Cambiamenti climatici sulle Alpi, la Lipu ne analizza le conseguenze per l’avifauna

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Cambiamenti climatici sulle Alpi, la Lipu ne analizza le conseguenze per l’avifauna ultima modifica: 2023-01-11T16:06:03+01:00 da Marco Grilli
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Nel primo evento pubblico della scuola di formazione Danilo Mainardi (Sdam), Claudio Celada della Lipu ha analizzato le conseguenze dei cambiamenti climatici sulle Alpi per l’avifauna e gli scenari di conservazione

La Scuola di formazione Danilo Mainardi (Sdam) ha organizzato il primo evento online aperto al grande pubblico con la conferenza:Cambiamenti climatici e avifauna. Scenari futuri per la conservazione, tenuta dal direttore dell’Area conservazione della natura della Lipu, Claudio Celada. Un’occasione per riflettere sulle conseguenze dei cambiamenti climatici sulle Alpi per l’avifauna partendo dall’analisi di due casi studio, l’area alpina e quella mediterranea, che ha permesso di tracciare le prospettive per la conservazione di alcune specie di uccelli. In questa sede ci soffermeremo sul caso alpino.

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La minaccia del cambiamento climatico per l’avifauna delle Alpi

Le Alpi si stanno riscaldando a una velocità doppia rispetto alla media globale del pianeta, attestandosi già oggi ad un preoccupante +2°C rispetto all’era pre-industriale. In quest’area, e in particolare alle alte quote caratterizzate da praterie montane e ambienti nivali, vivono specie di uccelli adattate ai climi freddi, quali la pernice bianca, il fringuello alpino, il sordone e lo spioncello, oggi particolarmente minacciate dalla riduzione del loro habitat proprio a causa del riscaldamento globale.

Più in generale, Celada ha spiegato bene come impatta il cambiamento climatico sulla vita degli uccelli, soffermandosi su cinque aspetti: la diminuzione della nicchia climatica, la perdita di habitat, la fenologia e il modello della migrazione, l’asincronia tra migrazione/stagione riproduttiva e la disponibilità trofica, e infine la competizione interspecifica.

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Si sta restringendo la nicchia climatica, sempre correlata a un’areale di distribuzione, che è definita come il range di valori di temperatura o di altri parametri che descrivono i cambiamenti climatici entro i quali una determinata specie può sopravvivere. Il cambiamento climatico influisce inoltre sulla fenologia, poiché assistiamo a significative variazioni nella tempistica e modalità di migrazione, tanto che alcune specie hanno addirittura cessato di migrare. Sta poi venendo meno la mirabile sincronia, plasmata dall’evoluzione, tra la tempistica della migrazione, la stagione riproduttiva e la disponibilità di cibo. In pratica, i cambiamenti climatici possono provocare la scarsità di cibo, ad esempio di insetti, quando gli uccelli ne avrebbero bisogno durante le soste migratorie per rifocillarsi o per nutrire i piccoli. Infine, sempre più spesso si sente parlare di specie invasive. La competizione interspecifica sta infatti a sottolineare che la mitigazione del clima può cambiare la composizione delle specie che determinano un certo habitat. Con regole del gioco differenti ci saranno specie vincenti e altre perdenti.

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Alle alte quote, le interazioni tra fattori climatici e non climatici, difficili da prevedere, possono interagire tra loro dando luogo a effetti esponenziali molto seri. La riduzione dell’habitat delle quattro specie di uccelli oggetto di indagine è dovuta al riscaldamento delle Alpi, che sta provocando la contrazione della loro fascia vegetazionale di elezione, definita prateria alpina e pascoli. Questo perché, con la mitigazione del clima, il bosco tende a espandersi verso l’alto invadendo con i suoi arbusti e alberi le zone aperte di prateria, che non potranno invece a loro volta risalire per ragioni legate alla qualità del suolo.

Le quattro specie tendono a spostarsi verso le quote più alte, ma il loro habitat si riduce per ragioni prettamente geometriche, originando un fenomeno di riduzione della dimensione delle popolazioni e di maggiore isolamento tra queste, definito da Celada come “la ricetta per un accresciuto rischio di estinzione e una più difficile colonizzazione di aree da parte delle nostre specie”.

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Stando ai più accreditati modelli di distribuzione delle specie, nell’arco temporale 2040-2070 gli habitat idonei per i quattro uccelli alpini continueranno a salire di quota ed a ridursi in estensione. Nello specifico, assisteremo a una perdita del 25-30% dell’habitat per tre delle quattro specie, mentre il loro areale di distribuzione s’innalzerà di quasi 500 metri.

Per aiutare questi uccelli ad adattarsi a questi  cambiamenti la soluzione più adatta pare quella dei rifugi climatici, ossia di aree di quattro differenti tipi che rimangono relativamente indisturbate dal cambiamento climatico nel tempo, consentendo la persistenza di risorse fisiche, ecologiche e socio-culturali.  “È un po’ come dire andiamo a individuare quei pezzi di habitat alpino che nonostante il riscaldamento che avverrà saranno ancora in condizione di sostenere queste specie”, spiega Celada. Una volta individuati i rifugi climatici, i problemi che si troveranno di fronte queste specie saranno quelli della dispersione e della difficoltà di raggiungerli, se in precedenza saranno avvenute delle estinzioni.

La stessa gestione alla microscala, quindi nei dintorni delle zone di riproduzione delle specie, dovrà essere riformulata in modo adattativo alla luce degli effetti prodotti dai cambiamenti climatici sulle variabili selezionate dalle specie. Il pascolo, ad esempio, se organizzato efficacemente nello spazio e nel tempo potrà contribuire al mantenimento degli habitat delle specie a rischio.  Le aree individuate per i rifugi risultano però molto appetibili per gli sport invernali, il modello Alpi “Luna Park” descritto da Celada potrebbe causare problemi di non poco conto.

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In conclusione, il webinar ha presentato una call-to action in cinque punti tesa a: 1) completare l’individuazione dei rifugi climatici sulle Alpi; 2) promuovere il concetto di rifugio climatico presso i decisori politici e istituzionali; 3) ottenere una rigida tutela dei rifugi climatici come aree protette, rispettando il target del 10% di territorio nazionale rigidamente protetto previsto dalla strategia Ue per la biodiversità; 4) progettare reti ecologiche che includano i rifugi climatici; 5) implementare idonee misure di conservazione nei rifugi climatici.

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La salvaguardia della biodiversità passa anche dalla tutela degli ambienti alpini, fondamentali per la vita selvatica e per il nostro futuro.

[Credits foto Alessandro Rossini/Lipu]

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Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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