Lo scorso 15 dicembre il CineTeatro Baretti ha ospitato Da Tunisi a Torino alla ricerca della libertà, una giornata di incontri intorno alla detenzione amministrativa nei Centri di Permanenza per i Rimpatri italiani
Ad Harry (20 anni), Hossain Fasal (32 anni), Aymen Mekni (33 anni), Vakhtang Enukidze (38 anni), Orgest Turia (28 anni), Moussa Balde (23 anni) e Abdel Latif (26 anni). Sono sette le persone decedute negli ultimi 25 mesi all’interno nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani. Ad oggi i CPR attivi in Italia sono 10: Torino, Milano, Gradisca (Go), Roma, Palazzo San Gervasio (Pz), Brindisi, Macomer (Nu), Trapani e Caltanisetta. La capienza complessiva è di 1100 posti e il costo per la gestione privata di questi centri è stato di 44 milioni di euro nel triennio 2018-2021.
Come esplicitato dal titolo del report pubblicato a luglio da Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (CILD), i CPR sono dei veri e propri “buchi neri” mediatici: le morti nei CPR guadagnano visibilità sulle pagine locali dei quotidiani e nei tg regionali, ma raramente riescono a emergere a livello nazionale in un’informazione mainstream monopolizzata dai dibattiti sul Covid 19.
Per cercare di bucare la bolla delle associazioni che si occupano della difesa dei diritti dei migranti e diffondere una maggiore consapevolezza, lo scorso 15 dicembre Associazione Museo Nazionale del Cinema, Mosaico Refugees e Associazione Studi Giuridici Immigrazione hanno organizzato al CineTeatro Baretti di Torino Da Tunisi a Torino alla ricerca della libertà, una giornata di incontri, performance e cinema intorno al paradosso della detenzione amministrativa.
Giornata dei Diritti Umani, la priorità di quest’anno è l’uguaglianza
La giornata si è concentrata sulla situazione tunisina, perché è da questo paese che, negli ultimi anni, proviene il maggior numero di persone detenute senza alcun tipo di reato all’interno dei CPR. La disillusione che ha fatto seguito alla rivoluzione e alla cacciata del dittatore Ben Ali ha spinto migliaia di cittadini ad abbandonare il paese.
Ad aprire la serie di panel sono stati la mediatrice culturale Samia Ben Amor e il parlamentare tunisino Majdi Karbai. “Alla primavera araba del 2011 è seguito un periodo di prepotente ritorno del jihadismo, con gli attentati del Museo del Bardo e della spiaggia di Susa che hanno contribuito in maniera determinante a far perdere quote importanti di afflusso turistico e di investimenti dall’estero, portando la disoccupazione al 15% e la disoccupazione giovanile al 30%” ha spiegato Ben Amor che ha posto l’accento sull’assoluta mancanza di possibilità per i giovani e per le donne anche se laureate.
Karbai ha sottolineato lo squilibrio socio-economico di rapporti di libero scambio che consentono il movimento delle merci, ma non quello delle persone: “La Tunisia viene considerato un partner economico privilegiato, ma continua a non esserlo per quanto riguarda la tutela dei diritti umani”.
Martina Costa di Avocats Sans Frontières ha ricordato come la Tunisia sia ormai il principale paese di provenienza dei migranti che giungono in Italia dal Mediterraneo. Accanto agli accordi di riammissione, Italia e Tunisia hanno siglato un’intesa per il rafforzamento dell’attività della Guardia Costiera tunisina: nel novembre 2020 il nostro Paese ha finanziato con 8 milioni di euro la manutenzione delle motovedette tunisine che intercettano i barconi in partenza dal Nord Africa. “Il concetto di Paese sicuro quando si parla di Tunisia è assolutamente discutibile, perché la Tunisia non rispetta i criteri per essere riconosciuta come tale” ha spiegato Costa.
Anche per chi riesce a raggiungere l’Italia, il percorso non è assolutamente facile: “Esistono enormi limitazioni alla procedura per la richiesta del diritto di asilo. Molto spesso quando le persone vengono smistate non hanno il tempo materiale per spiegare le motivazioni alla base della loro richiesta di asilo. Purtroppo l’accesso ai diritti umani che Italia e Unione Europea devono garantire viene spesso violato e questa criticità rappresenta una sfida che sarà possibile vincere solamente facendo ponte fra le due realtà” ha ricordato Barbara Spinelli di ASGI.
L’avvocato Bilel Mechri ha spiegato come la principale attività dei legali che assistono i migranti sia legittimare le motivazioni delle loro richieste d’asilo.
Il momento più intenso della giornata si è vissuto durante il terzo e ultimo panel, quando la garante delle persone private della libertà personale del Comune di Torino, Monica Gallo, ha raccontato in maniera molto dettagliata le modalità con le quali i migranti detenuti nei CPR vengono rimpatriati: il brusco risveglio senza preavviso, la fascettatura, la restituzione degli effetti personali, la perquisizione, il trasferimento sui pullman, il volo interno fino a Palermo, la seconda perquisizione, il volo verso la Tunisia e la presa in carico della polizia locale. Bertin Nzonza, presidente di Mosaico Refugees, ha concluso sottolineando lo spaesamento di coloro che vengono rilasciati dai CPR senza che ne venga predisposto il rimpatrio.
La serata si è poi chiusa con la proiezione di Benzine di Sarra Abidi, film che racconta il viaggio di un migrante nella prospettiva dei familiari che restano nei paesi d’origine.
[Foto Davide Mazzocco]