La neurogastronomia è la scienza che studia la percezione dei sapori e come questi siano collegati alla memoria e ai ricordi degli individui. Ecco che cos’è e come funziona
Vi è mai capitato di ripensare a dei momenti della vostra infanzia proprio negli attimi in cui assaporavate del buon cibo? Un po’ come succede al critico Anton Ego con la ratatouille nell’omonimo film d’animazione della Pixar. Oppure come nel romanzo “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust. In questo caso il protagonista, pur non ricordando molto della propria giovinezza, racconta di come, mentre gustava a Parigi una madeleine inzuppata nel tè, gli tornino alla mente momenti ed immagini di quando era bambino. Il semplice sapore del biscotto lo riporta indietro nel tempo, riattivando i complessi ingranaggi della memoria. Per tutte queste sensazioni vi è una spiegazione scientifica che prende il nome di neurogastronomia, una scienza che studia i meccanismi alla base dell’alimentazione.
Ma di che cosa si tratta nello specifico?
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Che cos’è la neurogastronomia?
Il neuroscienziato Gordon M. Sheperd ha coniato il termine neurogastronomia. Si tratta di uno studio scientifico che analizza la percezione dei sapori e come questi influenzino la memoria degli individui.
In pratica si occupa di indagare il campo dell’alimentazione sotto diversi aspetti. Da quello meramente psicologico fino all’apprendimento del processo decisionale che guida le nostre scelte in fatto di mangiare.
Inoltre, rientrano nel suo raggio d’azione anche le ricerche sulle dipendenze da cibo, sull’obesità, sulle preferenze di gusto e sulla comunicazione dei sapori.
La neurogastronomia è una scienza molto interessante che potrebbe portare a delle svolte rivoluzionarie negli scenari dei pasti. Tuttavia, attualmente, essa non gode ancora di grande notorietà, almeno in Italia. Ma questo aspetto non ha di certo frenato il lavoro degli esperti. Anzi, al contrario, gli studi sul cibo sono sempre più numerosi e pian piano stanno allargando l’indagine sull’esperienza alimentare, includendo in essa anche elementi come il contesto, l’ambientazione, il colore e la dimensione dei piatti.
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Il cervello e il sapore
Che differenza c’è tra gusto e sapore? Tali parole possono sembrare sinonimi, ma di fatto non hanno i medesimi significati.
Per gusto si intende più propriamente uno dei cinque sensi dell’uomo, che si attiva tramite l’utilizzo esclusivo della bocca dalla quale deriverebbero le sensazioni di dolce, amaro e acido.
Ma in realtà il procedimento è più complesso. Per questo motivo, in un simile contesto, è bene ricorrere al termine sapore.
Infatti, pur riferendosi anch’esso alla sfera del gusto, si concentra maggiormente sull’olfatto, il senso che viene maggiormente coinvolto nell’azione del mangiare. A dimostrazione di ciò, pensate a quando una persona ha il raffreddore e non sente i sapori del cibo che ingerisce.
Nello specifico, questo evento è dovuto all’olfatto retronasale, che si manifesta dopo la masticazione e la deglutizione.
Ma come funziona?
Per prima cosa, gli alimenti rilasciano nell’aria delle sostanze aromatiche che vengono aspirate dal naso.
Dopo di che, questi elementi chimici risalgono le cavità nasali fino a raggiungere i recettori olfattivi che trasmettono l’informazione al cervello, il quale a sua volta elabora delle “immagini dell’odore”.
Di conseguenza, è proprio quest’organo il diretto responsabile della creazione degli odori e dei sapori e quindi, anche della nostra percezione del gusto.
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Il piacere del buon cibo che ti riporta indietro nel tempo
“È proprio come lo faceva mia nonna!”. Questa frase, all’apparenza comune e semplice, nasconde in sé un importante rimando scientifico. Infatti, un ulteriore aspetto di cui si occupa la neurogastronomia è lo studio del rapporto tra cibo e memoria.
A tal proposito, lo scienziato Sheperd ha affermato che: “I sapori non sono nel cibo, ma vengono creati dal nostro cervello e la percezione del gusto è un processo complicato che coinvolge non solo i cinque sensi, ma anche memoria, emozioni e ricordi”.
Infatti, nell’esperienza alimentare non lavorano solamente la bocca e il naso, ma anche le strutture cerebrali fanno la loro parte, immagazzinando al loro interno le tracce lasciate dagli odori.
In questo modo, il cervello memorizza gli aspetti più importanti del momento che vede protagonisti tali sapori e li collega alle sensazioni che gli alimenti hanno contribuito a suscitare nell’individuo.
Per questa ragione, quando mangiamo una determinata pietanza che abbia un significato per noi, con la mente ci teletrasportiamo altrove, precisamente all’occasione in cui tale cibo ha assunto rilevanza nelle nostre vite.
Questo procedimento mostra come di fatto nell’alimentazione il cervello sia condizionato da ricordi, da aspettative e da emozioni che sono già state provate in passato e che vengono rievocate ogni qualvolta ricorrano specifiche percezioni del gusto.
In questo senso, il cibo è un elemento formidabile in grado di attivare potenti meccanismi di memorizzazione e di influenzare l’esistenza delle persone attraverso precise scelte alimentari.