La Commissione Europea vuole regolamentare la fast fashion

La Commissione Europea vuole mettere fine alla fast fashion

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La Commissione Europea vuole mettere fine alla fast fashion ultima modifica: 2022-04-13T07:39:20+02:00 da Fabiana Re
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La Commissione Europea ha pubblicato una strategia per rendere l’industria della moda sostenibile e circolare entro il 2030 scoraggiando la fast fashion

La fast fashion dovrà smettere di correre così veloce. È quanto richiesto dalla Commissione Europea, che pochi giorni fa ha presentato la sua “Strategia per tessili sostenibili e circolari”. Le ambiziose linee guida del documento, indirizzate all’intero ciclo di vita dei prodotti, propongono di ripensare l’industria della moda entro il 2030. “Dobbiamo spezzare il ciclo del “compra, rompi, butta via” che è così nocivo per l’ambiente, la salute e l’economia”, spiega il vice presidente della Commissione Franz Timmermans.

Le azioni proposte dalla Commissione Europea

A dover cambiare sarà innanzitutto il modo in cui i prodotti tessili sono progettati. Più fibre riciclate, maggiore durata, possibilità di ripararli facilmente o riciclarli nel modo corretto. Quest’ultimo passaggio è cruciale in un contesto in cui il consumatore medio getta ogni anno 11 kg di vestiti e tessili. La fast fashion ci ha abituati a consumare in fretta gli indumenti e ad inseguire la novità continua. La Commissione Europea chiede al contrario una transizione verso prodotti di qualità e durevoli.

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Un’altra importante proposta riguarda il destino dei prodotti invenduti, che non dovranno più essere distrutti, come invece accade oggi. L’esportazione di rifiuti tessili in altri paesi – dove vanno a riempire le discariche o gli inceneritori – sarà rigorosamente normata.

La Commissione Europea contro la fast fashion

Per aiutare i consumatori a riconoscere la fast fashion, la Commissione Europea propone di assegnare ai prodotti tessili un “Passaporto Digitale” contenente informazioni obbligatorie sulla loro circolarità e sull’impatto ambientale. È inoltre allo studio un’iniziativa per regolamentare i cosiddetti “Green Claims”, le promesse di sostenibilità fatte dai brand della moda che spesso nascondono pratiche tutt’altro che rispettose dell’ambiente. Il greenwashing è pervasivo: secondo una recente ricerca, il 39% delle pubblicità di vestiti o scarpe “sostenibili” è falso o ingannevole.

Tassare la moda usa e getta

La Commissione Europea propone di supportare la ricerca e l’innovazione per sviluppare nuove tecnologie di produzione e di ridurre il rilascio di microplastiche dai prodotti tessili. Un’altra misura applaudita dai gruppi ambientalisti, come la Changing Market Foundation, è l’introduzione della “Responsabilità Estesa del Produttore” (EPR) anche al settore della fast fashion. Si andrebbe così a colpire le aziende che producono tessili senza considerare i principi di circolarità e sostenibilità, secondo il principio del “Chi inquina paga”.

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Se le proposte della Commissione Europea diverranno realtà, avranno un forte impatto in tutto il mondo: quasi il 75% dei tessili consumati in Europa è infatti importato da altri Stati. La fame di fast fashion è cresciuta in tutto il mondo negli ultimi anni. La produzione di tessili è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015, e se ne aspetta un ulteriore aumento del 63% entro il 2030. Occorre allora regolare questa industria, per troppo tempo sfuggita alle normative ambientali pur avendo un impatto considerevole. Dietro alle vetrine scintillanti di brand come H&M e Zara si nasconde un settore al quarto posto per emissioni di gas serra e al terzo per consumo di risorse idriche.

Cosa succede ora?

Il cambiamento auspicato dalla Commissione Europea andrà a beneficio sia dei consumatori che dell’ambiente, rendendo più resiliente e innovativo l’industria della moda. La strategia proposta è però al momento ancora piuttosto vaga, e la fast fashion è ben lontana dal diventare “out of fashion” (fuori moda). Manca la definizione delle tempistiche e delle azioni con cui raggiungere gli obiettivi fissati. Si apre ora una nuova fase di confronto con la società civile e le autorità pubbliche: aziende, enti di ricerca e organizzazioni sono invitati a compilare un questionario per esprimere la propria opinione.

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Studentessa torinese di Economia dell’Ambiente, della Cultura e del Territorio, trascorre il suo tempo a districarsi tra molteplici passioni e a rincorrere mille sogni. Tra lettura, disegno, scrittura creativa ed esperimenti di cucina vegana di alterno successo, i giorni di sole 24 ore finiscono sempre troppo in fretta.

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