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Gestione forestale e boschi selvatici, perché si tagliano gli alberi?

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Gestione forestale e boschi selvatici, perché si tagliano gli alberi? ultima modifica: 2021-12-21T06:33:11+01:00 da Davide Mazzocco
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Abbiamo intervistato il professor Giuseppe Barbiero per capire quando, come e perché si interviene sulle aree forestali per il mantenimento degli equilibri ecosistemici

Lo scorso 2 dicembre sulle pagine di eHabitat abbiamo raccontato il dibattito innescato dal taglio dell’abete rosso che è stato scelto come albero di Natale per Piazza San Pietro. In seguito al clamore scaturito da quell’articolo abbiamo deciso di andare oltre le polarizzazioni dei social network e cercare di capire, con chi si occupa da una vita di sostenibilità ambientale e gestione forestale, quale percorso ha portato al taglio di quell’albero e che cosa significa gestire un bosco per mantenerlo in salute.

Un abete di 113 anni è stato sradicato per diventare l’albero di Natale del Vaticano

Giuseppe Barbiero, docente di Biologia e di Ecopsicologia all’Università della Valle d’Aosta e co-direttore della rivista scientifica internazionale Visions for Sustainability, ci ha aiutato a comprendere come il taglio di un albero, da molti percepito come un evento di irreparabile tragicità, sia molto spesso il frutto di una scelta fatta per il bene di un bosco e di un’area naturale.

Lei è un sostenitore dell’ipotesi della biofilia. Di che cosa si tratta?

“La biofilia è un tratto della personalità umana che regola le nostre relazioni con il mondo vivente. Il primo a parlare di biofilia è stato lo psicologo tedesco Erich Fromm. Successivamente, il biologo americano Edward O. Wilson ne ha proposta una definizione formale nota come ‘ipotesi della biofilia’, che suggerisce che la biofilia sia un adattamento evoluzionistico. La biofilia è innata ma non è istintiva. Se non viene stimolata, si atrofizza”.

Come si è arrivati a questa evoluzione?

“Nella nostra storia evoluzionistica abbiamo conosciuto due momenti di frattura con la Natura. Il primo nel passaggio dal Paleolitico al Neolitico, quando abbiamo inventato l’agricoltura e l’allevamento, abbiamo creato la Natura domestica, percepita come separata e da difendere dalla Natura selvatica. Il secondo nel passaggio dalla vita in ambiente rurale alla vita in ambiente urbano, dove nemmeno la Natura domestica è tollerata. Ciò ha creato una distanza ancora maggiore nei confronti della Natura selvatica. Tuttavia, la Natura selvatica continua ad affascinarci perché è il tipo di Natura a cui il nostro corpo, i nostri sensi, i nostri schemi mentali si sono evoluti e si sono adattati. Per questo la trasformazione dell’ambiente naturale dovuta ai cambiamenti climatici e alla crescita degli spazi artificiali genera uno stato di depressione che gli psicologi chiamiamo solastalgia”.

Nella mia esperienza di insegnante mi capita di assistere a situazioni di panico incontrollabile quando una cimice entra in classe da una finestra socchiusa. A cosa è dovuta questa paura?

“Noi siamo i discendenti degli esseri umani che nel Paleolitico avevano ben ragione di temere molte piccole creature come gli insetti. La biofobia, la paura che alcune creature suscitano in noi, è una forma di attenzione involontaria, non diversa dalla biofilia, cioè la fascinazione che altre creature suscitano in noi per la loro bellezza. Ciò che cambia è solo la modalità di gestione della nostra reazione da parte del sistema nervoso autonomico”.

Solastalgia, quando il deficit di natura causa malessere

In questa dialettica uomo/Natura che ruolo ha la gestione forestale?

