Ne La morte dei giganti, il giornalista Stefano Martella ripercorre la vicenda della diffusione del fitopatogeno che ha messo in ginocchio il patrimonio arboreo e l’olivicoltura in Puglia
Oltre 8000 kmq di territorio colpiti dalla fitopatologia (il 40% della superficie regionale), 21 milioni di piante infette, 94 frantoi chiusi fra il 2018 e il 2021, una perdita per l’intera filiera olivicola stimata in oltre 1,6 miliardi di euro, sono queste, a oggi, le cifre della strage compiuta nel territorio pugliese dal batterio della Xylella fastidiosa. Un disastro economico, ambientale e sociale che il giornalista Stefano Martella ha deciso di raccontare in La morte dei giganti, un libro uscito da poco per Meltemi.
Unendo il lavoro del cronista a quello dello storico, Martella si è messo in viaggio per ascoltare proprietari, tecnici, ricercatori ed esperti per comprendere la portata del fenomeno, la sua origine, le ricadute sull’economia pugliese ma anche le ferite che i disseccamenti degli ulivi monumentali hanno aperto in una cultura che, da oltre due millenni, è strettamente legata a questa coltivazione.
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Il noto botanista Joseph Marie Bové ha definito la diffusione della Xylella in Salento “la peggior emergenza fitosanitaria al mondo”, uno scenario che avrebbe potuto essere meno catastrofico se, nel 2015, fosse stato messo in atto il piano di Giuseppe Silletti, comandante del Corpo Forestale dello Stato in Puglia, che prevedeva la tripartizione del territorio regionale con una zona infetta, una zona cuscinetto e una zona di profilassi. Se le misure imposte dall’Unione Europea fossero state applicate probabilmente la Xylella non avrebbe risalito la parte meridionale della Puglia raggiungendo Monopoli, Massafra e Palagiano.
Veicolata dalla Sputacchina, la Xylella è arrivata nel Sud Italia attraverso il commercio delle piante ornamentali provenienti dal Costarica, ma quello che oggi sta avvenendo in Puglia potrebbe accadere più a nord a causa del cambiamento climatico: i Paesi mediterranei che oggi ospitano il batterio potrebbero divenire inospitali, mentre Inghilterra, Germania e Polonia saranno verosimilmente la sede ideale per la sua proliferazione in futuro.
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Martella fa luce sugli errori e sui ritardi, sottolinea come, in certi casi, questi alberi secolari, quando non millenari, siano stati ritenuti frettolosamente inutili. “In fine dei conti tutto è relegato al concetto di utile e inutile, che l’uomo attribuisce, a seconda delle necessità del momento, alla natura e agli esseri viventi. È successo con i carrubi, i gelsi, con le grandi querce. Così come la vasta foresta di lecci che ricopriva il Salento fu divelta per fare posto a colture più redditizie, come appunto l’ulivo. E adesso è il suo turno”, spiega il tecnico Roberto Gennaio, intravvedendo con grande acutezza in questa crisi lo specchio dell’etica dei consumi dilagante ormai ovunque.
Martella spiega come la storia europea sia già stata segnata da alcune grandi crisi dovute a fitopatogeni (nell’Ottocento la peronospora attaccando le coltivazioni di patate dell’Irlanda provocò la morte di un milione di persone e l’emigrazione di massa di molti dei superstiti verso gli Stati Uniti) e come l’olivicoltura pugliese fosse già stata messa in crisi dalla mosca olearia all’inizio del XX secolo.
Dopo avere raccontato il presente e il passato, il libro-inchiesta si conclude con uno sguardo verso il futuro attraverso il racconto degli imprenditori che hanno organizzato strategie di resilienza per non farsi soverchiare dall’emergenza: da chi ha deciso di scommettere su nuove cultivar come Favolosa e Leccino a chi sta ripensando il proprio business rivolgendo lo sguardo al turismo.
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La morte dei giganti è un’inchiesta rigorosa e documentata che Martella conduce con una scrittura capace di alternare il lirismo dell’osservatore alla prosa asciutta del cronista, un libro consigliato a chi vuole saperne di più su questa emergenza continentale troppo frettolosamente derubricata a problema locale.
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