Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadini italiani hanno promosso la prima climate litigation in Italia, intentando una causa civile contro Eni per danni derivanti da cambiamenti climatici
È tempo di battaglie legali per il clima anche nel Bel Paese. La prima climate litigation (azione di contenzioso climatico) è ormai un dato di fatto con la campagna #LaGiustaCausa, che promuove l’iniziativa legale contro una società di diritto privato italiana. A sostenerla sono Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadini italiani, da quando il 9 maggio scorso hanno notificato ad ENI SPA un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei confronti della società e di conseguenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti SPA (in qualità di azionisti della società stessa), “per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui ENI ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole”.
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Le climate litigation
Le climate litigation sono azioni legali che mirano ad imporre – ad aziende o governi – il rispetto di certi standard in materia di riduzione delle emissioni di gas serra e limitazione del riscaldamento globale. In tutto il mondo il loro numero è più che raddoppiato dal 2015 ed oggi supera i duemila, con un progressivo moltiplicarsi di cause da parte di cittadini od organizzazioni non governative che reclamano il rispetto dei diritti delle persone colpite dalla crisi climatica.
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La più nota climate litigation è quella promossa da Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie), Greenpeace Netherlands, altre organizzazioni e 17.379 singoli co-ricorrenti, giunta in porto nel maggio 2021 quando un tribunale dei Paesi Bassi ha dichiarato la responsabilità di Shell nell’aver danneggiato il clima del pianeta, imponendogli la riduzione delle emissioni di carbonio. Tale sentenza è stata appellata dalla multinazionale britannica che opera nel settore petrolifero.
I danni del cambiamento climatico
Il cambiamento climatico è stato definito “la più grande sfida per i diritti umani del ventunesimo secolo”. Parole dell’ex-Alta commissaria per i diritti umani Mary Robinson, che ancora oggi ben descrivono le drammatiche conseguenze del riscaldamento globale sulla qualità della vita delle persone in tutto il mondo, con le migrazioni climatiche, già oggi realtà, destinate a crescere nei prossimi anni.
“Gli impatti universalmente e scientificamente riconosciuti del cambiamento climatico, compreso il degrado dell’ambiente, sono la privazione di risorse, la prevalenza di malattie potenzialmente letali, la fame e la malnutrizione diffuse, nonché l’estrema povertà che impedisce, tra l’altro, agli individui di vivere una vita dignitosa. Alcuni dei diritti individuali colpiti negativamente sono i diritti alla vita, al cibo, all’acqua, ai servizi igienici e alla salute. Vengono, inoltre, violati i diritti collettivi, compresi i diritti alla sicurezza alimentare, allo sviluppo e alla crescita economica, all’autodeterminazione, alla conservazione della cultura, all’uguaglianza e alla non discriminazione”, affermano i promotori della campagna #LaGiustaCausa.
La causa civile contro Eni
Secondo le due associazioni ed i cittadini che hanno intentato la causa civile, la strategia di decarbonizzazione adottata da ENI è in palese violazione degli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società.
Il riferimento è alla cosiddetta attribution science, ovvero a quella scienza che consente di ricondurre a un preciso soggetto un quantitativo determinato di emissioni non conformi con quelli che sono i valori fissati a livello internazionale. I dati utilizzati sono frutto di elaborazione delle stesse compagnie petrolifere, che quindi non possono non essere a conoscenza della propria condotta. Ebbene, ENI risulta responsabile a livello globale di un volume di emissioni di gas serra superiore a quello dell’intera Italia, configurandosi così come uno dei principali artefici del cambiamento climatico in atto.
Secondo i promotori della causa civile, le attività di lobby e greenwashing condotte da ENI ed altre compagnie petrolifere servono a mascherare le loro responsabilità. Sono inoltre giudicati gravi altri due aspetti: il primo è l’espansione del business fossile di ENI a fronte degli extra profitti record realizzati nel 2022; il secondo è la conferma di Claudio Descalzi al vertice della società da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avallata dall’intero governo, che rende quest’ultimo complice di scelte che aggravano la crisi climatica.
Tra i cittadini che sostengono la causa c’è Rachele che vive in Piemonte, una regione che già oggi subisce gli effetti della siccità. “Un problema che probabilmente si aggraverà in futuro. Ecco perché ho deciso di partecipare a questa azione legale in qualità di parte lesa. Non ritengo giusto che il principale fornitore di energia italiano, di cui lo Stato tra l’altro è il maggiore azionista, possa portare avanti anno dopo anno un programma di investimenti che va contro gli obiettivi fissati dall’ultimo rapporto dell’IPCC, massima autorità scientifica globale in fatto di cambiamenti climatici”, le sue parole.
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Le condotte che causano il cambiamento climatico violano diritti umani tutelati sia dalla Costituzione italiana sia da norme internazionali e accordi vincolanti per gli Stati e le aziende. “La violazione di queste norme comporta la commissione di condotte illecite che trovano tutela attraverso gli articoli 2043 (sulla responsabilità civile extracontrattuale) e seguenti del codice civile e necessitano di un intervento sia risarcitorio in forma specifica che inibitorio, dal momento che l’aumento di temperatura del pianeta, che già oggi è in aumento, lo sarà sempre di più se non verranno rispettati gli obiettivi stabiliti nella Conferenza di Parigi”, scrivono i promotori della causa.
Le richieste
Nell’atto alla base di questa causa civile si chiede di accertare e dichiarare che ENI SPA, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa depositi e prestiti SPA sono solidalmente responsabili nei confronti degli attori per danni alla salute, alla proprietà e in generale alla qualità della vita, nonché per aver messo e continuato a mettere in pericolo gli stessi ricorrenti per effetto delle conseguenze del cambiamento climatico.
Gli attori della causa non chiedono quindi la quantificazione dei danni ma solo un accertamento delle responsabilità dei convenuti. La causa mira inoltre ad obbligare ENI a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi Celsius. In caso di inadempienza a tale obbligo, i ricorrenti chiederanno una condanna al pagamento della somma che il giudice riterrà equa per violazione o inosservanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
La giustizia climatica è un diritto di tutti che oggi trova spazio anche nelle aule dei tribunali italiani.
[Credits foto: Greenpeace Italia]
