessuti notevolmente diversi da quelli occidentali nella realizzazione e nella qualità. Questi diventano oggetto di studio e di applicazione all’interno della propria opera. Integrando prodotti come tessuti giapponesi del XVII secolo.
Tutto è fatto secondo un preciso intento: quello di trasmettere la fragilità dell’esistenza che, tuttavia, può riservare sorprese piacevoli. Una risoluzione che avviene quando Isabella ha superato i 90 anni ed è diventata una artista affermata in tutto il mondo. I suoi lavori sono battuti a grandi cifre nei maggiori mercati dell’arte contemporanea al mondo come il Basil Art Unlimited di Basilea. Isabella ha concluso che la vita è veramente felice dopo i 60 anni. Quando cioè quella energia vitale così trattenuta ed espressa in modo singhiozzante prima può emergere senza alcun timore.
Questo e molto altro è raccontato nel documentario presentato nell’ambito delle Notti Veneziane delle 21 Giornate degli Autori, la rassegna autonoma all’interno della 81° Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia. Tenga duro signorina! Isabella Ducrot Unlimited di Monica Stambrini rappresenta un tassello del percorso portato avanti quest’anno dalle Notti. Ossia la volontà di mostrare il cinema come strumento di indagine e visione a trecentosessanta gradi attraverso sei documentari e tre film di finzione.
Tenga duro signorina! è un ritratto “punk” di Isabella Ducrot. Girato nel corso di due anni racconta più che il suo percorso anti-accademico e biografico, il suo lato più emotivo e umano. Una donna che vive la vita con una maggiore serenità rispetto al passato. La macchina da presa la segue, a volte passivamente, altre volte è complice e confidente.
Osserva il suo volto segnato dagli anni, indagando su quello che ci può essere dietro anche nei momenti più difficili. Come la morte del marito Vittorio, creatore del tour operator I viaggi dell’Elefante. In lui Isabella aveva trovato un compagno di vita attento e premuroso, ma allo stesso tempo, un critico bonario ma inflessibile del suo lavoro. Una criticità che l’ha aiutata e stimolata positivamente nel corso dei decenni. Quando cercavano la pace, si recavano nella loro villa a Cobrara, in provincia di Orvieto. In quest’isola circondata dal verde contrappuntato dalle sfumature delle rose, vediamo Isabella tirare le fila del loro rapporto. Pota le rose e si commuove alla vista di un bocciolo ancora chiuso. La promessa che qualcosa, nonostante tutto, è ancora pronto a fiorire.