“La gestione forestale addomestica il bosco così come avviene in agricoltura con il mais, il frumento e la soia. Il bosco però è un ecosistema più complesso di un campo agricolo. È un ecosistema nel quale va tenuto conto di tutte le creature viventi che desideriamo che abitino il bosco. Gli obiettivi sono due: avere la maggior resa arboricola per unità di superficie e mantenere in salute il bosco. Quindi ogni volta che si effettua un taglio, quell’operazione è il frutto di studi e valutazioni. L’abete rosso che si trova in piazza San Pietro sarebbe stato tagliato comunque, perché rientrava nel piano di gestione forestale del consorzio di cui fa parte il comune di Andalo. Se fosse finito in una segheria non ne avrebbe parlato nessuno, ma avendo preso la strada di Roma, il suo taglio ha destato scalpore”.

A quando risale la diffusione delle pratiche di gestione forestale?

“I boschi iniziano a essere gestiti in maniera scientifica a partire dall’Ottocento, ma è soprattutto nel Novecento che questa modalità di governo delle risorse forestali si diffonde globalmente. La consapevolezza della necessità di usare con intelligenza delle risorse del bosco sta crescendo, mentre in passato sono stati compiuti veri e propri disastri. Pensiamo ai Vichinghi che in Islanda hanno sacrificato il patrimonio boschivo dell’isola per costruire le loro navi con effetti evidenti ancora oggi”.

Come avviene una corretta gestione forestale?

“Una gestione di tipo ecologico tiene conto degli alberi e degli animali che vivono con e in queste piante. Ma c’è un’altra importante valutazione da fare: il bosco è un superorganismo, sottoterra le piante sono tutte collegate attraverso il loro apparato radicale. Non tutti gli alberi hanno la stessa importanza. L’albero che si trova al centro della rete va conservato perché eliminarlo significherebbe mettere in crisi l’intera ‘rete’ di cui è un nodo imprescindibile”.

Giuseppe Barbiero esperto di gestione forestale
Giuseppe Barbiero docente di Biologia e di Ecopsicologia all’Università della Valle d’Aosta

Quali sono, quindi, i confini della gestione forestale?

“La gestione forestale si prende cura del bosco e interviene tutte le volte in cui esso è minacciato. L‘intervento umano addomestica il bosco. Ma i boschi sono selvatici per loro natura e una parte dovrebbe essere lasciata libera di crescere e svilupparsi senza intervento umano. Da tempo Edward O. Wilson sostiene che l’umanità dovrebbe limitarsi a gestire solo il 50% della superficie terrestre, lasciando il restante 50% libero e selvatico. Questo significa però che, qualora un bosco selvatico subisse un trauma – un incendio, l’invasione di un parassita, e così via – si dovrebbe lasciarlo morire, o meglio, lasciarlo trasformare, evitando di intervenire in alcun modo”.

Com’è organizzata la filiera della gestione forestale?

“La gestione di una foresta nasce intorno a un problema di ordine politico riguardante un’area boschiva che necessita di intervento. Sono i singoli Comuni o i Consorzi di Comuni a indicare ai tecnici forestali le aree di criticità. Questi ultimi hanno il compito di studiare il problema e progettare un piano di gestione forestale adattandosi, per esempio, alle variabili climatiche e ai disturbi provocati dall’ambiente circostante. Quando il piano di gestione forestale è pronto intervengono gli operai forestali delle società di gestione e, in alcuni casi, le stesse guardie forestali. Il taglio di un albero è il frutto di un lungo percorso di valutazioni. Se l’abete rosso che in questi giorni campeggia in piazza San Pietro non fosse rientrato nel piano di gestione forestale, nessuno avrebbe potuto tagliarlo. Ci sono leggi che proteggono le piante e gli ecosistemi e sono leggi ineludibili. La gestione forestale è una conquista consolidata. Oggi possiamo andare oltre e delimitare ampie zone di bosco dove invece sia interdetto l’accesso agli esseri umani, la Natura non sia gestita e sia libera di evolvere senza interferenze antropiche, proprio come immaginato da Wilson nel secolo scorso”.

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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