Il dossier Non è un Paese per bici indica la necessità di aumentare la ciclabilità in Italia e critica la manovra per avere azzerato i fondi per le ciclabili urbane
Se l’Italia vuol raggiungere l’obiettivo che si è prefissata in Europa di ridurre le emissioni climalteranti del 50% entro il 2030, la decarbonizzazione dei trasporti e l’incentivazione alle forme di mobilità sostenibile dovrebbero essere dei capisaldi dell’azione di governo. La realtà invece dice ben altro, perché il Bel Paese investe quasi 100 volte più nell’auto che nella bici e resta il fanalino di coda nel contesto europeo sul piano della ciclabilità. Sono queste alcune delle conclusioni dell’interessante dossier “Non è un Paese per bici”, redatto da Clean Cities, Fiab, Kyoto Club e Legambiente.
Il dossier Non è un Paese per bici
Il settore dei trasporti, responsabile di quasi un terzo delle emissioni di anidride carbonica, contribuisce a rendere le nostre città sempre più congestionate, inquinate e invivibili. Quasi metà delle trenta città europee con la peggior qualità dell’aria si trovano in Italia, dove ogni anno si registrano oltre 60mila vittime a causa dell’inquinamento atmosferico.
Eppure nello Stivale s’investono ben 98 miliardi di euro nel settore automotive e nelle infrastrutture stradali, una cifra notevole se paragonata al poco più di un miliardo di euro che è invece destinato alle ciclabili urbane ed extraurbane e ai bonus bici.
Tra il 2015 e il 2020 le piste urbane per le bici sono aumentate ma quasi esclusivamente nei centri urbani con un livello di ciclabilità già superiore alla media, i capoluoghi di provincia italiani si ritrovano così con una media di 2,8 km di ciclabili per diecimila abitanti, con forti disparità territoriali (ad esempio ai 12/15 km di Modena, Ferrara e Reggio Emilia si contrappongono gli zero di Enna, Caltanisseta, Campobasso, Chieti, Trapani e Vibo Valentia), nonché ritardi consistenti rispetto a ai più virtuosi centri urbani europei quali Gand (20,2 km/10mila abitanti), Helsinki (19,8), Anversa (14,7) e Amsterdam (13,9).
Ancora oggi non tutti i capoluoghi di provincia italiani hanno un Piano urbano di mobilità sostenibile (Pums). Per realizzare le ciclabili previste dai Pums secondo il dossier servono 1,34 miliardi di euro, una cifra dieci volte superiore alle risorse già stanziate per le ciclabili urbane e al momento ancora da assegnare. Più in generale, per colmare il divario con il resto d’Europa alle città italiane servirebbero 16mila km di ciclabili in più rispetto al 2020, per un totale di 21mila Km al 2030.
Il dossier giudica insufficiente l’obiettivo attuale del Piano generale della mobilità ciclistica, che prevede di raggiungere una densità complessiva di 32 km ciclabili/100 kmq. Le associazioni che hanno redatto il documento chiedono di integrarlo e di quadruplicare i chilometri di piste e corsie ciclabili, approvando un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità con uno stanziamento di 500 milioni di euro l’anno fino al 2030, per un totale di 3,2 miliardi di euro.
Al di là delle richieste finanziarie, nel dossier si trovano inoltre altre proposte utili, come quelle di: creare una struttura tecnica incardinata nel Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) per coordinare il Piano nazionale per la ciclabilità; finanziare la mobilità condivisa nelle città poco appetibili per i grandi operatori del settore; istituire un fondo per la promozione della ciclabilità con sgravi, incentivi e accordi con le aziende; prevedere l’obbligo delle connessioni intermodali per i nuovi progetti infrastrutturali; promuovere l’accesso delle bici ai treni regionali con adeguata fornitura di posti e scontistica sugli abbonamenti, e infine realizzare sia una grande campagna di sensibilizzazione sulla bicicletta come mezzo di trasporto per gli spostamenti quotidiani, che un programma di formazione e sensibilizzazione degli enti locali sui recenti sviluppi legislativi in tema di ciclabilità.
Le critiche alla legge di Bilancio e la petizione
Sulle proposte del dossier, redatto a novembre, si è abbattuta la scure della legge di Bilancio in esame in Parlamento. A partire dal 1° gennaio 2023 sono stati infatti azzerati i fondi per le ciclabili urbane: in dettaglio si tratta dei residui 94 milioni di euro per gli anni 2023 e 2024 che non erano stati ancora assegnati.
Le associazioni autrici del dossier considerano il provvedimento come uno scippo a cittadini e Comuni e invitano a correggere il tiro. “La transizione delle nostre città verso una mobilità sostenibile e a zero emissioni non può essere più procrastinata. […] È necessario offrire alle persone l’opportunità di muoversi in sicurezza usando la bici per raggiungere i propri luoghi di lavoro, di studio o di svago. […] Poche infrastrutture ciclabili, piste spesso non collegate tra loro, e mancanza di una visione che metta insieme pianificazione urbanistica e mobilità sostenibile, rendono difficile, e spesso impossibile, utilizzare la bicicletta come mezzo alternativo all’automobile. L’azzeramento delle (poche) risorse per la ciclabilità in legge di bilancio è una proposta inaccettabile, che ci riporta indietro di decenni, e che impedisce alle Amministrazioni locali di rendere le nostre città davvero ciclabili, riducendo l’uso dell’automobile privata. Va corretta immediatamente in Parlamento. Altro che azzerare i fondi: bisogna incrementarli”, si legge nel testo del comunicato congiunto, collegato a una petizione che insiste sull’importanza della bici dal punto di vista ambientale e climatico e come strumento di giustizia e inclusione sociale.
È necessario sottolineare un passo della petizione, l’opportunità di muoversi in sicurezza, purtroppo negata dalla realtà dei fatti, basti pensare all’ultimo tragico incidente che ha coinvolto l’ex ciclista professionista Davide Rebellin. Secondo i dati Istat, 180 ciclisti hanno perso la vita sulle strade nel 2021, uno ogni due giorni. Numeri che non vorremmo più leggere.
